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Nella media dei paesi avanzati la disoccupazione ha toccato il massimo; in Italia ancora no, crescerà ancora fino alla fine dell'anno prossimo, sostiene l'Ocse. La cassa integrazione è stata utilissima per contenere i danni nel periodo peggiore della crisi, però ora appare il rovescio della medaglia: una parte dei lavoratori ad orario ridotto non potrà essere riassorbita dalle aziende, e prolungare il sussidio sarebbe uno spreco, perché rallenterebbe il rinnovamento dell'apparato produttivo. Il rischio maggiore lo corrono i giovani. Anche l'Ocse (l'organizzazione dei 31 paesi industriali più avanzati) vede il pericolo di una «generazione perduta», ovvero di tutta una fascia d'età che la crisi lascia scoraggiata, senza prospettive. Dappertutto i giovani sono stati i più colpiti dalla crisi; da noi in misura ancora maggiore. Troppi sono senza lavoro, circa uno su quattro, e quasi metà di quelli che ce l'hanno sono precari. «La disoccupazione giovanile in Italia continua a crescere, e rischia di toccare presto il 30% - dichiara il vicedirettore del dipartimento occupazione dell'Ocse, l'italiano Stefano Scarpetta - ma aumentano soprattutto i giovani che non sono né in formazione né al lavoro, e non cercano di modificare la propria situazione». Non studiano, non guadagnano, rimangono a carico dei genitori, spesso consumando il patrimonio di famiglia. Non è nemmeno facile sostenere il peso dei giovani «scoraggiati» dato che il potere d'acquisto dei salari in Italia ristagna da anni. Nell'ultimo ventennio, secondo i dati Ocse, le paghe degli italiani sono rimaste pressoché immutate mentre i cittadini di tutti gli altri paesi avanzati miglioravano le loro posizioni. Al momento, solo in Grecia, in Portogallo e nei paesi ex-comunisti i salari sono più bassi dei nostri; ovviamente, sono i precari a tenere bassa la media. Alla prova della crisi, si rivela fallimentare il mercato del lavoro a due livelli, forti tutele per i lavoratori stabili, poche per i precari, spiega il segretario generale dell'Ocse, il messicano Angel Gurrìa. Nei guai peggiori si trova la Spagna, che ancor più dell'Italia aveva percorso questa strada; il governo di Madrid cerca un rimedio nel contratto unico (precari prima, tutelati poi) ora all'esame del Parlamento. Un contratto unico migliorerebbe la situazione dei giovani; l'Ocse tuttavia non nasconde che, specie nel caso italiano, dovrebbe rendere più facile la mobilità dei lavoratori con il posto fisso. Di conseguenza, un invito preciso rivolto al nostro paese è «garantire a tutti i disoccupati indennità di disoccupazione adeguate» (come da tempo suggerisce la Banca d'Italia, ndr) dato che gli attuali benefici si applicano solo a una parte dei lavoratori. I sindacati temono il contratto unico sostenendo che faciliterebbe troppo i licenziamenti. Ribatte l'economista dell'Ocse Andrea Bassanini: «Siamo all'apice della crisi su, lavoro, dunque difficilmente dando ora più flessibilità si finirebbe per creare più disoccupati; già tanti sono stati licenziati»; al contrario le imprese sarebbero invogliate a fare assunzioni. Ad esempio il periodo di prova previsto dagli attuali contratti è molto breve, si potrebbe adeguarlo alla media Ocse. In tutti i paesi Ocse, soprattutto in Europa, per parecchio tempo la crescita non sarà sufficientemente vigorosa da riassorbire la disoccupazione. Per questo Gurrìa invita a non ridurre le spese a favore dei disoccupati nella pur necessaria stretta ai bilanci pubblici. Bisogna solo condizionare l'indennità alla effettiva ricerca di un nuovo impiego.
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