Â
Cellule originarie da cui prende avvio il tumore e che, mentre la massa si sviluppa e si differenzia, mantengono intatto il proprio potenziale di crescita infinita Un gruppo di ricercatori della Stanford University school of medicine ha condotto studi sui melanomi umani, dimostrando come l'esistenza di queste cellule sia direttamente responsabile della formazione della malattia e il rapporto diretto tra la il loro numero e l'aggressività del tumore. la ricerca ha inoltre suggerito che risiede in queste cellule e non in altre la capacità di generare un tumore e quindi anche la forza dì resistere alle terapie, spesso inefficaci in questo tipo di neoplasia quando è in uno stadio avanzato o ha già causato metastasi. Il melanoma, che origina dai melanociti, è infatti la prima causa di mortalità tra quelli cutanei. «Per alcune neoplasie vi è l'idea che la malattia nasca da cellule con caratteristiche simili a quelle staminali», ha spiegato Marco Pierotti, direttore scientifico dell'Istituto dei tumori di Milano, «vi è un'evidenza provata della presenza di queste cellule nei tumori che derivano dal sangue, buone evidenze in quelli del cervello e qualche certezza per quanto riguarda il colon e la mammella». Le cellule-matrice state rintracciate grazie alla presenza dì una proteina, denominata CD27 1, espressa in una frazione delle cellule dei campioni di melanoma umano prelevati per lo studio. Il marcatore identifica appunto queste cellule che, in base alla quantità in cui sono presenti, determinano la gravità della malattia. «Queste cellule presentano marcatori analoghi a quelli delle linee neuronali», ha spiegato Mauro Picardo, direttore del laboratorio di fisiopatologia dell'Istituto San Gallicano di Roma, «non hanno quindi le caratteristiche dei melanociti bensì quelle delle cellule nervose, per questo motivo i chemioterapici possono risultare inefficaci e per lo stesso motivo può accadere che facciano ricomparire il tumore a distanza di tempo». Alexander Boiko, primo autore della ricerca pubblicata sulla rÃvistaNature, ha condotto la sperimentazione trapiantando in topi con un sistema immunitario seriamente compromesso alcuni campioni umani di cellule di melanoma. Le cellule che esprimevano sulla propria superficie questa proteina avevano maggiori probabilità di scatenare il tumore rispetto a quelle che ne erano prive (con una percentuale rispettivamente del 70% e 7%). «Questo studio dimostra che i bersagli terapeutici per il melanoma possono eliminare anche gran parte del tumore ma solo attraverso una terapia combinata è possibile e radicare la massa e allo stesso tempo quei nidi di cellule», ha commentato Pierotti, «a tal proposito al recente incontro dell'European association for cancer research si è discusso di anticorpi monoclonali capaci di aggredire le cellule con questo marcatore, per i quali la Fda ha già previsto studi in tempi brevi». Un approccio promettente per la lotta ai tumori, incluso il melanoma, è quello di aggredire la malattia non solo in modo mirato, ma anche a livello del metabolismo cellulare tumorale, che presenta differenze rispetto a quello delle cellule sane. «Si è visto che numerose terapie tendono a cronicizzare il tumore ma non a guarirlo e rischiano di indurre fenomeni di resistenza», ha aggiunto Pierotti, «vanno individuate quindi terapie che agiscono a livello del metabolismo differenziale e che tolgono linfa al tumore da più parti». All'istituto San Gallicano di Roma è in corso uno studio che intende verificare la validità dell'immunoterapia nei soggetti a rischio di metastasi. «Diversamente da altri protocolli, la sperimentazione è condotta su soggetti che hanno un alto rischio o hanno già sviluppato una metastasi cutanea», ha concluso Picardo, «si tratta di uno studio precauzionale in cui vengono somministrati ai pazienti polipeptidi per poi osservarne la risposta».