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Si chiamano «supply chain meetings», cioè summit fra le aziende interessate a partecipare al piano nucleare italiano. L'Enel, forte dell'accordo con la francese Edf (Electrité de France) che le attribuisce costruzione e gestione, con tecnologia transalpina Epr di terza generazione, di quattro degli otto impianti previsti, da inizio 2010 a oggi di questi incontri ne ha già organizzati cinque: a Roma, alla Confindustria è presente il presidente Emma Marcegaglia, il 19 gennaio; a Torino il 26 aprile; a Venezia il 18 maggio; e due a Brescia e Milano, assieme all'Assolombarda, l'8 giugno. Risultato: finora oltre 400 gruppi grandi e piccoli hanno chiesto di partecipare al business dell'atomo civile, presentando le credenziali e ritenendo di avere la tecnologia adatta. «Noi» spiega l'amministratore delegato dell'Enel, Fulvio Conti, «la definiamo market survey, una ricognizione e una mappatura di tutti coloro che intendono lavorare al nucleare. Si farà una scrematura, però riteniamo che il piano nucleare porterà investimenti per oltre 30 miliardi di euro, dei quali 16-18 perla parte di competenza Enel-Edf. E il 70 per cento di questi appalti andrà a beneficio di aziende italiane». Quindi una potente spinta allo sviluppo di know-how nel sistema industriale che si sommerà a quello per consolidare la presenza italiana nelle fonti rinnovabili, nel risparmio energetico, nell'innovazione dei processi produttivi (articolo da pagina 107). Tra quanti si sono messi in lizza per il nucleare figurano nomi che hanno fatto la storia dell'industria energetica: Ansaldo, Finmeccanica, Edison, Techint, Eni, Franco Tosi, Dalmine, Generai Electric, Abb, Rolls-Royce, Siemens, Rockwell. Aziende blasonate del settore impianti e altre più recenti protagoniste: Maire Technimont, Trevi, Demont, Tenaris, Prysmian, Riva, Ilva, Saipem, Tyssen, Belleli. I grandi costruttori: Salini, Italcementi, Pizzarotti, Cmc, Impregilo, Astaldi. L'area dei servizi: Sogin, Elsag, Accenture, Honeywell. E ancora non si conoscono i subappaltatori finali, le aziende medie e piccole che realizzeranno le infrastrutture di collegamento. All'elenco andranno aggiunti i possibili partecipanti al gruppo di testa dell'altra cordata, quella che dovrà costruire le quattro centrali con tecnologia Ap 1000 prodotta dall'americana Westinghouse e dalla giapponese Toshiba. Se Enel ed Edf sono di proprietà pubblica, e a partecipazione statale sono la francese Areva (leader mondiale di produzione di centrali atomiche) e l'italiana Ansaldo che le è associata, il raggruppamento che dovrebbe assicurarsi l'altra metà del piano avrà una connotazione meno governativa. In questo caso l'azienda di gestione dovrebbe essere la tedesca E.On, secondo produttore di energia d'Europa, che ha raggiunto un accordo di massima con la Gdf (Gaz de France), concorrente dell'Edf, e che potrebbe trovare il partner principale italiano nella A2A, utility che raggruppa le ex municipalizzate di Milano e Brescia. Della partita vuole assolutamente essere anche l'Edison, storico gruppo energetico italiano, che inizialmente si era candidato a guidare la cordata cosiddetta alternativa a Enel-Edf. La Edison si è trovata al centro di un braccio di ferro tra Edf, suo azionista di maggioranza, e A2A, socio di minoranza. In ogni caso, come ha confermato il presidente dell'Edf, Henry Proglio, in visita in Italia, «il nostro gruppo intende coinvolgere Edison nel nucleare italiano». La questione Edison è anche all'attenzione del governo. il dossier nucleare è sul tavolo del sottosegretario Stefano Saglia, secondo il quale «la Edison deve comunque mantenere la propria identità italiana». Nonostante le scontate proteste degli «antinuke», i dubbi dell'opposizione (però il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, anni fa si era dichiarato nudearista), gli ostacoli delle regioni in nome del comodo principio «not in my backyard» (non nel mio cortile), sia le imprese sia la politica nel ritorno al nucleare ci credono e ci puntano. La tabella di marcia prevede la creazione dell'agenzia indipendente che dovrà dettare i criteri per individuare i siti nei quali costruire i sei impianti (per ognuna delle due cordam ogni centrale avrà due reattori). la mappa finora mai uscita che Panorama presenta a pagina 101 è ufficiosa ma attendibile e frutto di indicazioni degli esperti in base a questi criteri: vicinanza al mare o a fiumi con grande portata d'acqua, dal momento che il nucleare, per massimizzare la sicurezza, richiede una grande e costante disponibilità di liquido; distanza da grandi centri abitati ma facilità di collegamenti; vicinanza alle aree con maggior richiesta di energia, ma al tempo stesso diffusione lungo la Penisola. Per questi motivi c'è chi considera ancora ottimale una scelta come Montalto di Castro, che doveva essere l'ultima centrale atomica di vecchia generazione prima dello stop dopo il referendum del 1987. Ora l'opinione pubblica appare più matura, secondo svariati sondaggi; e la dipendenza italiana da fonti energetiche costose e non garantite (petrolio e gas soprattutto) è cresciuta. Montalto dunque può tornare in gioco, posta com'è al centro dell'Italia, sul mare, in un'area antisismica. Uno-due impianti dovranno essere ubicati al Nord, preferibilmente lungo l'alto Adriatico, oppure sul Po. Puglia e Molise sono le due altre regioni che, a detta degli esperti, presentano i requisiti migliori. A differenza di Sardegna e Sicilia, a causa delle distanze, o della Basilicata, dove è invece stato individuato il sito più sicuro per stoccare le scorie 1 benefici economici per il Paese sono evidenti, per chi valuti senza preclusioni ideologiche o localistiche. In più il piano è interamente autofinanziato: non richiederà cioè l'esborso di denaro pubblico. Gli enti gestori si ripagheranno vendendo elettricità con contratti pluridecennali (la durata di una centrale arriverà a 60 anni) alle stesse aziende appaltatrici, quasi tutte energivore, cioè a fabbisogno elettrico elevato e possibilmente stabilenel tempo, al riparo da picchi e blackout. I prezzi, considerati tutti gli investimenti, sono competitivi rispetto a tutte le altre fonti già con il barile di greggio al di sopra dei 60 dollari per svariati decenni. E c'è il vantaggio per l'ambiente: il nucleare ha emissioni di CO2 pressoché nulle (un confronto con le altre fonti energetiche nel grafico a pagina 102). Proprio il disastro provocato nel Golfo del Messico dalla piattaforma della British Petroleum ha indotto il presidente americano Barack Obama ad annunciare il rilancio dell'atomo, attraverso il Nuclear power 2010 program, come soluzione di energia pulita. L'altro aspetto virtuoso riguarda l'occupazione. Che l'Enel, per la sua parte, riassume così: «Ogni cantiere impiegherà almeno 2.500 persone nell'arco di 5 anni. Ogni 18 mesi partirà il cantiere successivo e quindi il picco di occupati sarà di 10 mila addetti. Poi gli impianti in funzione richiederanno almeno 500 tecnici in servizio permanente e noi stiamo già assumendo 2 mila ingegneri». Le ricadute toccheranno tutti, dalle aziende di costruzione alle università : il 7 giugno l'Università di Pisa ha annunciato la nascita del primo master in sicurezza nucleare, finanziato da Ansaldo, Bnen (Belgian nuclear higher education network) e Sck-Cen (Belgian nuclear research centre). Sulla stessa strada si sta muovendo l'Università di Genova. Mentre gli atenei di Pisa, Padova, Palermo, Roma La Sapienza, Politecnico di Milano e Politecnico di'1òrino hanno appena costituito il Cirten, Consorzio interuniversitario per la ricerca tecnologico-nucleare. Ciò che tutti aspettano con impazienza è che il governo, che ha il merito di rilanciare il nucleare dopo le prime intese Enel-Edf sottoscritte all'epoca di Romano Prodi (quando il termine atomo era bandito), nomini l'agenzia. Sarà il fischio di inizio di una partita che si concluderà nel 2020.