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PANNELLA: BETTINO UN EROE TRAGICO, UN ERRORE NON FARSI ARRESTARE

18 novembre 1999

INTERVISTA A MARCO PANNELLA SUL "CORRIERE DELLA SERA", di Giovedì 18 novembre 1999 pag.9

Roma - Si può parlare della vicenda di Bettino Craxi come di una metafora dell'Italia di questi anni, dall'esaurimento della prima Repubblica alla lunga transizione? E oggi che cosa si deve leggere nello psicodramma che si svolge tra Hammamet e Milano? Marco Pannella è stato amico e avversario di Craxi. Ha vissuto gli eventi da politico corsaro, ma riesce a decifrarli con la passione dello storico che sa infrangere i luoghi comuni. "Nel dramma di Bettino leggo la follia del potere. L'ammonimento della tragedia greca e shakespiriana che giunge fino a noi attraverso i contributi di Beckett e Jonescu. Il potere è pazzo e troppi balbettano perché hanno paura di usare la parola. Craxi ha la dignità di un attore in questa tragedia italiana. Il posto degli altri è solo nel coro. O tra la plebe che guarda, applaude o trema".

Domanda: Craxi è vittima di se stesso, del sistema, di un complotto, o di che altro?
Risposta: E' la vittima del divorzio tra il potere, la legge, la parola. Lui è stato messo alla gogna perché ha proclamato in pieno Parlamento che se la colpa è di tutti non è più colpa, ma legge. Gli altri, i correi, hanno risposto mettendolo in gabbia come una belva. E io io che mi alzai alla Camera per dire che no, tutti devono pagare: se la colpa è di tutti, non ci può essere assoluzione, ma condanna, perché a prevalere deve essere il diritto. Ebbene, io avrei voglia di affibbiare un paio di calci negli stinchi a Bettino. Piano, per non fargli troppo male. E sa perché? Perché Bettino è un testone. Non ha capito nulla, fin dall'inizio. Quante me ne ha fatte, Craxi Ma dal '92 io non ho perso una sola occasione per evocare "il mio amico Bettino", pur spiegando tutte le cose, sulle quali non ero d'accordo con lui. Parlavo del "mio amico", nel momento in cui lui era sottoposto al linciaggio. Per sostenerlo e incitarlo a non commettere gli errori che invece ha inesorabilmente commesso".

Domanda: Quali errori?
Risposta: "Avevo scommesso con Craxi che i suoi avversari lo avrebbero salvato alla Camera, nel voto della primavera'93 sull'autorizzazione a procedere. Salvarlo per condannarlo e chiuderlo nella gabbia. Così è avvenuto. Io gli dicevo: "Bettino, lasciati arrestare. Te ne vai a Rebibbia per un po', ti curi, smetti di fumare Avrai tonnellate di lettere e ne uscirai come un trionfatore". Lui mi rispondeva facendo con la mano sinistra rivolta in basso il gesto che una volta rese celebre Giovanni Leone: "Io farmi arrestare? Mai". Craxi ha agito da quel socialista riformista, e non socialista liberale, qual è. Una cosa è il diritto di libertà, un'altra la libertà. Scegliendo la libertà si è ucciso il diritto. Se avesse rinunciato alla libertà, avrebbe affermato il diritto. Per se stesso e per tutti. E invece ha pagato, vittima di una vicenda iniqua, straziante e indegna".

Domanda: Ha pagato per l'illegalità diffusa che non annulla il reato.
Risposta: "No, Craxi è diventato letteralmente e oggettivamente il capro espiatorio di un intero regime. E questo grazie alla fellonia di un partito dei giudici al quale io rimproveravo nel '92-93 - lo sa Di Pietro e lo ricorda Borrelli - la stranezza della mancata contestazione del reato di associazione a delinquere all'intera classe politica. Perché non lo contestavano? Craxi in pieno Parlamento aveva "confessato", non perché pentito, evocando una correità senza eccezioni. Aveva detto: "E' quasi tutto vero". Mi chiedo allora perché le imputazioni riguardano, che so, il solo Citaristi. O il solo CAF".

Domanda: E' quale risposta si è dato?
Risposta: "Mi dico: ecco che cosa vogliono dire 55 anni di regime, anziché venti quanti ne durò il fascismo. Aveva ragione Bergson: la natura delle cose è data dalla loro durata. E' questo che permette la perfezione tecnica del regime, un sistema in cui la censura e il soffocamento dolce del dissenso sono la norma. Con la RAI che cancella sistematicamente i radicali e le loro battaglie. Con Mediaset che non è da meno. Nell'arco di anni, faccio un esempio, io vengo invitato in tutto due volte a "Porta a Porta" e solo per un obbligo di equità imposto dalla Commissione di Vigilanza. Adesso sento dire che sono in preparazione trasmissioni sul trentennale della legge del divorzio e guarda caso noi siamo ignorati."

Domanda: Eppure Craxi o il CAF erano parte integrante del "regime", non erano di sicuro fuori del sistema.
Risposta: "Ma la mafia conosce le strade per rinnovarsi. I Corleonesi sostituiscono i Palermitani attraverso un confronto sanguinoso. E la Sicilia prefigura l'Italia. Io rivendico di aver parlato di grande cupola della mafiosità partitocratica. Una cupola all'ombra della quale il tradimento del diritto è consistito nel delinquere contro la legge scritta. Nel sistematico straripamento dei poteri dal loro alveo. La vittoria dell'incertezza del diritto".

Domanda: E' qui la responsabilità politica di Craxi? Nell'aver assecondato l'incertezza?
Risposta: "Ricordo la grinta di Craxi ai tempi in cui facevamo politica all'Università. Lui ha creduto di essere più bravo dei "maestri" (maestri di cinismo) del PCI e della DC in uno schema pseudo-machiavelliano in cui i fini giustificano i mezzi. E invece i mezzi condizionano e prefigurano i fini. Oggi viviamo in una società senza leggi dove il libro è stracciato. Ma l'Italia stia attenta. La Jugoslavia non è vicina, è dentro le nostre coscienze. E Norberto Bobbio ce lo ha fatto capire in questi giorni raccontando sul "Foglio" di se stesso, del suo passato ".

Domanda: Una riflessione su se stesso coraggiosa e dolorosa.
Risposta: "Come un nuovo Julien Benda, Bobbio ci ha parlato del tradimento dei chierici nell'Italia degli anni Venti-Trenta. Tradimento come sdoppiamento e doppiezza dell'intellettuale antifascista che ammette di essere stato fascista senza aver compreso la natura del fascismo. C'è un termine patologico per definire tale sdoppiamento ed è schizofrenia. Secondo Foucault nobilissima malattia. Come è noto la schizofrenia non tollera di fare i conti con la forza dei fatti. In questo caso con la materialità partitocratica, che viene rimossa. Ma la partitocrazia è pervasiva, ben oltre il ventennio fascista. I partiti succedono al partito unico senza spezzarne la logica. La fazione prende il posto della nazione restando giacobina. Oggi lo scontro è analogo a quello tra monarchia assoluta e monarchia costituzionale. Tra il principe al di sopra della legge e il principe servitore della legge. E Bobbio che cosa fa? Realizza una vittoria privata su se stesso con un atto di sincerità che gli dà finalmente diritto al titolo di maestro. Ma con il potere di oggi ha lo stesso atteggiamento di allora. Non vede la violazione della legge e l'assenza del diritto".

Domanda: D'Alema ha tentato una lettura non banale degli anni di Tangentopoli.
Risposta: "D'Alema è patetico perché è autentico. Come un personaggio di Rocco Scotellaro. Un assessore di Eboli che con il partito cerca di far arrivare Cristo. Senza sapere che al massimo glielo porteranno in catene. Se riconosci che l'Italia va governata in modo liberale, allora lascia fare ai liberali, non pretendere di metterti al loro posto".

Domanda: Ma c'è o no nelle parole di D'Alema un tentativo di ripensare gli anni di Craxi?
Risposta: "Quando il Pci rivalutò Saragat dopo la sua morte io mi arrabbiai. Dissi che l'unico modo serio consisteva nel rivalutare non Saragat, ma i saragattiani. Sono sempre di quell'avviso".

Di Stefano Folli



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