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Giulia Simi- Perchè sospendere l'iter del ddl Gelmini all'università? (intervento al Comitato Nazionale di Radicali Italiani 3 luglio 2010)

15 luglio 2010

Intervento di Giulia Simi - Radicali Italiani- pronunciato il 3 luglio in occasione del Comitato Nazionale di Radicali Italiani a L'Aquila-Ovindoli.
 
E’ in arrivo ennesimo intervento legislativo sull’università: il ddl Gelmini/Tremonti.
In poco più di un decennio i governi che si sono succeduti alla guida del Paese hanno partorito, in stretta alternanza, altrettante riforme che hanno prodotto un sostanziale allineamento – o forse un appiattimento – dei corsi di studio a presunti standard internazionali (il 3+2 di berlingueriana memoria) ovvero effetti concreti di scarsa rilevanza (il “molto rumore per nulla” della riforma Moratti) o la clamorosa non-riforma di Mussi. Di riforma in riforma, non si è registrato alcun sensibile miglioramento delle magagne del sistema accademico italiano.
La maggior parte dei commentatori di destra e sinistra hanno accolta con favore il ddl Gelmini: rappresenta un passo importante nella direzione giusta.
In questi mesi con Andrea Francioni, Edmondo Trentin abbiamo studiato il ddl Gelmini/Tremonti, e organizzato con l’Associazione Coscione un seminario sulla questione università che ci portato a ravvisare alcuni aspetti critici relativi al ddl e al suo iter.
Siamo favorevoli a principi ispiratori di questa legge, ovvero una riforma dell’università imperniata sul riconoscimento del merito, tanto per ciò che riguarda la procedura di reclutamento e progressione di carriera del personale quanto per l’attribuzione di una parte dei finanziamenti pubblici, nonché sull’introduzione di rigorosi criteri di contabilità e di pianificazione economico-finanziaria ai fini della programmazione e del controllo della spesa.
Per questi motivi nasce l’atteggiamento favorevole da parte degli intellettuali e dei politici di destra e sinistra; ma, l’impressione è che molti hanno letto solo i principi ispiratori, senza preoccuparsi se verranno create le condizioni per una effettiva loro applicazione. Questo ha dato origine a un corto circuito nella stampa, come spesso accade in Italia, tutti o quasi tutti sono d’accordo;sollevare critiche sembra avvallare lo stato quo delle nostre università, essere contro a una riforma che tenta di premiare il merito e difendere chissà quale situazione di privilegio.
Inoltre, in questi decenni la nostra classe politica ha dimostrato un interesse per la scuola, per l’università e per la ricerca pressoché nullo, a di là delle dichiarazioni scontate e populiste che di volta in volta vengono fatte.
Non meno grave è la posizione della Confindustria, dove nelle loro assisi si sente sempre parlare di innovazione e ricerca, ma poi per investimenti privati nella ricerca e innovazione siamo al terz’ultimo posto nel mondo. Nessuno ha intenzione di criticare le medie e piccole industrie italiane, ma si può dire che sono rare l’imprese che in Italia investono in alta tecnologia, e che forse sarebbe necessario in Italia un numero maggiore di grandi imprese. Di quale crescita economica stiamo parlando nel nostro Paese?
Questo crea una grave dicotomia tra mondo universitario e imprese italiane. Uno degli aspetti positivi del ddl Gelmini è l’introduzione della figura del ricercatore a tempo determinato, la cosiddetta tenure-track all’americana. Per questa dicotomia succede che un giovano laureato che decide di tentare la carriera universitaria seguendo il faticoso e lungo percorso di dottorato, di assegnista e di ricercatore a tempo determinato, a differenza degli Stati Uniti, ha pochissime probabilità di essere assunto nel privato. Non è un caso che nel ddl Gelmini riformato dalla Commissione del Senato si riconosca per queste figure una via preferenziale nel pubblico; sempre nel pubblico si cade.
Altra causa del dissesto delle nostre università sono state le politiche del sindacato in combutta con i poteri locali che hanno portato all’assunzione indiscriminata di personale non docente.
E’ evidente la contraddizione tra l’attuazione di una riforma del sistema universitario e della ricerca che intende riconoscere il merito attraverso incentivi e meccanismi premiali e le politiche operate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze per fronteggiare l'attuale situazione di crisi finanziaria globale. Università e ricerca sono cronicamente sottofinanziate in Italia rispetto alla maggioranza degli Stati dell'area OCSE. Molti Paesi (Stati Uniti d’America, Germania, Francia tra gli altri) hanno deciso di includere forti investimenti nell'educazione superiore e nella ricerca tra gli interventi per fronteggiare la crisi finanziaria ed uscirne con prospettive di rilancio e crescita, pur attuando forte riduzione di spesa. In Italia il Ministro Tremonti ha, al contrario, scelto di procedere ad un significativo e progressivo programma pluriennale di tagli al finanziamento ordinario degli atenei, Ma una riforma dell'università che voglia realmente premiare le strutture accademiche migliori e il personale scientificamente produttivo non può prescindere dall'allocazione di risorse finanziarie significative, senza la quali non è possibile innescare quel meccanismo virtuoso di responsabilizzazione degli atenei – finalizzato a migliorare la qualità della ricerca e della didattica – e promuovere la selezione di ricercatori e docenti sulla base del loro curriculum scientifico. Il ddl, nella sua forma attuale, prevede una base premiale del tutto inadeguata, tanto per gli atenei (una frazione trascurabile del solo fondo di finanziamento ordinario, dall’altra parte il finanziamento ordinario serve per pagare i dipendenti pubblici che non possono essere licenziati) quanto per i singoli docenti (la ripartizione dell’eventuale surplus di ateneo che deriva dalla mancata erogazione degli scatti di anzianità al personale non meritevole; non si capisce a questo punto se per un ateneo sia preferibile avere tutti docenti meritevoli, e quindi rimanere con un fondo di ateneo nullo oppure sperare che ci sia un gruppo di docenti non meritevoli).
Ma non esiste riforma a costo zero e per riconoscere finalmente il merito – come il ddl dice di voler fare – bisogna dotare l’università di risorse aggiuntive, un fondo premiale, per cui competere. Lo stesso problema che si riscontra nella riforma Brunetta, come osserva sulla lavoceinfo Luigi Oliveri, che scrive che almeno negli enti locali la riforma Brunetta rischia di fallire proprio nel suo punto di forza, il rilancio della meritocrazia. In media ai dipendenti pubblici meritevoli sarà riconosciuto un premio appena superiore ai 400 euro. Troppo poco per indurre i più passivi e improduttivi a mutare atteggiamento.
Per questo pensiamo che sia necessario sospendere l’iter del ddl 1905, rimandando la discussione al momento di un riassesto stabile del quadro finanziario globale, oppure il Ministro Tremonti non decida finalmente una revisione seria delle politiche sugli investimenti strategici in favore dello sviluppo del Paese, dove scuola, università e ricerca sono i cardini di una effettiva strategia di crescita economica del nostro Paese.
In questa situazione la conversione in legge dei titoli II e III del ddl Gelmini si tradurrebbero in una serie di norme praticamente inapplicabili o inefficaci, destinate a rimanere lettera morte.
Tuttavia, qualora il Governo decidesse di dare seguito all'iter legislativo sono necessari i seguenti provvedimenti strettamente collegati, volti a garantire una riforma che possa realmente dirsi meritocratica.
  1. L'istituzione e l'erogazione – cadenzata nel tempo con regolarità – di un fondo premiale straordinario, aggiuntivo al fondo di finanziamento ordinario, da ripartirsi in base al merito, e di entità tale da risultare di effettivo stimolo al miglioramento della qualità della ricerca e della didattica. L'individuazione dei dipartimenti universitari, e non già degli atenei, quali destinatari delle quote del fondo premiale, essendo i dipartimenti i luoghi preposti allo svolgimento delle attività di ricerca, nonché di afferenza del personale docente. In questo modo si evita che un dipartimento meritevole, ma operante in un ateneo complessivamente mediocre, venga penalizzato, e viceversa.
  2. L'attribuzione di una quota non trascurabile del fondo premiale ai docenti afferenti al dipartimento che beneficia del fondo stesso, in forma di “premio di produzione”, sulla base della valutazione delle performance individuali. Oltre ad essere un ovvio elemento di buon senso, questo intervento è volto a incentivare e responsabilizzare coloro che svolgono in prima persona attività didattiche e di ricerca.
  3. Sostituzione delle procedure di reclutamento previste dal ddl 1905 con procedure di reclutamento gestite autonomamente dai dipartimenti – nell’ambito della programmazione di ateneo – secondo le proprie esigenze di copertura delle posizioni da docente o ricercatore con specifici profili e competenze, profili e competenze che spesso trascendono le aree disciplinari o concorsuali. Le procedure in oggetto dovranno naturalmente essere trasparenti e regolamentate nel rispetto di alcuni vincoli imprescindibili, quali la pubblicità degli atti e l'individuazione di linee guida internazionalmente riconosciute. Il principio di fondo deve essere quello della piena responsabilizzazione dei dipartimenti, garantita dall'attuazione dei precedenti punti 1-3, e del loro conseguente diritto a fare le scelte ritenute migliori per il conseguimento dei propri fini.
  4. Responsabilizzazione dell'utenza e suo coinvolgimento attivo nel processo di costituzione e riequilibrio delle dinamiche meritocratiche, attraverso la scelta ponderata della sede universitaria presso cui iscriversi, sulla base dei medesimi criteri di valutazione del merito adottati in sede ministeriale per la ripartizione del fondo premiale. In questo modo le strutture universitarie sarebbero incentivate a perseguire uno status pubblicamente riconosciuto, tale da attrarre un numero crescente di studenti. Perché questo meccanismo possa consolidarsi sono necessarie due ulteriori condizioni:
5.1 Liberalizzazione delle tasse universitarie: ogni sede deve poter determinare, secondo il proprio status e i propri obiettivi, il “valore di mercato” dei percorsi formativi che offre all'utenza.
5.2 Abolizione dell'anacronistico “valore legale del titolo di studio”, che attualmente conferisce all'utente l'illusione che un “pezzo di carta” valga l'altro. Solo abolendo il valore legale del titolo si mette infatti a fuoco la valenza intrinseca del percorso formativo, non già quella del titolo in sé, favorendo e incentivando ancora una volta le strutture accademiche di qualità a scapito di quelle che si fossero male attrezzate per il conseguimento dei propri fini.
Con Andrea Francioni e Edmondo Trentin abbiamo preparato una proposta di Questione Sospensiva, un Ordine del Giorno e alcuni emendamenti sostanziali.
Per quanto riguarda il fondo premiale abbiamo trovato un finanziamento di soli 300 milioni di euro a carico dei contributi alle scuole private: tale somma è limitata alle attuali previsioni di bilancio (in tutto tali scuole ricevono circa 400 milioni). Pensiamo che sia necessario arrivare almeno a 700 milioni di euro, quindi, si potrebbe ricorrere all'aumento delle accise.
 
Esiste forse un’altra strada, se si considera che il sistema università costa 7 miliardi di euro all’anno, 0,7% della spesa totale complessiva - a titolo di paragone la Chiesa cattolica intasca annualmente in varie forme, compreso 8 per mille, 9 miliardi di euro - sarebbe naturale pensare di reperire una parte del fondo premiale dai vari contributi, compreso Ici, che la Chiesa cattolica non paga allo Stato italiano.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



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