Lo abbiamo visto dalle finestre del nostro giornale. E non ci è piaciuto. Uno spettacolo avvilente che avrebbe potuto essere evitato. Non era un mistero che un folto gruppo di terremotati dell'Aquila sarebbe venuto a Roma per manifestare. Con i sindaci in testa e i gonfaloni e le magliette e le bandiere verdi e nere. Era evidente che l'obiettivo sarebbe stato il cuore del Potere: palazzo Chigi e Parlamento. In un primo momento il passo è stato sbarrato ai manifestanti da un cordone (peraltro esiguo) di forze dell'ordine in tenuta antisommossa. Le urla, la tensione, il caldo implacabile e qualche ben visibile facinoroso hanno fatto il resto: spinte, ondeggiamenti, qualche manganellata. Trattative e poi il via libera verso i Palazzi, peraltro già presidiati - come quasi ogni giorno - da altri manifestanti, ieri gli invalidi. Ancora slogan «A voi le pensioni d'oro, a noi le macerie» - ancora esasperazione, ancora blocchi, ancora qualche gesto di troppo e ancora manganellate. Una pagina da dimenticare. Che nessuno avrebbe voluto mai scrivere ma che purtroppo resterà - nera - nell'album che un giorno racconterà quel terremoto. Senza fare del facile moralismo, ci sentiamo di dire che non è così che la politica deve rispondere alle richieste di chi ancora oggi è ben lontano dall'esser tornato a una situazione di vivere sereno. Molto è stato fatto, mai in passato una prima risposta era stata data in modo tanto tempestivo, ma molto, moltissimo rimane da fare. Dare un tetto non può, non deve essere tutto: l'Aquila e il suo centro storico, come tante altre zone mutilate, vanno rimesse in piedi il più velocemente possibile. Nessuno può far finta, però, di non sapere che le risorse di cui il Paese dispone sono oggi scarse per non dire inesistenti. È di queste ore la battaglia aspra su una manovra economica che ha il tratto di una gigantesca mannaia. Peraltro assai simile a quelle che i governi di mezza Europa stanno abbattendo sui loro paesi. Tutto questo non deve far dimenticare che le poche risorse di cui si dispone vanno di certo dirottate su chi ha più bisogno. E se gli aquilani sono esasperati, si può ben capirli. Una cosa non vorremmo, dopo una giornata infausta: che a fare le spese di quel che è accaduto fossero le forze dell'ordine. Davanti ai volti esasperati di chi protestava, davanti a chi piangeva anche, abbiamo visto ragazzi vestiti da carabinieri, poliziotti e finanzieri che non avevano alcuna voglia di battagliare. Anche i loro poveri stipendi sono terremotati da una crisi che non risparmia nessuno. E comunque è evidente che le forze dell'ordine devono garantire che percorsi e obiettivi delle manifestazioni siano rispettati. Il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha convocato ieri pomeriggio un vertice per capire come sono andate le cose. Le cose sono andate male, è chiaro. Ma forse bisognava evitare che quella gente, quei sindaci, quei lavoratori, quegli studenti fossero costretti a venire a Roma. Lo ripetiamo: un buon inizio non vuol dire aver risolto i problemi e se le difficoltà ci sono è bene che qualcuno vada all'Aquila a spiegarlo. Ieri sera un nuovo segnale è arrivato da un'intesa Letta-Tremonti: il recupero dei tributi non versati per effetto della sospensione decisa dopo il terremoto avverrà in dieci anni a partire dal gennaio 2011. Ora non ci si fermi, si vada a dare una prospettiva, una parola, un progetto, una tempistica. Quella gente ha dimostrato pazienza, orgoglio e dignità e siamo sicuri che sa bene che nessun governo al mondo è in grado di far miracoli. Nessuno si aspetta bacchette magiche. Ma neanche manganelli.