Una sofisticatissima mediazione su un emendamento che recepisce tutti i dubbi del Quirinale e disinnesca le critiche di Bruxelles, un punto d'equilibrio così delicato che all'ultimo momento stava saltando. E quando finalmente viene presentato l'emendamento del governo che, pur lasciando le mani legate ai magistrati sulle intercettazioni, toglie il bavaglio alla libertà di stampa, per un mezzo pomeriggio si respira. Dunque il governo ragiona, dunque il dialogo è possibile, dunque la vituperata legge è migliorabile: i finiani esultano, vittoria dice Italo Bocchino, «ha vinto il buonsenso, un ottimo risultato». Poi, mentre Fini fa propria quella convinzione, «è un compromesso che salva i valori costituzionali», cala la scure di Berlusconi. Meglio non fare nessuna legge sulle intercettazioni, fa sapere il presidente del Consiglio, perché quell'emendamento «lascia la situazione pressappoco come quella attuale, gli italiani non potranno parlare liberamente al telefono». Del resto, «è la Costituzione che impedisce di democratizzare l'Italia»: un'ultima stoccata a Fini, e il gioco dell'oca è pronto a ripartire da lì, dal rapporto tra i cofondatori. Ecco, la Costituzione. Proprio per non violarla da giorni il Guardasigilli e la finiana front-woman della legalità Giulia Bongiorno avevano limato quella correzione alla legge che permette ai giornalisti di pubblicare (mai però con virgolettati) i risultati delle inchieste in corso, e istituisce l'udienza-stralcio nella quale un giudice assieme alle parti in causa, pubblico ministero e avvocati stabiliscono cosa viola la vita privata e cosa invece è essenziale alla trasparenza dell'inchiesta. Un'udienza che non avviene alla fine delle indagini preliminari, ma non appena sia partita una perquisizione, o un mandato d'arresto. «E' l'unico punto di arrivo attualmente possibile», dice Alfano. Ma dal punto di vista di Berlusconi indubbiamente si tratta di uno stravolgimento: se quell'emendamento fosse in vigore, tutte le inchieste sulle varie Cricche e P3 sarebbero pubbliche, e gli omissis riguarderebbero solo le attitudini sessuali, per esempio, di alcuni indagati. E solo se quelle abitudini non fossero state, come sono state, agenti di corruzione. E' tanto delicata quella mediazione che la commissione Giustizia della Camera, convocata ieri alle 10 del mattino, viene rinviata all'ora di pranzo. In quella sede va in scena un braccio di ferro. L'emendamento del governo porta la firma del sottosegretario alla Giustizia Caliendo, impigliato nella P3. Pd e Italia dei Valori hanno annunciato una mozione parlamentare di sfiducia, trovano «inopportuno» che Caliendo sia in Commissione. E' bagarre per un'oretta. La pannelliana Rita Bernardini ha un'idea, «intercettare» la riunione della commissione Giustizia sulle intercettazioni: registra, e manda tutto in onda su Radio radicale. Ma l'emendamento è «un profondo miglioramento della legge», oltre che per i finiani, solo per l'Udc Casini: il Pd non approva, Bersani in prima persona non approva, «è solo un mezzo passo avanti, quando saranno d'accordo vedremo». L'Anm con Luca Palamara apprezza, ma appunto restano «le limitazioni all'utilizzo dello strumento investigativo», resta il pericolo «di effetti devastanti sul funzionamento della giustizia». Né è chiaro che destino avrà la legge, dopo la delicata mediazione stroncata da Berlusconi. Il ddl dovrebbe approdare in Aula il 29 luglio per essere discusso con tempi contingentati ai primi di agosto. Ma, fanno sapere fonti governative, tutto potrebbe slittare, «in fondo c'è un decreto sulla Tirrenia in scadenza il 2 e il 3». Dicono, le stesse fonti, che anche Fini sarebbe favorevole a rimandare tutto a settembre. Rinviando, con la legge, anche il (presunto) showdown col Cavaliere. Non a caso il vice-capo dei senatori del Pdl Gaetano Quagliariello ieri diceva «se l'accordo c'è, allora si voti ora». E il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto: «L'Aula voti entro la prima settimana di agosto». Come dire, appunto, che l'accordo non c'è.