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Eritrei. detenuti in Libia, Italia nel mirino europeo

• da Liberazione del 7 luglio 2010

di Stefano Galieni

L'ultima telefonata ricevuta risale a ieri pomeriggio. Nell'inferno di Brak, a 80 km a sud di Seba, nel sud della Libia, i circa 250 richiedenti asilo eritrei che da giorni stanno lottando per evitare di essere rimpatriati nel paese in cui rischiano di trovare i plotoni di esecuzione, hanno ricevuto l'ennesima razione. Non di cibo o di acqua, di cui avrebbero estremo bisogno, né di cure per i tanti feriti dalle percosse, ma di manganellate a tutto spiano. Gli agenti di polizia che li pestavano lo spiegavano senza reticenze: «Avete disobbedito alle nostre leggi, altro che cure, non avete diritto a nulla». La logica insomma dell'essere "più cattivi" con gli stranieri che accomuna le due sponde del mediterraneo. Dal Consiglio d'Europa si è levata la voce già molte volte critica del Commissario Hammarberg, verso l'Italia affinché vigili sul rispetto dei diritti umani in Libia. Questo perché dopo la stipula del trattato di amicizia fra Roma e Tripoli, era stato garantito che la Libia avrebbe mutato le modalità di trattamento verso quanti fuggivano dai propri paesi divorati da guerre e dittature. Nulla di tutto questo è accaduto, i centri di detenzione di cui è costellato l'immenso territorio libico lavorano a pieno regime e nell'invisibilità più assoluta. Alle organizzazioni umanitarie che chiedono di poter visitare questi centri vengono posti ostacoli in nome della sicurezza dello Stato, agli operatori di Amnesty International è stato permesso di visitarne alcuni selezionati ma è stato impedito di recarsi a Bengasi, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha avuto i propri funzionari cacciati un mese fa per "attività illegali", solo alcuni giorni fa sono stati riammessi con pesanti limitazioni. In questo quadro la vicenda dei 250 cittadini eritrei rappresenta il risultato di una escalation prevedibile. Una parte di loro sono stati illegalmente respinti in mare dalle forze italiane e maltesi e ricondotti in Libia con l'utilizzo delle motovedette regalate dal governo italiano a Gheddafi per effettuare il "lavoro sporco". Il Commissario Europeo si rivolge al governo italiano, esplicitamente nelle persone del ministro dell'Interno Maroni e degli Affari esteri Frattini, chiedendo che il governo collabori e interceda per evitare che si compiano gravi crimini. La risposta dei ministri risulta carica di ipocrisia. In un comunicato congiunto hanno dichiarato di avere aperto un canale di mediazione con la Libia a cui non vogliono venga data eccessiva pubblicità per "rispettare la sovranità libica". I due ministri si mostrano preoccupati perché ritengono che "non incoraggino la comprensione della realtà della vicenda, cronache e interviste giornalistiche con appelli via telefono satellitare inspiegabilmente utilizzate da persone che denunciano di essere detenute e a rischio di tortura". Insomma sarebbe preferibile che queste persone si lasciassero bastonare in silenzio, deportare in silenzio, in attesa dell'intervento salvifico dell'occidente. Frattini e Maroní definiscono le prese di posizione dell'opposizione parlamentare peraltro corresponsabile per aver votato gli accordi con Gheddafi e in alcuni casi giustificato i réspingimenti - "rivelano una prospettiva neocoloniale, politicamente molto scorretta". Si chiede come al solito un intervento dell'Unione Europea dopo aver compiuto i danni, il tutto per evitare di dare asilo a qualche migliaio di persone che ne hanno il diritto in un Paese che si fregia di appartenere ai G8. La soluzione a cui comunque stanno lavorando i due ministri è quella di permettere la regolarizzazione in Libia dei profughi eritrei a condizione che questi si facciano identificare. Un invito a mettersi direttamente nelle fauci della belva che li potrebbe divorare in qualsiasi momento e senza alcun controllo. Ma ad ogni ora che passa, i rischi per i detenuti si fanno più alti. Positiva è la richiesta formulata da tre europarlamentari del GUE/NL - Rui Tavares, Marie Christine Vergiat e Miguel Portas - di convocare urgentemente la Commissaria europea competente e i rappresentanti delle autorità libiche davanti alla commissione delle libertà civili e alla sotto-commissione per i diritti umani e alla delegazione per i rapporti con il Maghreb del Parlamento Europeo. Un altro elemento di pressione potrebbe esercitarlo la Corte Europea di Strasburgo che deve ancora pronunciarsi in merito ai respingimenti collettivi in mare attuati dalla marina italiana nel maggio 2009. Se il ricorso presentato dovesse essere accettato potrebbe entrare in crisi l'intero meccanismo che permette la violazione sistematica del principio di non refoulement. Intanto da tutte le forze politiche di opposizione giungono inviti a trovare una soluzione per gli internati di Brak, anche da quelle che hanno condiviso in pieno le politiche cariche di violazioni del diritto internazionale, contenute nel trattato con la Libia. Il Pd romano terrà oggi un presidio, il segretario del Prc Paolo Ferrero ha manifestato a nome di tutto il partito la preoccupazione e l'indignazione verso l'ennesima dimostrazione di quanto in Italia si abbiano a cuore i più elementari diritti umani.



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