Oggi è l'ottantesimo giorno che il ministero dello Sviluppo economico trascorre senza avere un titolare. Beghe politiche, e soltanto quelle, hanno finora impedito che il successore del dimissionario Claudio Scajola fosse nominato. In questo vuoto di potere un dicastero cruciale in questa fase di incertezza per l'economia reale, le cui competenze spaziavano dagli incentivi alle imprese alla gestione delle crisi industriali, si sta pian piano sgretolando. Non senza un effetto collaterale alquanto imbarazzante per il presidente del Consiglio, che avendo assunto su di sé l'incarico di ministro ad interim si ritrova, senza più alcun filtro, anche a gestire le competenze governative sulla Rai: azienda pubblica concorrente del gruppo televisivo del quale Silvio Berlusconi è il principale azionista. Ieri il premier, in seguito a un intervento pubblico del capo dello Stato Giorgio Napolitano, ha annunciato che scioglierà il nodo la prossima settimana. Finalmente. Ma oggi è anche il ventiquattresimo giorno che la Consob, la commissione incaricata di vigilare sulla borsa, trascorre senza avere più un presidente. Una situazione, inconcepibile per altri Paesi occidentali tanto più dopo gli scossoni tremendi subiti dai mercati ancora traballanti, che è possibile spiegare unicamente con l'insorgenza di altre beghe politiche. Senza poi considerare che oltre a quello del presidente è vacante, da ancora prima che il 30 giugno scadesse l'incarico di Lamberto Cardia (prontamente spedito al vertice delle Ferrovie dello Stato), pure uno dei quattro posti da commissario. Risultato: considerando la durata delle procedure necessarie alle nomine l'integrità della Consob non potrà certamente essere ristabilita prima di settembre. Nella migliore delle ipotesi. E sempre che oltre alla politica non ci si mettano di mezzo le ferie. Non che questa, restando nel campo delle authority, sia una novità . Nei confronti di un organismo altrettanto importante, l'autorità per l'Energia, l'irresponsabilità della politica è arrivata al punto da lasciare vacanti ben tre posti su cinque fin dal lontano 2005. Motivo, sempre il solito: non c'era intesa fra i partiti. Adesso che la scadenza del presidente Alessandro Ortis e dell'unico commissario Tullio Fanelli si avvicina, il problema è addirittura stato eliminato dall'agenda governativa: vadano avanti così fino alla fine, poi si vedrà . Un atteggiamento di fronte al quale fa soltanto sorridere il ritardo con il quale non si sta procedendo alla designazione dei componenti dell'Agenzia per la sicurezza nucleare, senza la quale il tanto sbandierato rilancio dell'energia nucleare è semplicemente impossibile. Beghe politiche, del resto, non stanno risparmiando neppure la designazione del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, tradizionale oggetto di scontro fra centrodestra e centrosinistra. Una questione della massima delicatezza, considerando i rapporti non certamente distesi fra settori della maggioranza di governo e i giudici, alla luce dei possibili imprevedibili sviluppi di inchieste giudiziarie che da mesi stanno facendo tremare il mondo politico. Dal centro alla periferia, dove purtroppo si assiste a scene niente affatto diverse. Prendiamo la Camera di commercio di Roma. Andrea Mondello, presidente da ben diciassette anni, dev'essere avvicendato. Sulla base dei pesi relativi avrebbe potuto sostituirlo Lorenzo Tagliavanti, sostenuto in particolare dalla Cna. Ma ha un profilo non esattamente adeguato, secondo l'amministrazione capitolina guidata da Gianni Alemanno. La verità : è considerato espressione della sinistra.' Ecco perché il sindaco preferirebbe piuttosto il presidente dell'Acca, Giancarlo Cremonesi, espressione invece dello schieramento opposto. Così nemmeno questa partita, soltanto apparentemente minore (la Camera di commercio di Roma ha un tesoretto da 170 milioni di euro e un ruolo chiave nell'economia della Capitale) si sblocca. Con il rischio che nel mese di settembre la presidente della Regione Lazio Renata Polverini sarà costretta suo malgrado a nominare un commissario. La lezione che se ne ricava è a dir poco sconfortante. Su faccende tanto importanti il Paese è fermo non per cause di forza maggiore, calamità naturali, o qualche sciagura nazionale. Ma soltanto perché i politici, talvolta dello stesso partito, non si mettono d'accordo su chi debba occupare questa o quella poltrona. Così indifferenti all'interesse generale da lasciare vuoto allo stesso modo il posto di sceriffo dei mercati e quello di un importante ministro, lo strapuntino da commissario di un'authority e la presidenza di una Camera di commercio. Per poi nominare magari qualche personaggio scelto non in base alla competenza professionale e alle capacità , bensì alla sua appartenenza a un partito o a una lobby. Non è credibile che sia questa la «politica del fare».