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C'è sempre più aria di Polonia, dentro i venti tiepidi che soffiano all'Avana, da quando Raùl Castro, il presidente cubano, un mese fa ha incontrato ufficialmente l'arcivescovo della capitale, cardinal Jaime Ortega. Perché, in un Paese a regime comunista, un incontro «ufficiale» vale quanto un documento formale del Comitato centrale del PC. Che la Chiesa venga chiamata a dialogare con il potere assoluto del Partito non era mai accaduto prima nell'isola del comunismo tropical, neanche quando Fidel - nell'88 aveva fatto uno scambio di affettuose cortesie con papa Wojtyla appena sbarcato all'aeroporto della capitale. Forse un mese senza grandi mutamenti dovrebbe far dire che le speranze della libertà sono assai più impazienti del tempo ragionato della Storia, ma qualcosa di serio si sta muovendo comunque, nella cronologia mummificata del castrismo. La pubblicazione su «Granma», il giornale ultra ufficiale del regime, che «il paziente Guillermo Fariñas, ricoverato nell'ospedale di Santa Clara, è in condizioni drammatiche, nonostante l'attenta cura dello staff medico, che interviene anche con farmaci acquistati all'estero», è una notizia il cui rilievo non e sfuggito alle chiacchiere di chi spende il tempo afoso delle notti dell'Avana passeggiando lungo il Malecón.
Certo, Fariñas - che ieri ha ribadito l'intenzione di continuare la sua protesta viene identificato come «un paziente» e non come quello che è, un noto dissidente che fa lo sciopero della fame da 130 giorni; ma ciò che conta è la pubblicazione della notizia, cioè il render pubblico che c'è un «paziente» - ma all' Avana tutti sanno bene chi è - che sta per morire e che il governo sta facendo di tutto per salvare. Raùl, insomma, non solo porta allo scoperto quello che il regime tiene sempre nascosto, cioè che ci sono dei dissidenti e questi dissidenti hanno ora identità pubblica riconosciuta, ma mette anche le mani avanti per proteggersi dall'ondata di accuse che gli verrebbero scatenate contro se il povero Fariñas dovesse morire. Fidel mai aveva fatto qualcosa di simile. E la novità per i «cubanologi» è assai succosa, tanto che qualcuno - per esempio, nel Cuban Research Institute di Miami, che è uno degli osservatori più acuti sulle faccende dell'isola vede in lontananza perfino l'ipotesi di un possibile rovesciamento del regime «alla polacca», cioè con una «partecipazione» della Chiesa cattolica che alla fine si rivela determinante. Le similitudini sono affascinanti ma anche ingannevoli, nelle analisi della politica, tanto che mons. Jaime de Dios Hernà ndez, vescovo ausiliario dell'Avana, invita alla prudenza: «Quello in atto è un processo, e dunque richiede tempo e pazienza». Ma, intanto, lo stesso monsignore ha presieduto una conferenza organizzata dalla Chiesa della capitale, che ha discusso pubblicamente della necessità di «riforme sociali, economiche, e anche politiche». Tanta improntitudine conferma che qualcosa si è comunque consumato: per la prima volta il regime castrista (dovremo dire ora il regime di Raúl?) ha accettato pubblicamente e ufficialmente di dividere con altri lo spazio della politica. Finora agli oppositori del regime non era stato concesso mai nulla; pubblicamente, essi non esistevano: erano fantasmi, puri delinquenti. Mercenari al soldo di Washington. E se trattative con la Chiesa c'erano state (il viaggio all'Avana di Giovanni Paolo II, nel 1998, aveva portato alla liberazione di 300 presos), queste trattative erano però passate sopra la testa della gerarchia locale, comunicando direttamente con il Vaticano. Non è che, ora e all'improvviso, la Chiesa di Cuba sia diventata un partito, ma il riconoscimento che Raùl le ha concesso le consegna uno status di straordinaria potenzialità politica, e apre percorsi negoziali che potrebbero incidere enormemente sulla gestione d'una transizione del castrismo. Insomma, pur nella spossante lentezza alla quale pare consegnato l'ultimo autunno del patriarca, qualcosa su cui Obama possa lavorare (ammesso che ne abbia il tempo) pare cominciare a disegnarsi. Ora si aspettano nuovi segnali che rafforzino il significato politico di questo avvicinamento: la liberazione di altri prigionieri politici, oltre al paraplegico Ariel Sigler, per esempio; l'ospedale per altri in cattive condizioni di salute; la libertà per le Damas de bianco di farsi i loro cortei la domenica pomeriggio senza rischiare le bastonate e le ingiurie dei rivoluzionari di mestiere. La «cremlinologia» di Cuba offre intanto altri spunti da decifrare: il «Granma» in queste ultime settimane è diventato perfino spregiudicato, e osa pubblicare lettere dei lettori che invitano a «cambiare, prima che sia troppo tardi». Non era mai accaduto, il filtro delle lettere all'Avana è più rigoroso che alla «Pravda» con Beria. Ma le rivoluzioni cominciano sempre dal basso, talvolta bisogna saperne cogliere i segni nell'aria.