Roma, 16 ottobre 1999
Caro Silvio,
fra il 1935 e il 1942, fra i miei cinque e dodici anni, come Figlio della lupa prima, come Balilla poi, almeno un paio di volte l'anno all'inizio, alla fine molto più sovente, ero "convocato" in una delle mille e mille piazze italiane, per ascoltare lì, piuttosto che a casa (non tutti avevano la radio), le parole del Capo.
Quando leggo, su quotidiani e agenzie di stampa, le crescenti solfe e pippe del giornalismo italiano, e so che giorno e notte fino al domattina si darà in TV la messa ufficiale del "Security DAY" (ma come ti vengono certe geniali idee?), ho proprio il senso del passato che non passa mai; di un passato, oltretutto, che ha l'imperdonabile torto di essere stato un giorno (oggi, un secolo fa?) effettivo presente.
Ad agosto affittasti una squadriglia di velivoli e ti sentisti niente meno che Lauro de Bosis. Perché no? C'era differenza solamente sul costo dell'operazione: a Lauro costò la vita ( e sapeva di rischiarla, di doverla rischiare) a te - al massimo- l'equivalente non so se di uno o di tre minuti, tre minuti non della tua vita, ma degli interessi che ti fruttano nelle banche i tuoi capitali.
Oggi, che ti senti? Un po' Benito oltre che Silvio?Quanto a me, te lo assicuro, non so bene perché, fra te, Massimo e Romano imperanti, sto attraversando una sorta di "insicurity year and day". Ma spero che tu, Silvio, come a suo tempo Benito fece per Pietro, veglierai perché i tuoi lascino vivere anche il tuo
aff.mo
Marco