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I fatti sono testardi. Ed «alla luce dei fatti» - come dice Sergio Lari, capo della Dda di Caltanissetta - sembra proprio che «il gruppo investigativo che indaga sulle stragi ha seguito un orientamento di indagini che oggi pare destituito di ogni fondamento». Così, mentre a Palermo si commemora l' anniversario dell'uccisione di Paolo Borsellino e della scorta, la procura nissena si appresta a chiedere la "revisione" e cioè la cassazione delle sentenze (pur vistate dalla Cassazione...) di condanna all'ergastolo. Con il fine di celebrare un nuovo processo. Quattordici sentenze vanno verso un colpo di spugna. Siamo al processo ai processi. Dunque, per via D'Amelio, indagini«destituite da fondamento», alias depistaggi, che portano all'ergastolo anche innocenti coprendo altri colpevoli. Diverso è il discorso sul quadro di riferimento, sul movente e sui mandanti. Di questo, mentre lari preferisce il riserbo, l'aggiunto del Procuratore, Nico Gozzo, ipotizza - in un'analisi per «L'Unità » - che «in Italia tra il 1992 e il 1993 con le stragi di mafia si è consumato un golpe» e Paolo Borsellino «muore anche per la trattativa» tra pezzi di Stato e Cosa nostra. La riscrittura che la Dda nissena sta definendo è incardinata anche dalle rivelazioni di Gaspare Spatuzza che, accusandosi di un ruolo chiave nella strage di via D'Amelio, ha estromesso dal proscenio Vincenzo Scarantino. Dicendosi colpevole, Scarantino aveva accusato di complicità altri «picciotti», 6 o 7, finiti per questo all'ergastolo. Spatuzza è giunto buonultimo: in udienza (15 settembre 1998, a Como per motivi di sicurezza) Scarantino aveva ritrattato, spiegando anche di aver attinto nelle sue false deposizioni a notizie raccolte da processi o sui giornali. Ma la logica d'accusa proseguì. E due avvocati, l'ex senatore Pietro Milio (recentemente stroncato da infarto) e Rosalba Di Gregorio portarono a dibattimento «fatti» che avrebbero dovuto suggerire prudenza nel controllo dei teoremi d'accusa. Milio presentò da senatore della lista Pannella un'interrogazione al ministro della Giustizia su un verbale di Scarantino grossolanamente«aggiustato» del'94. A suscitare gli interrogativi di Milio furono le annotazioni a margine del verbale scritte da un poliziotto che, interrogato, si difese sostenendo di averle fatte su input del pentito. Ma altri pentiti di rango, come Santo Di Matteo, avevano cercato di impedire depistaggi ed errori giudiziari. Evidentemente quei tempi non erano maturi per una riflessione critica del teorema d'accusa. Ora sembrano esserlo e lari spiega che si sta «cercando di comprendere quali sono state le ragioni per cui un segmento così importante della strage di via D'Aurelio sia stato ricostruito sulla base di dichiarazioni di personaggi del sottobosco criminale come Candura, Scarantino e Andriotta che mai e poi mai sarebbero stati ammessi in un contesto criminale così alto da poter offrire una ricostruzione così importante». Per Lari, «è l'ultima spiaggia per capire cosa sia successo». Nell'opera propedeutica alla revisione processuale ipm nisseni seguono vari filoni. Uno sugli esecutori materiali della strage Borsellino in cui sono indagati i mafiosi Gaspare Spatuzza, reo confesso, e Vittorio Tutino. Un altro riguarda il presunto
coinvolgimento di pezzi di Stato nella pianificazione dell'eccidio. Questo ramo vede coinvolto, al momento, l'ex funzionario del Sisde Lorenzo Narracci. Spatuzza ha detto di averlo visto nel garage in cui i boss imbottivano di tritolo la 126 (rubata da Spatuzza) usata per l'esplosione. Si punta a scoprire gli autori dei depistaggi e sono indagati alcuni poliziotti del pool Falcone-Borsellino. Le indagini di Caltanissetta si intrecciano poi a quelle di Palermo che puntano in parallelo con il processo Mori a svelare presunte trattative tra pezzi di istituzioni e Cosa Nostra per bloccare le stragi. Le Procure usano le deposizioni di Massimo Ciancimino.