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La situazione. Un detenuto in attesa da mesi di essere operato. Risposta a Camilleri

27 luglio 2010

di Valter Vecellio

Adriana Tocco è Garante dei detenuti di Napoli. Racconta che nel carcere di Poggioreale c’è un giovane detenuto che da mesi attende un’operazione chirurgica per occlusione delle vie urinarie. Cammina con una sacca addosso e non può fare nulla. È l’ennesimo caso, dice: “Siamo ad un livello di diniego dei diritti civili, anche i più elementari, che non può essere ulteriormente sopportato”. Ovviamente il garante ha mille ragioni; ma a quanto pare avere ragione non basta, visto che questi episodi accadono, e  - almeno a livello ufficiale, di ministero della Giustizia – li  si sopporta benissimo. Non basta, dunque, il sovraffollamento, l’essere rinchiusi in piccole celle in quattro, cinque, sei, con il caldo che fa impazzire e tutto quello che sappiamo. Ora abbiamo anche casi clamorosi di mancata assistenza come quello che il Garante dei detenuti di Napoli segnala.

 

Chissà se anche questo episodio rientra nella amplificazione mediatica ingiustificata che ingenera sfiducia, come dice la recente circolare che il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria ha diffuso.

 

Per restare in tema di amplificazione mediatica ingiustificata che ingenera sfiducia. L’altro giorno “l’Unità” ha pubblicato un dialogo tra un giornalista del quotidiano e lo scrittore Andrea Camilleri, il padre del commissario Montalbano e di molte altre deliziose storie. 

 

Il giornalista, Saverio Lodato, traccia il quadro della situazione carceraria: quasi 40 detenuti che si sono tolti la vita. Da Roma a Siracusa, da Milano a Ragusa, da Torino a Lamezia Terme, da Padova a Piacenza a Reggio Emilia, da Varese a Como, da Brescia a Venezia a Ancona a Frosinone, si moltiplicano i casi di autolesionismo estremo. I suicidi non hanno nulla in comune. Uno era ergastolano. Uno sarebbe uscito per buona condotta. Uno si è impiccato poco prima di tornare in libertà. Uno perché lo stavano estradando. Uno era Rom. Uno napoletano. Uno albanese. Tutti sanno che in questo momento nelle carceri sono rinchiuse 68.000 persone ma che la capienza prevista è di un massimo di 43.000. Ad appesantire il bilancio, una cinquantina di casi in cui gli agenti hanno evitato il tragico epilogo. Cosa non si è detto e scritto sulle carceri italiane. Che erano poche, e ne andavano costruite altre. Che erano troppe, e bisognava depenalizzare. Spalancare le porte o buttare la chiave? E ora? Riprenderanno le visite dei parlamentari di ogni colore. Non crede?, chiede a Camilleri.

 

Mi pare”, risponde lo scrittore, “che alla notizia del suicidio di un detenuto, uno dei tanti, alcuni giornali abbiano riportato il nobile commento di un deputato della Lega: “uno di meno”. Poteva un leghista smentirsi? Naturalmente ci sono state le solite sdegnate reazioni, si è ripetuto insomma quello stanco rituale tutto italiano di accuse e controaccuse destinato a finire come una bolla di sapone. Perché il problema delle carceri in Italia non è stato seriamente affrontato da nessun governo. E certo non può essere risolto in modo definitivo con sfoltimenti momentanei dovuti ad amnistie, indulti, depenalizzazioni che, tra l’altro, hanno troppe controindicazioni. Il fatto certo è che mentre le carceri scoppiano, manca la volontà politica di porvi rimedio. Il ministro Alfano, tra un lodo e l’altro, aveva sbandierato tempo addietro un suo piano-carceri. Dov’è andato a finire? E qui c’è da chiedersi il perché di questa non volontà. L’opinione pubblica, ammesso che esista, si dimostra poco interessata al problema. Agli italiani, so di dire una spiacevole verità, importa sempre meno delle difficoltà altrui, la loro sensibilità negli ultimi decenni si è molto appannata. Fatte le dovute eccezioni, naturalmente. Non si sono ribellati alla disumana legge sui respingimenti indiscriminati, alla legge che fa dell’emigrato clandestino un reo, figurati quanto gliene importa se in cella si sta un po’ strettini. Da parte loro, i politici si sentono al sicuro: a forza di leggine, norme, regolamenti, non si darà che rarissimamente il caso che uno di loro vada a finire dietro le sbarre. Sono sempre così decisi a far quadrato davanti alle richieste della magistratura, così granitici nella difesa della casta da far invidia al sindacato del tempo di Di Vittorio. Ora mi chiedo: quando una cella che potrebbe contenere al massimo quattro detenuti ne contiene otto, viverci dentro minuto dietro minuto per mesi e mesi e anni e anni, non diventa impresa disumana? Siamo così attenti che gli animali degli zoo abbiano buone condizioni di vita nelle loro gabbie e ce ne freghiamo di quello che avviene nelle carceri? Credo che l’esistenza quotidiana dei detenuti in un carcere sovraffollato somigli molto a un’insopportabile forma di tortura. La quale tortura, se non sbaglio, non è un reato contemplato dal nostro codice. Ed ecco spiegato perché il governo Berlusconi, visto e considerato come vengono trattati i detenuti in Italia, ha dichiarato di non avere nessuna intenzione d’introdurlo. Accà nisciuno è fesso!”.

 

Che dire? Se quelli come quel deputato leghista che esulta dicendo “uno di meno” sono gli intelligenti o i furbi, con una punta di fierezza si rivendica di appartenere ai fessi. Ma vengo all’appunto a Camilleri. Parla di disumana legge sui respingimenti indiscriminati. E’ la conseguenza del trattato siglato con la Libia di Gheddafi; trattato votato anche dai parlamentari del PD. Come ha ricordato Furio Colombo “D’Alema ha interpretato il Trattato e ha guidato, o piuttosto ordinato, il “sì” del PD alla legge che vìola Costituzione, Carta dei Diritti dell’Uomo e Carta dell’Onu. Tutto il Pd ha taciuto e votato, come chiedeva D’Alema, tranne due soli ”NO”, mio e del deputato Sarubbi, e dell’intero pattuglia Radicale, e di venti astensioni. IL PD, PER RAGIONE INSPIEGATE, E’ STATO DUNQUE IL SOLO PARTITO DI OPPOSIZIONE A VOTARE IL TRATTATO MILITARE CON GHEDDAFI CHE CAMBIA LA POLITICA ESTERA ITALIANA”.

 

E ora Camilleri ci parla di disumana legge sui respingimenti indiscriminati? E va bene denunciare fatti e misfatti di Berlusconi e dei suoi ministri. Però, quando Camilleri dice che “ce ne freghiamo di quello che avviene nelle carceri”, abbia cura, la prossima volta di fare nomi e cognomi di chi se ne frega. E sia così gentile da non mettere i radicali tra coloro che se ne fregano. Perché quando fa così, i cabasisi girano a mille.

 

va.vecellio@gmail.com

 



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