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int. a Amos Luzzato-«Non giriamo la testa L`indifferenza è un virus lo dimostra la Shoah»

• da L'Unità del 5 luglio 2010

di u.d.g.

 

L indifferenza. Il voltare la testa dall'altra parte "tanto non tocca a me...", tutto questo noi ebrei lo abbiamo sperimentato sulla nostra pelle con la Shoah. L'indifferenza è un virus letale per la coscienza civile di un individuo, di una comunità, di un Paese. E lo è anche pensare che il tema dell'immigrazione sia in primo luogo un problema di ordine pubblico e non invece, come dovrebbe essere, un problema di soccorso pubblico; d'integrazione e non di respingimenti, di "ponti" da realizzare e non di "muri" da innalzare. Ed è per tutto ciò che trovo lodevole e condivisibile l'iniziativa assunta da l'Unità a favore dei 245 cittadini eritrei detenuti, in condizioni degradate e degradanti, in un carcere libico». Ad affermarlo è una delle figure più rappresentative dell'ebraismo italiano: Amos Luzzatto. «Occorre afferma l'ex presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppare una iniziativa che metta l'accoglienza ai bisognosi al centro della nostra attenzione e al centro anche degli accordi internazionali che l'Italia sottoscrive». In questa battaglia di civiltà, rileva Luzzatto, un ruolo di primo piano devono averlo i media che «non sono solo espressione dell'opinione pubblica ma al tempo stesso la formano».
Duecentoquaranta esseri umani, tra i quali donne e bambini, sono da giorni detenuti in condizioni disperate, sotto- posti a violenze fisiche e psicologiche, in un lager libico. Cosa c'è dietro l'indifferenza che circonda questa tragedia? «C'è il principio, nefasto, che non tocca a me e quindi giro la testa dall'altra parte; un modo di pensare e di agire che ha avuto il suo peso ai tempi delle deportazioni della Shoah. E un clima, un atteggiamento che non sono ancora passati. L'indifferenza alimenta il pregiudizio e viceversa. Per questo ritengo che un appello all'opinione pubblica quale quello lanciato da l'Unità sia importante e doveroso sostenerlo, soprattutto se è vero che si tratta di persone che, almeno in parte, avrebbero diritto all'asilo politico».
L'indifferenza si rispecchia anche, tranne lodevoli eccezioni, anche sui media. «Un fatto davvero preoccupante. I media, al tempo stesso, esprimono e formano l'opinione pubblica. Sottovalutare o addirittura tacere su eventi drammatici come questo non contribuisce certo a formare una coscienza civica più matura e aperta».
Questa indifferenza significa che i più deboli, gli indifesi, fanno meno notizia di altro e altri... «Non si tratta solo dei più deboli. Si tratta di tutti coloro che non hanno influenza su quello che si ritiene essere l'interesse concreto e materiale del nostro Paese».
Ma non è nell'interesse dei nostro Paese salvaguardare i diritti umani in Paesi, come la Libia, con cui l'Italia ha sottoscritto un Accordo di cooperazione? «Sì, dovrebbe esserlo...».
Ma cosa lo impedisce? «Due cose: la prima, inafferrabile, è la cultura con la quale si analizza e si reagisce alle notizie internazionali. Questa cultura generale, anch'essa in buona parte indotta, induce molto spesso all'indifferenza e ad una malintesa neutralità. C'è poi un secondo aspetto sul quale ho difficoltà a pronunciarmi...».
In cosa consiste questo aspetto? «C'è da chiedersi fino a che punto la nostra politica estera presti attenzione a fatti come quello che l'Unità ha contribuito a far emergere».
La vicenda dei 245 cittadini eritrei riporta di attualità il tema dell'immigrazione. È pensabile poter affrontare e risolvere questo fenomeno solo in termini di ordine pubblico e di sicurezza? «Direi proprio di no. E lo dico non sottovalutando affatto la questione della sicurezza. Il fenomeno dell'immigrazione non è prioritariamente un problema di ordine pubblico, ma di soccorso pubblico. Finché non si opera questo cambiamento profondo di angolo di giudizio, problemi come quello di cui stiamo parlando, si moltiplicheranno».
Solidarietà. E un termine che ha ancora un senso compiuto, reale, un suo diritto di cittadinanza in Italia? «Io credo di sì, ma ritengo anche che non trovi ancora i canali più adeguati per esprimersi in maniera efficiente, incisiva. E un problema di canali di comunicazione e di iniziativa da costruire, mettendo l'accoglienza ai bisognosi al centro della nostra attenzione e anche degli accordi internazionali che l'Italia sottoscrive»


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