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(Poco) strane storie di ordinaria malagiustizia

• da L'Opinione delle Libertà del 2 luglio 2010

di di Valter Vecellio

 

 

La cronaca quotidiana ci racconta di storie incredibili, ma vere di poveretti che, per qualche ragione, finiscono nelle spire della macchina giudiziaria italiana; e ne escono spesso a pezzi, massacrati, segnati indelebilmente. E non mancano le storie buffe (lo si dice con molta, tanta amarissima ironia), che la dicono lunga su come possono andare le cose nei palazzi della cosiddetta Giustizia. Siamo in Sardegna, a Cagliari per la precisione, dove per il furto di un cappuccio a vite che chiude la valvola per la pressione dello pneumatico (valore non più di dieci centesimi), un imprenditore edile di settant'anni di Cagliari è in attesa di sentenza da ben cinque anni. La vicenda è talmente paradossale che sembra uscita da una delle storie fantozziane raccontate da Paolo Villaggio: l'autista di una delle automobili della sua azienda svita un "cappelletto" da un'automobile parcheggiata vicino la sua, ma viene notato da un'impiegata di banca; la quale, con encomiabile spirito civico, presenta denuncia, e questo nonostante il proprietario dell'automobile, evidentemente dotato di preveggente spirito pratico, avesse deciso di soprassedere. Come si dice: dura lex, sed lex. I fatti risalgono al 30 settembre del 2005. La regolare denuncia, presentata ai carabinieri, approda sul tavolo del magistrato. Il Pubblico Ministero apre il rituale fascicolo, accerta che non c'è denuncia di parte, e saggiamente ritiene non essere opportuno dar vita a un processo per un'inezia del genere; chiede l'archiviazione. No. Dura lex, sed lex, obietta il Giudice per le Indagini Preliminari, che ci mette un carico ulteriore: il furto dei "cappelletto" da cinque centesimi configura il furto aggravato, perché l'auto era in una pubblica via (una via "privata", evidentemente non contempla l'aggravante); e dunque si deve procedere per ufficio. Viene così instaurato un procedimento che tra numerosi rimpalli tra un giudice e un altro, e gli immancabili rinvii, giunge finalmente in aula. Viene convocato il "derubato", che conferma il non fregargli assolutamente nulla né dei "cappelletto", né dell'autore del "furto aggravato". Finisce qui? No. Udienza aggiornata al prossimo novembre. Chissà forse, ci sarà una sentenza. Domanda sommessa che si rivolge al ministro
della Giustizia: sarebbe interessante sapere quanto tempo ha sottratto a carabinieri e magistrati il furto "aggravato" del cappelletto" da cinque centesimi; e la quantificazione dei relativi costi sopportati. Verrebbe da chiedere se non sia opportuno mandare ispettori per capire il come e il perché. Non fosse che il tutto si tradurrebbe in ulteriore perdita di tempo e denaro pubblico; una beffa, insomma, dopo il danno che si ha ragione di credere, cospicuo... Un'altra storia è quella del signor Giovanni De Pasquale. Una lettera breve, che si può trascrivere per intero: "Da 40 e più anni chiedo giustizia a causa di un errore di valutazione medica del Consiglio navale di Messina, ai momento della visita di leva. Avviato alle armi, si accorsero dell'errore dopo 115 giorni, venni riformato ma intanto la mia patologia si era aggravata. Sono passati 44 anni e ancora il riconoscimento pensionistico a cui ho diritto non viene accettato. Sono ancora fiducioso perché, cresciuto a pane e diritto, credo che il rapporto fra i cittadini e governanti sia sempre supportato dalla certezza dei diritto, dai diritti e doveri come scritto sulla nostra Carta Costituzionale. Mi sono rivolto alle sedi amministrative e giudiziarie competenti, ma nonostante le prove documentali, non mi è stata ancora resa giustizia e, pur confidando nella speranza di vita, non credo di poter attendere ulteriori 40 anni!". Qui, davvero il ministro del Lavoro e i suoi ispettori qualche spiegazione avrebbero l'obbligo di darla; e noi il diritto di averla.


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