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Perché hanno mandato via Daniela?

• da Gli Altri del 23 luglio 2010

di Piero Sansonetti

 
La settimana scorsa è stata rimossa la direttora del l'Espresso, Daniela Hamaui. Ed è stata sostituita con Bruno Manfellotto. Lo ha deciso l'editore del giornale, Carlo De Benedetti. Il motivo della decisione non è stato comunicato. Ma si intuisce: modificare la linea politico-editoriale la del giornale. La decisione di De Benedetti non ha provocato reazioni. Nè tra i giornalisti, né nel sindacato, né nell'opinione pubblica (che non è stata informata) né nel mondo politico. Il diritto dell'editore - del proprietario del giornale - di sostituire i dirigenti e di cambiare la linea è riconosciuto da tutti. E un diritto sacro perché basato sulla proprietà, sul controllo del capitale. Negli stessi giorni sono successe anche altre cose nel mondo del1'ii formazione. Di vario tipo. Per esempio si è aperto lo scontro ira il direttore di Radio Radicale, Massimo Bordin, e il leader del partito, Marco Pannella. E stato mandato via anche il direttore del telegiornale de La 7 (e di Omnibus) Antonello Piroso, e sostituito con Enrico Mentana. Al Messaggero sono sfati allontanati una trentina, di poligrafici, perché erano in esubero. Dalla direzione della terza rete Rai è stato rimosso Antonio Di Bella, su ordine del tribunale che gli ha preferito Paolo Ruffini (in questo caso sul legittimo diritto di proprietà ha prevalso il diritto della. magistratura, più che sacro: divino). Si parla anche della sostituzione di Corradino Mineo alla guida di Rai news 24. Probabilmente la maggioranza di voi è abbastanza informata su alcune di queste notizie e ne ignora altre. E informata (e indignata) sul caso Mineo. Conosce bene (con varietà di giudizi) il caso Bordin. E al corrente dell'avvicendamento tra. Mentana e Piroso e lo considera un fatto naturale. Ignora la questioncella dei poligrafici messi in mezzo alla strada e probabilmente anche il siluramento di Hamaui. La situazione del sindacato dei giornalisti è simile a quella di voi lettori. E giustamente mobilitato su Mineo. Non ha mosso un dito per il Messaggero (del resto quelli sono poligrafici, non si capisce perché i giornalisti dovrebbero scioperare, per esempio, o comunque protestare, visto che la propria corporazione non è toccata dal provvedimento); né ha profferito verbo su Piroso, e probabilmente non è stato neppure informato del caso Hamaui. Per quello che riguarda Di Bella, mi pare che il sindacato si sia schierato con chi lo ha cacciato. Ho provato a mettere in fila queste informazioni per tentare (tentare, per carità: solo tentare) di ragionare davvero sulla libertà di stampa e in particolare sulle battaglie necessarie per difenderla. Ho discusso molto nei gìorni scorsi, con i miei amici e con qualcuno che è un po' informato sulle vicende dell'Espresso, per capire perché sia stata rimossa la direttora. Credo di aver capito che la decisione sia dipesa dalla necessità, in questo frangente molto acuto della battaglia politica, di riallineare Repubblica e L'Espresso: Repubblica è molto impegnata in una battaglia politica e giudiziaria contro il governo. L'Espresso invece negli ultimi tempi era impegnato soprattutto sul piano sociale. Un po' più indifferente agli scoop giudiziari e a quelli della politica-politica. Anche perché la sensibilità giornalistica della sua direttora era molto più forte sui temi del sociale, la sua stessa professionalità si caratterizzava in questo modo. Non che si sottraesse alla linea -diciamo così - "forcaiola" del suo gruppo editoriale, solo che lo faceva forse con un pochino di freddezza o almeno in forma non esclusiva. Bruno Manfellotto, che la sostituisce, è un personaggio molto più politico. Conosco Manfellotto da una quarantina d'anni (non ho mai conosciuto invece, personalmente, la Hamaui). Manfellotto me lo ricordo quando era un giovane e bravissimo cronista di Paese Sera, nei primissimi anni 70 (insieme a Giorgio Dell'Arti, a Carlo Rivolta, al futuro scrittore Daniele Del Giudice) e noi studenti comunisti andavamo sempre a trovarlo e a raccontargli delle lotte che facevamo, della facoltà occupate, dei cortei. Poi mi misi anch'io a fare il giornalista e lavoravo all'Unità, nel palazzone di via dei Taurini, al' quartiere San Lorenzo di Roma, al terzo piano, mentre la redazione di Paese Sera, dove c'era Bruno, era al quarto. Manfellotto è uno dei migliori giornalisti italiani, è serissimo, coerente, onesto, gli faccio gli auguri per il suo nuovo incarico e sono convinto che sarà un ottimo direttore. Però a me resta la domanda: perché avete mandato via Hamaui? Del resto un anno e mezzo fa capitò anche a me. Il segretario di Rifondazione comunista decise che io ero troppo liberal per dirigere Liberazione (non sempre nomi e cose vanno d'accordo...) e, nel giro di 48 ore, prima licenziò il consiglio di amministrazione del giornale - sei persone - e lo sostituì con un uomo di sua fiducia, e poi mi rimosse. Era suo diritto: diritto di proprietà. E diritto di De Benedetti: diritto di proprietà. E diritto della Telecòm mandar via Piroso: diritto di proprietà. Avete obiezioni? No? Bene. Però allora non capisco quali obiezioni si possano fare alla sostituzione di Mineo, o di Paolo Ruffini, o di tanti altri. Dicono: ma quelle sostituzioni sono chiaramente politiche. Già. Ma Daniela Hamaui forse è stata sostituita per ragioni morali? Piroso è stato cacciato perché era un manigoldo? Pannella sta litigando con Bordin perché Bordin non gli passa le canne? A me sembra che ci sia un problema di uniformare il metro di giudizio, prima di avviare qualunque discussione sulla libertà di stampa. Il caso di Mentana forse è il più clamoroso. Quando fu allontanato da Canale 5 il caso ebbe un'enorme rilevanza. Ora che per fare spazio a lui viene mandato via Piroso non vola una mosca. Bah. Il problema di uniformità di giudizio è essenziale, perché non mi pare che possa essere impostata nessunissima battaglia per la libertà di stampa se si parte dal presupposto che il grado di questa libertà è direttamente proporzionale agli interessi o alle opinioni di alcuni gruppi editoriali. Non solo, ma i fatti che ho qui sopra raccontato testimoniano dell'assoluta inaffidabilità di un sindacato del tutto disinteressato ai principi (o forse culturalmente non in grado di comprenderli) e completamente subalterno ad alcuni gruppi di potere. In queste condizioni la libertà di stampa si va proprio a fare benedire. E le battaglie in sua difesa sono semplicemente battaglie contro l'avversario politico. Che peraltro sono battaglie legittimissime: Nel nostro caso - dell'Italia di Berlusconi, voglio dire, ma credo che sarebbe più o meno la stessa cosa nella Francia di Sarkozy - persino necessarie. Solo che camuffare una battaglia politica diretta come una questione di principio non fa bene. Sopratutto annienta, rade al suolo il principio.



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