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Trappola democristiana per Fini

• da Il Giornale del 12 luglio 2010

di Vittorio Feltri

I politologi, anche i più colti e scientificamente attrezzati, non indovinano una previsione perché non tengono conto che la politica è fatta da uomini e donne, i quali sono sì razionali ma usano la testa, quasi sempre, per tutelare i propri interessi. E gli interessi personali non coincidono necessariamente con quelli del gruppo, del partito, del Paese. Ovviamente i politici non sono così stupidi da confessare le proprie ambizioni, le simpatie, le antipatie, i timori di perdere una posizione di potere o la possibilità di ottenere una poltrona. Preferiscono parlare di valori, di superiori ragioni morali, di cura del bene comune. Che non sono tutte fandonie, ma quasi. D'altronde la politica è una attività come le altre: chi visi dedica cerca soddisfazioni, riflettori, opportunità di guadagno. Se non si considera ciò non si comprende né il presente né, tantomeno, si riesce ad immaginare il futuro. Quanto accade in questi giorni non è stato ben decriptato dagli osservatori proprio perché hanno trascurato e trascurano le valenze psicologiche delle mosse compiute dai personaggi in vista e da quelli che agiscono dietro le quinte. Ieri i giornali riportavano all'incirca lo stesso titolo: La Lega si oppone all'ingresso nella maggioranza dell'Udc. Cioè: Berlusconi vuole con sé Casini, ma Casini è bloccato da Bossi sicché il governo non muta. Non è vero. La Lega pretende il federalismo fiscale per non tagliare la faccia al proprio elettorato, e pur di strapparlo farebbe un patto col diavolo, figuriamoci se non lo farebbe con Casini. Il problema delle camicie verdi è un altro: cosa si può portare a casa in cambio del sì al ritorno dell'Udc? Si tratta di studiare la pratica. Bossi comincia a dire di no. Poi discuterà con il premier e con Casini. Alla fine, di fronte a qualche offerta vantaggiosa, via libera. Altro punto. Perché il Cavaliere da mesi mira a coinvolgere i democristiani residuali? Perché ne ha bisogno per condurre a termine la legislatura turbata dai capricci di Gianfranco Fini, oggi tollerato per mancanza di alternative. Questione di numeri. Non dimentichiamo che nonostante la frattura politica (e strategica) di due anni fa, tra Berlusconi e Casini non si sono interrotti i rapporti personali, che sono fondamentali. I due si sono incontrati e parlati al telefono. Significa che sono legati da un minimo comune denominatore suscettibile di rafforzamento. Insomma, la collaborazione può riprendere. Quando e come? C'è tutta l'estate a disposizione per perfezionare l'accordo. Che si farà perché conviene a l'uno e all'altro leader. Da notare che entrambi hanno motivi di risentimento nei confronti di Fini al quale desiderano farla pagare. Prima del discorso del predellino (annuncio della nascita del Popolo della libertà) e subito dopo, Fini giurò a Casini che avrebbe rifiutato la fusione col partito unico. Casini gli credette e rimase da solo. L'altro ci ripensò e tramutò il no in sì, abbandonando l'amico al suo destino. Certi sgarbi non si scordano. E più facile perdonare uno che ti ha sparato al petto che uno che ti ha sparato alla schiena. Degli attriti premier presidente della Camera sono noti anche i particolari e non occorre insistere con le ricostruzioni. Piuttosto merita rammentare che le disgrazie dell'ex Forza Italia cominciarono con le bizze molto umane e poco politiche di Fini, al quale va stretta la carica di «numero due». L'angoscia dei «numeri due» è sempre la stessa in ogni campo, non solo in politica: non riuscire a diventare «numero uno». In questo caso non c'è nulla di ideologico. Non c'entrano i valori e le differenze culturali che si scomodano solo per dare un tocco di nobiltà a manovre meschine. Forza Italia all'inizio ebbe un grande successo perché non era un partito tradizionale ma una specie di comitato elettorale. Comandava il Cavaliere e gli altri ubbidivano per convinzione e anche nella speranza di essere trascinati in alto dal capo. I guasti si sono avvertiti nel momento in cui, avvenuta la fusione con An, il Pdl ha assunto i difetti - e neanche un pregio - dei vecchi partiti un po' ottocenteschi. Gli ex uomini di An, essendo in minoranza, hanno adottato sistemi in voga nella Prima Repubblica per conquistare spazio. E hanno «contagiato» i berlusconiani. I quali si sono detti: se loro funzionano come una corrente, noi facciamo altrettanto, anzi, di più. Difatti nel Pdl c'è il rischio che a furia di progettare fondazioni, ne sorgano due o tre o quattro e si tramutino in correnti. Che sono la morte dei partiti. Perché ogni corrente ha i suoi capetti, ciascuno dei quali aspira a diventare capoccia o caporione. Alcuni di essi (lungimiranti o illusi, non saprei) pensano già al dopo Berlusconi e ambiscono a sopravvivergli, se non a prendergli il posto. Non fosse così, non avrebbe senso il dibattito sui cosiddetti delfini. Chi sarà l'erede al trono? Semplicemente ridicolo. La selezione dei leader politici avviene su base naturale, non dinastica. Il successore al vertice del Pdl non sarà nemmeno designato da Berlusconi perché l'ultima preoccupazione di Silvio riguardale dimissioni, essendo lui persuaso di avere diritto ad esistere in eterno. E quand'anche si accorgesse di avere come tutti un limite di durata, se ne guarderebbe dall'agevolare l'ascesa di Tizio o Caio al soglio reale. Al Cavaliere sta a cuore il regno finché è suo. Né gli preme garantire per i prossimi decenni la rielezione di questo o di quel parlamentare, o confermare la nomina a ministro di questa odi quella signora. Suvvia, cari amici e amiche del Pdl, invece di agitarvi per assicurarvi il domani, meditate sull'oggi che è già abbastanza incerto. Calmatevi e tenete a mente che per tirare avanti non bisogna commettere gli stessi errori della Democrazia cristiana, morta di correnti e di lotte interne. Esiziale fu la battaglia che contrappose Andreotti a Forlani per la conquista del Quirinale. Fra i due litiganti vinse Scalfaro che seppellì, con la complicità di Martinazzoli, lo scudocrociato e tutti i democristiani in processione. Identica la fine toccata al Pci che grazie al centralismo democratico prosperò per anni. Liquidato poi il sistema piramidale uno che comanda e alcuni notabili che gli danno sempre ragione - subì una scissione, cambiò nome ed ora si è liquefatto. Occhio.Se nel Pdl non si abbassa la temperatura, una liquefazione non è improbabile. Che l'autunno porti consiglio e non solo un po' di fresco.



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