Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
gio 25 apr. 2024
  cerca in archivio   RASSEGNA STAMPA
L'inferno di Brak, il carcere degli immigrati

• da Il Sole24 Ore del 7 luglio 2010

di R.ES.

In Libia lo chiamano il centro di Brak, dal nome della sperduta località desertica che lo ospita. Ma tra gli immigrati clandestini che vivono nascosti nei quartieri di Tripoli è conosciuto semplicemente come “l'inferno”. Il luogo dove nessuno vorrebbe essere trasferito, dove si sta anche in 9o persone in una cella, non ci sono bagni, e se non ci si ammala è già una fortuna. Dove a qualunque ora si può essere prelevati dai poliziotti, pestati e quando va male torturati. É qui nel mezzo del deserto libico, a 75 km da Sebha, una remota località del sud della Libia, che sono stati trasferiti - diverse Ong preferiscono usare il termine deportati - su due grandi container 250 immigrati eritrei prelevati dal centro di Misratah, sulla costa. È da Brak che alcuni prigionieri sono riusciti a denunciare per telefono la gravissima situazione in cui versano: senza acqua potabile, percossi e in alcuni casi torturati. Secondo informazioni raccolte da Amnesty International, all'alba del 30 giugno un centinaio di poliziotti libici ha fatto irruzione nel centro di Misratah prelevando oltre 200 eritrei. La loro colpa è stata ribellarsi alle autorità. O meglio, non voler firmare i protocolli per essere schedati e identificati, rendendo note così anche le generalità delle loro famiglie. Sapevano che se lo avessero fatto, avrebbero rischiato di essere rimpatriati in Eritrea, dove la sorte che li attende è ben peggiore. E anche se fossero rimasti in Libia, probabilmente il regime si sarebbe rivalso sulle famiglie. La tragedia degli immigrati eritrei deportati a Brakha riacceso i riflettori dei media internazionali sull'immigrazione clandestina in Libia sulla politica dei respingimenti in mare portata avanti dal Governo italiano, ma criticata dall'Onu perché contraria alla convenzione di Ginevra, firmata dall'Italia, che offre protezione ai rifugiati politici. Amnesty si è appellata a Tripoli affinché non rinvii forzatamente in Eritrea i rifugiati, «rispettando il principio internazionale del "non respingimento" verso paesi in cui una persona potrebbe essere a rischio di tortura o altre forme di maltrattamento». Il commissario europeo per i diritti umani, Thomas Hammarberg, ha scritto al ministro degli Esteri, Franco Frattini, e al ministro dell'Interno, Roberto Maroni, per chiedere chiarimenti sui presunti maltrattamenti subiti dal gruppo di migranti eritrei, tra i quali alcuni che avevano cercato di raggiungere l'Italia, prima di essere rinviati in Libia. Frattini e Maroni hanno risposto che l'Italia ha intrapreso una «delicata mediazione» per identificare gli eritrei detenuti nelle carceri libiche e offrire loro un'occupazione nel paese nordafricano. «Il contributo dell'Italia non è mai mancato e non mancherà» ha precisato Frattini. «Secondo il Ministero dell'Interno - spiega Ferruccio Pastore, direttore del Forum Internazionale ed Europeo di Ricerche sull'immigrazione (Fieri) - gli sbarchi in Italia nel 2008 sono stati circa 37mila, mentre nel 2009 solo 9.573. Ma solo 3.185 dal maggio, mese dei primi respingimenti, al dicembre del 2009. Credo che il calo sia in buona misura da legare ai respingimenti in mare da parte delle autorità italiane, e all'effetto deterrente che ne è conseguito. Ma sul fatto che l'Italia abbia violato i principi della Convenzione di Ginevra molti giuristi internazionali sono d'accordo». Così, nel silenzio, continua la tragedia degli immigrati africani che attraversano il deserto e si gettano tra le braccia di spietati trafficati e poliziotti corrotti per attraversare il Mediterraneo. Quando vengono arrestati, il trattamento che riservano loro la autorità libiche spesso è disumano. È l'altra faccia della Libia, un paese che ha sì fatto grandi passi in avanti, convincendo, nel 2004, gli Stati Uniti a togliere le sanzioni e riuscendo, nel 2006, ad affrancarsi dal marchio di sponsor del terrorismo affibiatogli dalla Casa Bianca. Parlare di democrazia è tuttavia fuorviante. Guidata da presiedente più longevo d'Africa, Mu'amar Gheddafi, al potere dal 1969, è la Libia è un partner irrinunciabile per l'Italia, e non solo. Merito, soprattutto delle sue riserve di petrolio, 43 miliardi di barili (quelle accertate), le più grandi d'Africa. Un potenziale enorme, visto che 3/4 del suo sottosuolo sono ancora inesplorati. Senza parlare del gas. Ma la Jamahiriyah, lo stato delle masse, proclamato nel1977 da Gheddafi, che idealizzava la perfetta società, combinando aspetti del socialismo, dell'Islam e del panarabismo è un democrazia solo sulla carta. E il rispetto dei diritti umani non è certo una priorità, anzi.



IN PRIMO PIANO







  stampa questa pagina invia questa pagina per mail