Si pensa alla piccola Svizzera, alle sue montagne, alle valli, ai laghi, ai tranquilli paesaggi verdi. E forse non viene da pensare ad una energia nucleare con targa elvetica. Eppure, quasi il 40% dell'elettricità prodotta nella Confederazione viene dai suoi cinque reattori collocati in quattro siti, in un arco geografico che è a 200-300 chilometri dalle frontiere con l'Italia. Anche in Svizzera non sono mancate e non mancano le opposizioni al nucleare, anche qui vi sono stati alti e bassi nel consenso, ma alla fine bisogna dire che il conosciuto pragmatismo elvetico ha sempre portato ad avere una maggioranza, tra le forze politiche e nella popolazione, favorevole alle centrali nucleari, seppure in un contesto segnato da misure di sicurezza che molti esperti internazionali giudicano abbastanza rigide. Se si guarda poi a questi ultimi anni, occorre dire che la Confederazione ha, per certi aspetti, anticipato alcune recenti affermazioni dell'amministrazione Usa del presidente democratico Obama. Quelle per intenderci che hanno inquadrato il nucleare tra le energie non inquinanti ed alternative, da contrapporre all'energia legata al petrolio e più in generale ai combustibili fossili. Dopo un avvicinamento alle tesi diffuse in Germania a fine anni 90 e ad inizio anni Duemila, abbastanza favorevoli ad un abbandono graduale del nucleare, la Svizzera ha infatti seguito rapidamente la Germania nel successivo ripensamento. Da cui è uscita in sostanza una conferma della necessità di avere comunque una quota di energia legata alle centrali nucleari, nell'ambito di una diversificazione delle fonti energetiche. Il Governo svizzero, che è composto da rappresentanti di tutti partiti principali, di destra, centro, sinistra, nel 2007 ha dunque annunciato una politica energetica di lungo periodo, che lascia aperta la porta anche alla costruzione di nuove centrali nucleari. Ed il fatto che ad annunciare questa politica sia stato il ministro socialista Moritz Leuenberger conferma come il dibattito sul nucleare attraversi orizzontalmente ormai quasi tutte le forze politiche. Dai socialisti, oltre che dai verdi, anche in Svizzera viene infatti l'opposizione principale al nucleare. Liberali, democristiani, borghesi democratici e destra Udc hanno mantenuto una maggioranza abbastanza ampia a favore del nucleare. Il punto è che i critici nei confronti delle centrali nucleari, che ci sono ancora e che manifestano anche nei cantoni elvetici, devono affrontare ora due obiezioni ulteriori dei favorevoli: le misure di sicurezza attorno al nucleare sono cresciute negli ultimi due decenni; anche il prezzo dell'energia tradizionale è cresciuto e la sola diversificazione su fonti come il solare, l'eolico, l'idroelettrico (su questo la Svizzera è peraltro già molto presente) rischia da un lato di non permettere il contenimento dei costi, dall'altro di non tenere il passo della prevedibile domanda di energia nei prossimi decenni. La storia del nucleare d'altro canto in Svizzera è ormai non breve. Nel 1969 è entrato in funzione il primo impianto a Beznau, nel Canton Argovia; nel 1972 sono arrivati il secondo impianto a Beznau e la centrale di Mühleberg, nel Canton Berna; nel 1978, il quarto reattore a Gösgen, nel Canton Soletta; nel 1984, è entrato in funzione il quinto reattore, a Leibstadt, ancora nel Canton Argovia. Come quasi sempre accade nella Confederazione sulle principali questioni economiche e politiche, anche sul nucleare c'è pure una lunga storia di referendum negli ultimi 30 anni, all'interno della quale lo stop definitivo al nucleare ha raccolto talvolta consensi, senza però ottenere la maggioranza. Nel 1990 è passata peraltro una moratoria di dieci anni sulla costruzione di nuove centrali. Ma nel 2003 gli elettori elvetici hanno respinto la nuova proposta di rinuncia al nucleare, così come quella di una nuova moratoria decennale. Per quel che riguarda le scorie del nucleare, dal 2006 non vengono più inviate all'estero, in Francia e Gran Bretagna, dove venivano trattate. Le centrali svizzere hanno avviato l'eliminazione diretta tramite lo stoccaggio in un sito provvisorio, in cui le scorie si "raffredderanno" nei prossimi 40 anni, prima di essere trasferite in un sito che abbia le caratteristiche geologiche per un deposito definitivo. Dunque, la situazione ora è nuovamente di una certa apertura al nucleare. D'altronde quasi il 40% dell'energia elettrica viene già appunto dal nucleare, mentre il 55% circa viene dalle centrali idroelettriche e la restante parte da altre fonti. Il gruppo Alpiq, che è nato dalla fusione tra Atel ed Eos e che ha come azionisti principali alcune aziende elvetiche e la francese Edf, ha proposto nel 2008 la costruzione di un sesto impianto, indicando un sito ancora nel Canton Soletta, nella regione di Niederamt. Alpiq è presente in tutti i principali segmenti del comparto energia e produce e commercializza elettricità , anche in Italia. Altre aziende elvetiche del settore, come la Axpo e la Bkw-Fmb, sono pronte a partecipare alla costruzione di nuovi reattori. Che si tratti di aumentare il numero di impianti, o semplicemente di rimpiazzare gli esistenti una volta a scadenza (tra 15-20 anni), la partita del nucleare resta comunque aperta in Svizzera. La palla è nel campo del Governo, che dopo l'annuncio sulla strategia per il fabbisogno energetico dovrà ora impostare un'azione concreta, che produrrà frutti attorno al 2020. E che dovrà trovare su questa azione il consenso del Parlamento oltre che, se scatterà un nuovo referendum, degli elettori. Come d'altro canto è già accaduto in passato.