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I miasmi del bipolarismo fallito

• da Liberal del 22 luglio 2010

di Savino Pezzotta

La calura di questi giorni incide molto sui nostri stati d'animo, ci sentiamo tutti un poco stanchi, la depressione aumenta e desideriamo andare in vacanza. Ci servirebbe una vacanza anche per allontanarci un poco dall'ambiente politico dove l'afa è aumentata e non si sente nessuna brezza di frescura. Tutto è diventato nebbioso e impenetrabile. Magari ci fosse un poco di buio, potremmo almeno vedere le stelle: La nebbia ci avvolge e sembra impedire di vedere e di rintracciare le vie. Queste mie affermazioni nascono dal vedere quanto sta accadendo in politica in questi giorni. Si è determinato un clima che ci porta a chiedere se c'è ancora spazio per un'idea positiva dell'agire politico. Abbiamo sempre pensato che la politica fosse uno strumento per consentire alle persone di essere cittadini liberi e messi continuamente in condizioni di assolvere i doveri civili. Ma questo è impossibile in una situazione in cui tutti sospettano di tutti. Berlusconi sospetta di Tremonti. I suoi rapporti con Fini sono lacerati e ogni giorno è costretto a dimettere qualcuno dal suo governo. La cronaca politica è ormai piena di sospetti, di messaggi e di chiacchiericci da corridoio o sussurrati dietro le porte. Nel Pd le fibrillazioni tengono banco e non riesce a darsi una linea chiara di comportamento politico, anche lì sospetti e illazioni continue. A godere di questa situazione sono da un lato forze minoritarie come l'Italia dei valori o meramente territoriali come la Lega. La politica, almeno quella che appare e ha più possibilità di apparire, sembra aver perso il senso della sua "mission"e coloro che la cercano con fatica, come l'Unione di Centro, sono solitamente collocati nell'ambito della furbizia o dell'opportunismo. Il problema fondamentale della politica è che in questo nostro Paese non ci si fida di nessuno, né degli amici e tanto meno dei competitori politici; sembrano però affermarsi: servilismo, adulazione, identificazione con il capo, preoccupazione ossessiva per le apparenze. Nello stesso tempo vediamo sorgere una serie di episodi di corruzione, di malaffare, d'intrecci tra ruoli politici e malaffare, e non passa giorno che non si abbiano notizie del sorgere di vere e proprie camarille. Si fanno feste per"l'amato leader"e si annuncia che i figli succederanno ai padri: dalla crisi delle ideologie siamo approdati alla dottrina di Kim il Sung. Si è a lungo parlato di federalismo e nel frattempo la criminalità organizzata ha messo mani e piedi nel nord. Ogni volta che documenti e testi vari vengono a confortare l'ipotesi di un illecito o sospetto passaggio di denaro, il potente di turno veste i panni della vittima, indica al pubblico nella stampa il male dei mali, urla al complotto. È il dramma che abbiamo visto rappresentato in questi giorni con la più classica delle manovre: l'accusa alla stampa. Così non si va da nessuna parte. Intanto la crisi morde e le persone attendono delle risposte ai loro problemi che oggi si concentrano soprattutto sul lavoro e sui redditi calanti. Da questa situazione occorre cercare di uscire e ridare alla politica il suo senso vero. Per fare questo non servono più le dichiarazioni moralistiche, servono atti politici e delle vere e proprie cesure con gli ultimi quindici anni di storia politica. Il modello basato su due partiti a vocazione maggioritaria è fallito. Per sostenere questa affermazione basta seguire i comportamenti del presidente del Consiglio, che in queste settimane ha offerto l'immagine di un leader sdoppiato: insofferente bellicoso e, qualche volta, tollerante. Un giorno promette o fa trapelare la volontà di fare sfracelli e il giorno dopo offre ramoscelli di ulivo. È sbagliato valutare quest'andamento ondivago come legato all'umore, quando invece è l'espressione della contraddizione interna al suo ruolo di leader. Una leadership si esercita solitamente in due modi, nella forma decisionista o in quella mediatoria. L'una è condensata nel "ghe pense mi", l'altra è quella che smussa, ripiana, ragiona e cerca combinazioni. Sappiamo anche che lo stile leaderistico è proprio delle forme politiche dei sistemi a bipolarismo compiuto, dove i partiti non vivono di vocazioni ma di capacità di alternanza: in Italia non abbiamo un bipolarismo compiuto ma solo delle vocazioni che sono contraddette dalla situazione reale. Questa contraddizione ci ha portato verso forme nuove di democrazia bloccata, imballata e impotente. Non è un caso che a vivere fortemente le tensioni interne siano i due partiti maggiori. L'uno perché è messo nella condizione di non poter governare senza cedere spazi alla Lega e l'altro di essere impossibilitato a presentarsi come possibile alternanza perché condizionato dall'Idv e costretto in continuazione a subire candidature esterne (Bonino e Vendola) che danno il segno della sua incapacità a determinare una leadership. È partendo da questa situazione che bisognerebbe avere il coraggio di dichiarare che il modello politico con cui abbiamo convissuto in questi quindici anni è in una fase terminale. Lasciare le cose come stanno, è fare il male del Paese porta a non affrontare le questioni vere della gente, delle imprese e quindi ad allontanare la possibilità delle grandi riforme e dell'innovazione di cui l'Italia ha urgente bisogno. Da qui la necessità di avviare una vera transizione verso un modello che vada oltre le pretese maggioritarie e fondate sulle leadership, per un modello che privilegi il confronto, la mediazione e l'arte del governare e del decidere. Per costruire una vera transizione non bastano le alchimie politiche, occorrono un forte ricambio nei comportamenti degli attori della politica e il ripristino nel fare e nel dire parole che sono diventate desuete e che sono state svalorizzate come: Onestà, uguaglianza, meritocrazia e trasparenza. Di fronte a certi episodi serve anche la capacità di indignarsi e di reagire alla perdita del senso comune del pudore civile, non si può fare i furbi, rubare e poi vantarsene.



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