Caro Marco Pannella, fratello e compagno mio, leggi questa piccola posta prima di andare all’incontro col Pd: non penso mica di farti cambiare idee, però stammi a sentire. Prima di tutto perché ci vogliamo così teneramente bene che della mia franchezza non puoi diffidare: ho disposto nel mio testamento la particella a te spettante, e conto che tu non dimentichi nel tuo una famosa mattonella teramana per me. Inoltre, ti ho sentito ieri ennesimamente protestare che nessuno risponde alla tua domanda, dai politici come Fini ai giornalisti, e che almeno ti si dica, se non ci sono altri argomenti, che sei arteriosclerotico. La tua domanda riguarda Massimo D’Alema, di cui fai l’anima nerissima della politica italiana al servizio di o in combutta con Silvio Berlusconi. Ora, io ti risposi già in passato, e tu ignorasti i miei argomenti (qui, il 3 aprile scorso: chiedesti un sunto a Massimo Bordin, non li leggesti mai). Fra poco li aggiorno, e intanto, quanto al dettaglio sull’arteriosclerosi, ti dico senz’altro di sì, che probabilmente fa la sua parte, Lo dico anche per me, che le venti volte al giorno in cui dimentico i nomi non ho nemmeno Bordin cui chiedere di aiutarmi. Nel tuo modo di evocare D’Alema ho sentito un progressivo e ormai parossistico accanimento, che è a suo modo magnanimo. E donchisciottesco, dunque spropositato. Tentazione comprensibile, specialmente a me, che in società mi trattengo, ma dentro di me ho un muraglione fitto di effigi contro le quali, a una certa ora della notte, tiro le freccette, con punteggi memorabili. Prova anche tu con Massimo, ti verrà da ridere, di lui di me e di te. E veniamo agli argomenti. Berlusconi puntò su D’Alema alla Bicamerale: dopo di che mandò a monte la cosa, e D’Alema non ne guadagnò niente, e perse parecchio. Si può imputargli di aver sbagliato a crederci, di essere stato disposto a concedere troppo, oppure di avere insistito oltre il ragionevole, non di essere stato fin da allora il socio di un losco patto di ferro berlusconista: oltretutto, ne resterebbe coinvolto anche il nostro Marco Boato, che a sua volta insisté assai con le sue bozze, di cui Berlusconi era deciso a farsi beffe: ma né tu né io penseremmo che Boato fosse il subagente di un simile patto. D’Alema andò a Mediaset in un momento elettorale delicato e dichiarò che Mediaset era una risorsa: se lo poteva risparmiare, diciamo, ma si trattava, come non di rado, dell’eccesso di confidenza in sé, non della soggezione all’altro. Oltretutto è evidente a chi non sia fanatico che la vicenda berlusconista è andata crescendo e mutando strada facendo, fino alla grottesca e rischiosa degenerazione attuale, e rievocare episodi fuori contesto non si addirebbe a chi, come te, credette a un berlusconismo liberalizzabile e oscillò - con mio gran dispiacere fra supposti corleonesi e supposti palermitani, e ancora inclina ai "due poli del regime" (così tu anche ieri) in presenza di una catastrofe democratica che non è affatto la continuazione di "sessant’anni di partitocrazia". Arriviamo a D’Alema candidato alla politica estera europea: tu continui a parlarne come di una prodiga e interessata manovra di Berlusconi, quando è chiaro che Berlusconi fu felice che fosse affossata, e ancora più felice che di affossarla ufficialmente si incaricassero i socialisti presunti compagni di D’Alema. Arriva a questo punto il Copasir, che, diciamolo, non è granché, e non era granché neanche per te quando ne era responsabile Francesco Rutelli. Si può sorprendersi che D’Alema tenesse a quel posto, si può chiedersi se rischi di investirci qualche altra puntata della sua professionalità machiavellica, ma leggerci un’altra conferma del patto luciferino con Berlusconi - il quale, tu dici scandalizzato, non ha nessun altro, compreso il suo schieramento, cui sostenersi e rifarsi conte a D’Alema - è decisamente troppa grazia. Perfino il D’Alema a capo delle fondazioni progressiste europee ti pare una conferma della cospirazione berlusconista. In questo mucchio in cui tutto si tiene anche le critiche più motivate a D’Alema per me, per esempio, sul dannatissimo realismo politico rispetto a Gheddafi - diventano un ingrediente della donchisciottesca sublimazione. In questa proiezione metafisica di D’Alema - del quale io sono fisicamente molto amico e politicamente piuttosto critico, e le due cose non sono in disaccordo, proprio come fra me e te - arrivi a lamentare che Travaglio sia troppo indulgente con D’Alema: che sembra una battuta comica, di quelle che non fanno ridere. Arrivi anche a vedere nel duo D’Alema-Bocchino gli agenti del disegno berlusconista ed eversivo di nominare comandante della guardia di Finanza un finanziere invece che un militare dell’esercito: misura dalla quale dissento quanto te, e che interpreto come una concessione lobbistica ed elettorale a un corpo separato, non certo come l’effetto della longa manus di Berlusconi su due che non sono affatto, ciascuno per la sua parte, a sua disposizione. Hai perfino fatto dono al leghista Castelli di una fantastica interpretazione, secondo cui sarebbe stato trombato alle amministrative a Lecco non per la propria insipienza e il cannibalismo leghista ma per avere, lui solo, osteggiato la legge sulla Guardia dì Finanza. Chiedi conto a Gianfranco Fini del suo silenzio sulla comunella Berlusconi-D’Alema, incarnata in D’Alema e Bocchino, cioè i due politici coi quali, ciascuno per la sua parte, Fini s’intende di più. Vai a incontrare Bersani, e alla vigilia ti proponi di chiarire con lui che il nemico principale è Massimo D’Alema, e, per completezza, ci aggiungi i nomi di Fassino, Franceschini, e non mi ricordo chi altri, il partito dì cui è segretario, insomma. Sono qui che provo a immaginare questo incontro, e mi viene l’esaurimento nervoso. Allora, dentro di me, ricomincio con le freccette. Marco, fratello e compagno mio, dammi retta, provaci anche tu, ti sentirai meglio. E nell’incontro sarebbe bello che il Pd avesse a cuore il destino dei radicali italiani, e i radicali italiani quello del Pd, e ambedue quello del nostro disgraziato paese e della terra. Tanti baci, Adriano.