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Lacaita, Piero come Gobetti

• da Da La Gazzetta del Mezzogiorno del 13 luglio 2010

di Alessandra Bocchino

Questa storia nasce a Manduria. È una storia importante ed è al tempo stesso la «storia semplice e comune a tutti gli uomini democratici del Mezzogiorno». È una storia che insieme a tante altre ci appartiene e, più o meno consapevolmente, definisce e dà peso al nostro rapporto con il mondo reale: La trama racconta di come si formavano e camminavano le idee, in tempi in cui l'ovvio era un lusso, il dovere aveva un valore collettivo e i diritti erano pochi. Tempi in cui la coerenza era frutto di impegno etico e civile, rigore dei comportamenti, ricerca di equilibrio. Al centro di questa storia c'è Piero Lacaita, uomo libero, editore di questo Mezzogiorno. Così Tommaso Fiore - indimenticabile sguardo indagatore di una realtà, quella contadina, allora muta alla coscienza civile degli italiani - convinse Lacaita a restare: «Se lasci Manduria, certo ti piegherai a interessi estranei al Mezzogiorno. D'altronde Laterza ha lavorato a Bari e in tutta Europa». Piero Lacaita fu il Gobetti del profondo Sud, uomo che ammirava incondizionatamente e come lui credeva «che un libro non nasce per esaudire desideri ma per trasmettere contenuti»; orgoglioso di appartenere ai pensiero liberale e laico che proprio nel Sud ebbe tratti di grande fermento e originalità. Primo di sei fratelli, non poteva che fare questo mestiere. Era scritto già nella ostinazione con cui si intrufolava nella tipografia del padre, tra le vecchie macchine da stampa, tra i fogli che piano piano si trasformavano, nella attrazione che provava nei confronti dei libri, come oggetti e come maestri taciti a cui chiedere risposte nei momenti cruciali. Intorno a lui antichi racconti di famiglia tramandati da zie centenarie gli fecero ritrovare personaggi seducenti e dalla vita originale per l'epoca e i luoghi in cui vissero. Fu proprio così che s'imbatté in Giacomo Lacaita, «uno dei creatori dell'Unità d'Italia», personaggio ottocentesco, baronetto, «sir» in età vittoriana, senatore del Regno in età umbertina, che lasciata Manduria dopo una «prima giovinezza oscura e triste», si laureò in giurisprudenza a Napoli. Grazie al suo talento e alla sua cultura entrò a far parte del circolo delle grandi famiglie inglesi che allora dimoravano in città. L'incontro fatale però avvenne nel 1850, anno in cui il giovane Giacomo conobbe lo statista inglese Gladstone, che si sapeva stava raccogliendo informazioni sul malgoverno borbonico. Arrestato dalla polizia, si trasferì in Inghilterra dove sposò Maria Clavering, figlia di Sir Thomas Gibson Carmichael. Conservatore illuminato, Giacomo fu ambasciatore, mediatore, uomo di grandi frequentazioni europee, espressione del migliore Mezzogiorno. Fu tramite, non ufficiale, nell'avviare contatti diplomatici fra il conte di Cavour e lord Russel, per prevenire l'iniziativa francese di bloccare in Sicilia. L'altro uomo forte che ha segnato la strada di Piero Lacaita è «lo zio prete», Piero anche lui. Giornalista, seguace di Romolo Murri e don Sturzo, fondò nel 1904, il primo nucleo di quello destinato a diventare, sia pure su posizioni diverse, punto di incontro delle migliori energie che avevano a cuore il futuro del Mezzogiorno. Era un giovane intelligente e coraggioso. Partecipò da protagonista, nei primi del '900, alle battaglie civili e sociali contro la borghesia agraria meridionale. È stato un riferimento per il movimento cattolico pugliese. Quarant'anni dopo su posizioni diverse nacque una piccola ma forte casa editrice: la Lacaita editori, appunto. Quindi Manduria, un piccolo centro del Tarantino, spiritualmente vicino alla Basilicata di Nitti e alla Puglia di Laterza e Croce: il retroterra piantato aviti, una grande chiesa e un antico palazzo nobiliare, un fascio di strade rettilinee, case bianche a un solo piano e, non lontano dalla piazza, una piccola libreria, unico segno di vita in tanto deserto. Questa era la Manduria all'indomani del 17 luglio 1943 in una descrizione dell'epoca. Oggi Maria Grazia siede insieme a suo fratello Maurizio, al posto del padre. Medici entrambi (come il nonno materno Umile, «medico, umanista e poeta») sanno di essere stati spettatori e di averne assorbito nel profondo l'essenza, di una esperienza a suo modo irripetibile, e ricordano quella stagione, quando un insieme di intelligenze, culture, linguaggi e discipline diverse divennero motore per una intera generazione. Il sogno è far ripartire «un circolo di illuminati», come accadeva nella Puglia di un po' di decenni fa. L'appuntamento era allora a Bari, nella storica libreria Laterza, in via Dante; al di sopra di tutti, i grandi punti di riferimento etico politico, Croce, Salvemini, Giovanni Laterza, sodalizio unico, perno della vita intellettuale del nostro Paese, negli anni della devastazione provocata dal fascismo. Quei compagni di strada furono ispiratori della linea della casa Lacaita: Lelio Basso, Luigi Russo, Danilo Dolci, Gaetano Salvemini. Gli incontri decisivi quelli con Gabriele Pepe e Tommaso Fiore, testimoni, tra l'altro, delle travagliate nozze di Piero con Ada Cosenza. Anche qui un destino nei nomi: Piero e Ada Lacaita, Piero e Ada Gobetti, Piero e Ada Calamandrei. Gobetti e il profilo dell'editore ideale: Maria Grazia enuncia a memoria i principi a cui la coppia Lacaita aveva ispirato la propria avventura editoriale: «L'editore deve rappresentare un intero movimento di idee; per essere editore occorrono una vocazione autentica, unasensibilità vigile per i fatti della cultura». Questo l'universo intorno al quale si formò proprio a Manduria il primo gruppo liberai-radicale, il «Circolo De Sanctis». Quasi il primo nucleo di radicali sorto in Italia subito dopo il fascismo. Qui i primi dibattiti sul divorzio, parliamo del 1945, le, prime posizioni in difesa dello Stato laico, l'affermazione di un meridionalismo aperto alle esigenze dell'unità europea. Casa Lacaita, in via Cadorna 20, ne divenne il megafono e a Manduria arrivarono le più energiche forze intellettuali del Paese. Tra gli anni '50 e'60, Gabriele Pepe insieme ad altri giovani animatori di quel Circolo, spinsero i giovani di Manduria a considerare la «Questione Meridionale» come il problema di una terra che «ci apparteneva», eufemisticamente definita «depressa». Dunque una terra che, facendo un salto in avanti di qualche decennio e tanto dibattito, ci appartiene ancora.
 



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