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• da Il Foglio del 16 luglio 2010

di Ernesto Felli e Giovanni Tria

 

Il principio secondo il quale quando si stabiliscono le regole del gioco è necessario un velo d'ignoranza è un'idea condivisa dagli studiosi. L'ignoranza riguarda la posizione occupata dai partecipanti nel corso del gioco. Il principio dice che si dovrebbero fissare le regole del gioco "come se" si ignorassero le posizioni dei vari partecipanti. E tuttavia il "come se" non è affatto una ipotesi teorica astratta lontana dalla realtà, perché dì fatto il futuro è ignoto e non è dato sapere chi si troverà in una posizione o nell'altra nel corso del gioco. Solo la posizione corrente è nota (se il gioco è iniziato). Se quindi oggi sembra impossibile fissare delle regole senza che ciascuna di esse venga personalizzata è solo perché vi è un'incapacità del legislatore di evitare di usare le regole come strumento di lotta politica corrente contro persone e forze politiche nemiche o, simmetricamente, come favori. Questa incapacità di guardare alle regole con l'obiettivo di migliorare il gioco è amplificata quando, mascherandosi dietro lo "svelamento" (vale a dire la cattiva interpretazione del principio che spinge ad individuare in ogni proposta chi guadagna o chi perde al momento), sono le corporazioni a scontrarsi. Giornalisti, magistrati, politici, imprese, ossia attori le cui posizioni future, nel gioco che si deve sottoporre a regole, sono relativamente stabili. Qui nascono le difficoltà Queste difficoltà esistono in tutto il mondo, ma diventano una patologia grave, che rischia dì trascinare una società allo sfascio, in circostanze particolari. Ci sembra che questo sia il caso che stiamo vivendo in Italia. Vale anche per i giornalisti e i generali Si prendano alcuni esempi tratti dalle cronache di questi giorni. Il generale Ganzer, capo dei Ros, viene condannato dal tribunale di Milano per traffico di stupefacenti. Il pubblico ministero aveva chiesto 27 anni. Il governo per bocca dei ministri implicati conferma la fiducia al generale e il comando dell'Arma dei carabinieri, in deroga alla prassi di sospensione dall'incarico, lo conferma nel cruciale incarico con altrettanta piena fiducia. E' evidente che se ciò accade qualcosa non funziona perché implica che un giudizio di colpevolezza sia considerato, e non da un semplice cittadino, contrario all'evidenza. Noi non siamo informati dei fatti e non sappiamo chi abbia ragione. Lo si vedrà quando la verità processuale verrà accertata attraverso le garanzie che il sistema giudiziario italiano offre. Ma il punto che ci interessa non è questo, ma quello dell'asimmetria delle posizioni. Se ha ragione il tribunale di Milano, il generale Ganzer finisce in prigione. Se ha ragione il comando dell'Arma, i giudici di Milano non vanno in prigione, ma soprattutto non subiscono alcun danno. Se al posto del generale Ganzer mettiamo qualcuno che non abbia dietro di sé l'Arma dei Carabinieri, troviamo una persona che avrà la vita distrutta, tanto nel caso che sia effettivamente colpevole e finisca in galera meritatamente, quanto che si scopra che sia innocente. Ma ai giudici non accade nulla. Nessuno pretende che l'alternativa per un magistrato o per un procuratore sia o (riuscire a) mandare in prigione qualcuno o finirci lui, anche perché in tal caso o non farebbe nulla o falsificherebbe le prove. Ma è chiaro che una qualche conseguenza per comportamenti non ponderati che possono distruggere le vite di persone debbono essere contemplati. I Radicali hanno combattuto, vittoriosi nelle urne ma sconfitti nei fatti, per la responsabilità personale dei giudici. Si tratta di un caso limite? No, solo di un caso clamoroso. Se applichiamo il ragionamento al caso delle regole sulle intercettazioni, sappiamo che la sostanza del contendere (se ragioniamo in presenza del velo d'ignoranza) sta nel fatto che la difesa della libertà individuale si scontrerebbe con la necessità di investigare. Anche in questo caso la difficoltà sta nell'asimmetria delle regole. Anche i poliziotti maneggiano strumenti pericolosi come le armi, e nessuno chiede il loro disarmo. Ma se il loro uso danneggia un innocente, essi vengono sanzionati penalmente e certamente la loro carriera ne subisce un danno. Se invece l'arma delle intercettazioni danneggia un innocente e viola i suoi diritti alla riservatezza distruggendone la vita, l'uso improvvido dello strumento non porta conseguenze per il suo maneggiatore. Forse il nodo non è nel disarmo, ma nella sanzione del danno ingiusto procurato, e non solo della legittimità formale del suo uso. Anche in questo caso non c'è simmetria. I giornalisti ammettono che sia necessaria maggiore deontologia professionale nella pubblicazione delle intercettazioni. Ma il titolo standard "spunta il nome di Mario Rossi nelle intercettazioni" -non è attualmente sanzionabile anche nel caso in cui Mario Rossi fosse estraneo ad ogni affare illecito oggetto di indagine. Ancora non c'è simmetria. Ai pesi mancano i contrappesi. O li mettiamo o disarmiamo.


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