No, non è stata una rivoluzione. E non è stato nemmeno quel cambio di passo che molti avevano auspicato. Eppure, sarebbe un errore condannare i primi dieci anni di vita dello Statuto dei diritti dei contribuenti a una secca bocciatura. In fondo, nessuno può sapere come sarebbe oggi il rapporto tra fisco e cittadini se, il 1° agosto 2000, la legge 212 non fosse entrata in vigore. Una legge "normale", eppure "speciale", persino nel nome: uno Statuto, ovvero un insieme di norme fondamentali per tutelare i diritti dei contribuenti. Sappiamo, però, come era quel rapporto e come oggi si è trasformato. Dallo Statuto, certo, ci si aspettava di più, molto di più. Anche perché, solo grazie all'aiuto dei giudici di quelli della Cassazione, in primis la "Carta dei diritti" è riuscita a conquistarsi quegli spazi che, in qualche modo, il legislatore e l'amministrazione stessi hanno finito per negargli. Quali erano (e quali sono) gli obiettivi di fondo dello Statuto, promulgato dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi il 27 luglio di dieci anni fa? Lo Statuto doveva garantire più certezze ai cittadini, anche in termini di conoscenza delle norme tributarie. Quella fiscale, si sa, è materia complessa, controversa e per di più tradizionalmente sballottata da continue modifiche (o, forse, è così complicata anche a causa dell'assoluta mancanza di stabilità delle norme). Ecco, allora, il "soccorso" offerto dallo Statuto, che fissava i principi per il diritto all'informazione e per la trasparenza delle disposizioni tributarie, ponendo anche precisi vincoli - spesso disattesi - a carico del legislatore. Ma lo Statuto era molto di più. O, almeno, doveva essere lo strumento fondamentale per la tutela del cittadino nei suoi rapporti tributari con lo stato. C'era (e c'è) il principio dell'irretroattività della norma fiscale; il diritto alla conoscenza, trasparenza e motivazione degli atti degli uffici; quello al rispetto della buona fede oppure a essere "rimessi nei termini" se il mancato adempimento di un obbligo tributario dipende da cause di forza maggiore e non dalla (cattiva) volontà dai contribuenti. A completare il quadro dei diritti, un vero e proprio codice di comportamento per i verificatori durante i controlli fiscali. Si intrecciano, quindi, aspetti profondamente diversi, eppure strettamente collegati tra loro. Così come, di volta in volta, sono diversi i destinatari dei principi fissati dallo Statuto: il Parlamento, il Governo, l'amministrazione, i militari della Guardia di finanza. Ebbene, su molti fronti, lo Statuto non sembra proprio aver mantenuto le promesse, forse anche a causa del fatto che non sono state previste sanzioni per i "trasgressori". Basti pensare alla figura del Garante del contribuente-l'organo al quale è possibile rivolgersi per chiedere il rispetto dello Statuto e per segnalare problemi nei rapporti con l'amministrazione - costruito come una scatola vuota, priva di qualsiasi potere reale. Per non dire della chiarezza delle leggi tributarie e, di conseguenza, della complessità del fisco. Qui, forse, il fallimento della legge è totale, visto che persino il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, riconosce la gravità della situazione collocando tra i suoi obiettivi principali quello della semplificazione di un sistema che vanta primati non invidiabili: 1800 leggi tributarie in vigore; oltre mille modifiche al Testo unico sui redditi in poco più dito anni; un rivolo estenuante di detrazioni, deduzioni, eccezioni. Molto di tutto ciò, naturalmente, esisteva ben prima dello Statuto, ma non c'è dubbio che la legge 212 non abbia minimamente scalfito questi eccessi. C'è poi il peggiore dei "vizietti", vale a dire quello della deroga, talvolta neppure esplicita, alle norme dello Statuto, alla quale il Parlamento non ha spesso saputo resistere, da ultimo proprio con il decreto legge sulla manovra che sarà approvata a giorni alla camera, laddove prevede, già con l'acconto di novembre, la tassazione a carico delle compagnie di assicurazione delle riserve tecniche del ramo vita. In altri casi, per contro, lo Statuto è paradossalmente diventato il grimaldello per giustificare proroghe o riaperture dei termini oppure per coprire sviste del legislatore. Qualcosa è cambiato quando, nel 2004, la Cassazione ha affermato per la prima volta che le norme dello Statuto, legge ordinaria, assumono comunque un valore "superiore", tanto da farne prevalere i principi di tutela per il contribuente rispetto ad altre leggi ordinarie. Ancor prima, la Corte aveva avuto modo di precisare come lo Statuto dovesse rappresentare il punto di riferimento per l'interprete delle disposizioni tributarie. Così, quella forza che il Parlamento non è stato in grado di assegnargli è, almeno in parte, arrivata dai giudici, che ancora nel 2007 - sempre in Cassazione - lo qualificavano come norma di «rango costituzionale». Insomma, dieci anni dopo, lo Statuto sembra sempre più essere come quelle coperte troppo corte: stiracchiata qua e là quando fa comodo - dal Parlamento e dall'amministrazione per giustificare e motivare le proprie scelte, ma proprio per questo insufficiente per dare una reale tutela ai diritti dei contribuenti. Che ancora attendono con (meno) pazienza.