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BONINO: LE NOSTRE PROPOSTE REFERENDARIE SONO UN CONCRETO E RAGIONEVOLE TENTATIVO DI RIFORMA

12 ottobre 1999

Segue l'intervento di Emma Bonino su "Il Corriere della Sera" il 12 ottobre '99 a pag.13

Caro Direttore,
il Ministro degli Esteri Lamberto Dini, sul Corriere di ieri, ha ritenuto di attaccare violentemente i referendum radicali su libertà economiche e welfare. Non è certo il primo a farlo. Il Presidente dei senatori diessini Gavino Angius ha definito i referendum "il più grave attacco alla libertà e ai diritti dei lavoratori e delle lavoratrici in questi cinquant'anni"; Sergio Cofferati parla in continuazione di "attacco ai diritti dei più deboli"; il Presidente D'Alema ha stigmatizzato il quesito sull'art.18 dello Statuto dei Lavoratori come "uno sfregio ai lavoratori". Per non dire delle accuse di ogni tipo che vengono dalle "seconde file" dell'Ulivo e dai Bertinotti e Cossutta.

Forse Dini sente minacciata dalla nostra iniziativa il suo ruolo di "liberista ragionevole", o forse teme che sulle nostre proposte concrete di liberalizzazione convergano - come già in parte succede - sempre più numerosi consensi della sua "base elettorale" e anche degli esponenti diniani nel Governo e in Parlamento. Poco mi importa questo, in fondo.

Mi importa assai, invece, replicare alla accusa fantasiosa di "finto liberismo selvaggio" che il Ministro degli Esteri muove ai referendum radicali. Al contrario di quanto ritiene Lamberto Dini, i nostri quesiti rappresentano un concreto, ragionevole e forse troppo moderato avvio di riforma liberale in un paese che non ha mai conosciuto altro da ottant'anni che il corporativismo nelle sue varie declinazioni, ultima quella "concertativa". Non solo, nel clima pre-elettorale e dilatorio che ormai si respira, l'appuntamento referendario della prossima primavera rappresenta l'unica - e forse ultima - occasione perché l'Italia, come ha detto il Presidente Ciampi, "ricominci a correre" quanto o più dei partner europei. Oppure, per recuperare quel gap di competitività che, come ci ha ricordato il Senatore Agnelli a Cernobbio, cresce anziché diminuire.

Dini paventa il "rischio" che "i cittadini - oggigiorno spesso assai più liberali dei loro governanti - si rivolgano a quell'offerta di finto liberismo selvaggio proveniente dalla spinta referendaria". Quel "rischio" è già una realtà, come dimostrano l' 8,5% alla nostra Lista e, ancor più, le oltre ottocentomila firme di cittadini convinti ed appassionati che hanno sottoscritto nella calura agostana i quesiti per la liberalizzazione del mercato del lavoro o per una riforma della previdenza immediata, ragionevole e - forse- decisiva.

Su un punto siamo d'accordo: gli italiani sono oggigiorno più liberali dei loro governanti. Ma non solo dei governanti, dal momento che il potere "politico" nell'Italia della concertazione è ben più ampio di quello costituzionalmente previsto e codificato: milioni di lavoratori sono più liberali delle oligarchie che guidano il sindacato e milioni di imprenditori più di quei pochi o pochissimi - privati e pubblici - che determinano le scelte di Confindustria.

I "cittadini" - milioni di giovani e donne disoccupate, milioni di partite Iva, centinaia di migliaia di imprenditori che delocalizzano per necessità le proprie produzioni non in Romania, ma in Savoia, in Carinzia o in Irlanda - avvertono l'urgenza di liberare l'economia e costruire un welfare non più fondato sul paternalismo statalista ma sulle libere e responsabili scelte individuali.

L'oligarchia dei poteri politici e "concertativi" non è riuscita in questi anni ad offrire soluzioni adeguate e non ha trovato di meglio che azionare al massimo la leva fiscale. Ne sa qualcosa l'ex Ministro del Tesoro Dini, il cui tentativo di riforma strutturale della previdenza saggiamente messo in atto nel 1994 è stato brutalmente stroncato dal blocco politico e sindacale della attuale maggioranza al grido "no al massacro sociale". Ne sa qualcosa l'ex Presidente del Consiglio Dini costretto nel 1995 ad una "riformetta" della previdenza di cui lui stesso avverte l'inadeguatezza.

Presi uno per uno, i nostri referendum - liberalizzazione dei contratti a tempo determinato, a part-time e a domicilio; abolizione dell'anomalia italiana del reintegro disposto dal giudice in caso di licenziamento giudicato immotivato e sua sostituzione con l'alternativa tra riassunzione o indennizzo monetario; liberalizzazione del collocamento privato; innalzamento immediato dei requisiti minimi per la pensione a 57 anni d'età o 40 anni di contributi - ci consentirebbero semplicemente di allineare parte della nostra legislazione a quella degli altri paesi di democrazia politica, liberale o socialdemocratica che sia. Consentirebbero ai "nostri" lavoratori disoccupati di avere le medesime chances di trovare un impiego regolare dei propri connazionali europei e agli imprenditori di non subire, o subire meno, penalizzazioni strutturali nei confronti dei concorrenti (e magari di assumere molto di più).

L'accusa che l'esito positivo dei referendum riporterebbe all'indietro di cinquant'anni il nostro paese farebbe solo sorridere, se a pronunciarla non fosse un autorevole esponente del Governo e della maggioranza. Il nostro paese e la nostra economia vivono oggi con le stesse regole di cinquanta o trenta anni fa. Regole inadatte, ora che la moneta unica impedisce la svalutazione e il deficit spending, ad assicurare condizioni di crescita economica ed occupazione. Il Presidente D'Alema, per fare un esempio, proclama che "l'era del posto fisso è finita" ma subito dopo difende a spada tratta dall'attacco referendario proprio le leggi sul posto fisso.

Luigi Einaudi lamentava che gli statalisti nostrani facevano delle proposte liberiste una caricatura, un fantoccio perché, diceva, "è così facile combattere contro un fantoccio". Ho il timore che la situazione non sia cambiata di molto.

Se non fossimo in Italia, probabilmente, i nostri referendum sarebbero solo proposte di buon senso. Siamo in Italia, e per questo sono davvero proposte rivoluzionarie. Da rivoluzione liberale.



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