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La giungla dei balzelli locali: dai rifiuti alla tassa sull'ombra

• da Da Il Messaggero del 5 luglio 2010

di Luca Cifoni

 

Molti tributi stratificati nel tempo, alcuni dei quali discretamente paradossali (in cima alla classifica c'è senza dubbio la famigerata "tassa sull'ombra") ma, allo stesso tempo, un grado di reale autonomia impositiva di Regioni ed enti locali che è tra i più bassi dell'area Ocse. E dunque poche leve politiche (e scarsa responsabilizzazione) per gli,amministratori. E questa l'anomalia italiana evidenziata nella Relazione sul federalismo fiscale appena presentata in Parlamento, ed approfondita negli allegati tecnici messi a punto dal Copaff, la commissione di esperti presieduta dai professor Luca Antonini. Una situazione che risulta ancora più sorprendente se si pensa che il nostro Paese non somiglia più alla supercentralista Francia: il decentramento amministrativo firmato Bassanini (1997) e poi la riforma costituzionale del 2001 hanno portato ad un trasferimento di competenze simile a quello del Canada, limitato però al lato della spesa. Così, se il compito di fare ordine nelle uscite regionali e comunali e ancorarle a costi standard è decisamente complicato, anche l'opera di razionalizzazione dell'attuale giungla tributaria locale (e di spostamento verso la periferia di imposte oggi riscosse dallo Stato) si annuncia tutt'altro che semplice. La necessità di un cambiamento è dimostrata però anche dal fatto che un assetto così farraginoso produce come naturale conseguenza un aspro e variegato contenzioso, fino agli scranni della Consulta.
Dall'Ici all'Iscop. I Comuni dispongono di 18 diverse fonti di entrata. Nel dettaglio, si tratta di 13 tra tributi e canoni, quattro addizionali ed una compartecipazione ad un tributo statale. La più nota è probabilmente l'Ici, la più recente l'Iscop, imposta di scopo perla realizzazione delle opere pubbliche istituita con la Finanziaria 2007. Duplicazioni e incongruenze non mancano. Ad esempio in tema di pubblicità oltre all'omonima imposta comunale esistono i diritti sulle pubbliche affissioni e il canone per l'autorizzazione all'installazione dei mezzi pubblicitari (Cimp).
La tassa sull'ombra. Se invece parliamo di occupazione di suolo pubblico i Comuni possono scegliere tra la tassa e il canone (quest'ultimo ha natura patrimoniale). Caso particolare di questa tipologia è la cosiddetta "tassa sull'ombra", ossia il prelievo per la sola presenza di balconi o di tendaggi, ad esempio di negozi. indipendentemente dall'effettiva occupazione del suolo: previsto da una norma del 1972 e poi caduto in disuso, è tornato recentemente all'attenzione (certo non benevola) dei contribuenti in seguito alle richieste di applicazione da parte delle amministrazioni municipali-di Cagliari e di Terni.
Le due Tia sui rifiuti. L'assetto più caotico è forse quello che riguarda i rifiuti. La vecchia Tarsu è stata trasformata da tassa in tariffa; mala sua natura tributaria è stata con fermata da una sentenza della Corte costituzionale, che proprio nella manovra oggi in discussione il governo ha provato a ribaltare (per salvare l'applicazione dell'Iva alla tariffa stessa). Dì tariffe però ne esistono addirittura due, istituite da leggi diverse, che hanno la stessa sigla (Tia) ma significato differente: in un caso la "i" sta per "igiene", nell'altro per"integrata". A Roma poi, tanto per complicare ancora le cose, la stessa entità ibrida si chiama Tari.
La futura "service tax". Per i Comuni il governo immagina in prospettiva un tributo unico, incentrato su immobili e territorio (già ribattezzato service tax) che assorbirebbe oltre agli attuali tributi municipali anche altri che al momento affluiscono alle casse dello Stato, dall'Irpef sugli immobili all'imposta di registro e a quelle ipotecarie e catastali. Nello stesso disegno rientrerebbe anche la "cedolare secca" sui redditi da affitto (al posto dell'attuale prelievo Irpef progressivo). La semplificazione negli adempimenti sarebbe notevole, ma non è nemmeno facile mettere insieme tributi così diversi.
Consumi meno, paghi di più. A livello provinciale si contano dieci fonti di entrata. tra tributi, canoni, addizionali e compartecipazioni. Non mancano anche in questo caso i paradossi, come quello dell'addizionale energia elettrica, che colpisce le utenze non domestiche e ha effetto regressivo (le piccole imprese che consumano meno pagano di più) o quello dell'imposta provinciale di trascrizione, che preleva dalla vendita dell'usato il triplo rispetto al nuovo.
L'Iva evasa non si perde. I presidenti delle Regioni hanno invece 18 frecce nel loro arco, dalla sempre impopolare Irap alle tasse automobilistiche, fino all'addizionale Irpef su cui si riversano, a danno dei cittadini, i disavanzi della gestione sanitaria. In questo caso, secondo la Commissione, il nodo non è tanto il numero delle fonti di gettito, quanto la rozzezza di alcuni meccanismi. Ad esempio proprio l'addizionale Irpef non fa differenze tra il contribuente singolo e quello che ha quattro figli a carico. Mentre la compartecipazione all'Iva è assegnata alle varie Regioni in base ai consumi misurati dall'Istat: con l'effetto poco edificante che anche in caso di evasione totale, la relativa quota di imposta arriverebbe comunque nelle casse regionali.


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