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Cosa sia l'inferno in terra lo racconta A.H.Y, somalo, 26 anni. L'inferno di un lager libico. Dove A.H.Y. è stato segregato. Un lager come quello in cui sono finiti, per otto giorni almeno, 245 eritrei, diversi dei quali respinti dall'Italia. A.H.Y è uno degli ospiti del meeting antirazzista dell'Arci a Cecina. A.H.Y racconta la sua odissea: 300km, molti dei quali in pieno deserto, su camion container, pagando trafficanti diversi per arrivare a Kufra, con la promessa di poter raggiungere Tripoli e di lì l'Italia. Ma a Kufra ha trovato la polizia che lo ha incarcerato insieme ai suoi compagni di viaggio. «Parlare di carcere in Libia - dice A.H.Y. - è un eufemismo», in realtà sono veri e propri lager, stanze di pochi metri quadri in cui sono stipati in 50, senza servizi igienici, senza possibilità di lavarsi, senza cibo e acqua. E in Libia tutto ha un prezzo: se vuoi lavarti o mangiare devi pagare. Anche per essere liberato devi pagare, e se non puoi farlo devi lavorare: tutto ciò che gli aguzzini pretendono fino a che non ritengono che il lavoro cui ti hanno costretto sia sufficiente per comprarti la libertà ».
IN MANO AGLI AGUZZINI
A.M.M ha 20 anni, è somalo e ha ottenuto in Italia la protezione sussidiaria circa un anno fa: proveniva dalla Libia, dove a causa delle violenze subite, ha perso la memoria. A.M.M. racconta della segregazione e della violenza subita dai trafficanti che lo hanno rinchiuso in un deposito fino a quando non sono arrivati i soldi della famiglia per la liberazione. Ma anziché raggiungere Tripoli è finito in mano ad altri trafficanti. Ha tentato di fuggire ed è stato picchiato a sangue fino a fargli perdere la memoria. Quando la riacquista, capisce di essere in carcere. Poi, dopo giorni di lavoro la libertà . Oggi sono in Italia, vivono a Caltagirone. I loro racconti, come quello di T.D. (eritreo, 18 anni), anche lui ospite del meeting dell'Arci, conferma quanto «da tempo l'Arci denuncia sulla costante violazione dei diritti umani in Libia, con cui il Governo italiano ha stretto un accordo di cooperazione in materia di immigrazione», afferma l'organizzazione in una nota.
STORIE DI ORRORE
Presente e passato s'intrecciano nel denunciare l'inferno dei lager libici. Racconta (maggio 2009) Fatawhit, una donna eritrea: «Avevamo già lasciato le coste libiche da tre giorni, quando siamo arrivati all'altezza delle piattaforme petrolifere. D'un tratto in mezzo al mare sorgono delle piattaforme immense da cui escono lingue di fuoco. Proprio da là è uscita una nave che ci ha accostato. Non so di quale paese fosse, credo che l'equipaggio fosse per metà libico e per metà italiano. E stata quella barca che ci ha scortato fino alle coste libiche e ci ha lasciato nelle mani della polizia. Siamo stati prima portati per due mesi alla prigione di Djuazat, un mese a Misratah e otto mesi a Kufra. Il trasferimento da una prigione all'altra si effettuava con un pulmino dove erano ammassate 90 persone. Il viaggio è durato tre giorni e tre notti, non c'erano finestre e non avevamo niente da bere. Ho visto bere l'urina... A Misratah ho visto delle persone morire. A Kufra le condizioni di vita erano molto dure, in tutto c'erano 250 persone, 60 per stanza. Dormivamo al suolo, senza neanche un materasso, c'era un solo bagno per tutti e 60, ma si trovava all'interno della stanza dove regnava un odore perenne di scarico. Era quasi impossibile lavarsi, per questo molte persone prendevano le malattie... »