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PANNELLA: «SUI REFERENDUM TEMO UN GOLPE. MA DAREMO BATTAGLIA PER IMPEDIRLO»

23 settembre 1999

Il pericolo è la Consulta. Ma Oggi è difficile una vergogna come quella del 1995"
Il leader attacca il "fronte unico della conservazione: D'Alema, Berlusconi, Fossa e Cofferati"

Intervista a Marco Pannella su "Il corriere della Sera" del 20 settembre 1999 pag.11

ROMA - Premette: "Io farei la vittima? No, io non mi lamento. Io lotto".
Però Marco Pannella, incassata la prima vittoria con il raggiungimento del tetto di firme utile per presentare i venti potenzialmente devastanti referendum radicali, denuncia il silenzio su 18 di loro.
Attacca il "fronte unico contro il referendum", il partito "della conservazione" di D'Alema, Berlusconi, sindacato e Confindustria. Sprona: "Imprenditori, professionisti, universitari: abbiamo bisogno di loro per farcela". E, tenendo alta la bandiera della "rivoluzione liberale", ammonisce: "Quattro volte su cinque, tra il 1971 e il 1983, una legislatura è stata interrotta anticipatamente per impedire lo svolgimento dei referendum. E sono in tanti ad avere interesse che finisca così anche stavolta".

Però è iniziata già la rincorsa ai referendum: il leader dei Ds Walter Veltroni ha detto che pur di avere una nuova legge elettorale è pronto ad appoggiare il quesito anti-proporzionale proposto da An e dai radicali. Un fatto positivo?
"Vede, vi sono venti referendum e la prima domanda che lei mi fa è sull'"aiuto" di Veltroni al referendum "di Fini". Per carità, niente da dire a Fini, ma ricordo che quel referendum fummo noi radicali, da soli, a presentarlo in Cassazione la prima volta. E le firme sul nostro quesito basterebbero da sole. Però si parla di "quel" quesito, e non di un pacchetto di 20 referendum tanto importante che, parole del ds Angius condivise da Cofferati, "rappresentano il più grave e pericoloso attacco ai diritti e alle libertà da 50 anni in qua"".

Sì ma il referendum elettorale...
"Parliamone. E ricordiamo che il fallimento del quorum fu dovuto al fatto che tutti i partiti promotori, tranne noi, avevano tranquillamente annunciato che dopo il referendum la nuova legge sarebbe stata fatta dal Parlamento. E la gente fu nauseata. Bene, noi lo ribadiamo ferocemente anche stavolta: si vota con la legge approvata dal referendum".

Si parla solo del referendum elettorale perché fa più paura?
"No, al contrario: non si parla di ciò che fa paura. E infatti si mette al centro della discussione l'unico referendum su cui è forse possibile che i partiti trovino un inciucio in Parlamento. Farne l'unico oggetto di dibattito è un'ulteriore riprova della reazione consociata dei due Poli, del sindacato e della Confindustria per cercare di disinnescare insieme il grande conflitto politico e sociale che i venti referendum liberisti e liberali, tutti insieme, possono incardinare. C'è un fronte unico, come sul referendum per il divorzio: tutti, a chiacchiere, non contro il divorzio in sé, ma lo strumento. Perché sanno che le loro basi sociali li hanno ormai sorpassati, e che di noi si fidano come dimostra il gradimento per Emma Bonino presidente, per la sua riconferma in Europa, per la nostra lista alle Europee, per i milioni, tra i 15 e i 17, di firme sui referendum. L'unico fatto incontrollabile per Ulivo e Polo non è l'Asinello: siamo noi".

Lei parla di un grande accordo Polo e Ulivo, ma non si registra aria di grande intesa...
"Sui titoli dei giornali e in tivù no, perché - come i ladri di Pisa litigavano di giorno per rubare meglio insieme di notte - così loro si inventano una rissa a settimana ma sulle regole costituzionali, sulla legge elettorale, sulle grandi nomine, a Roma e a Bruxelles, istituzionali e di potere, e ora sui referendum hanno lo stesso, identico atteggiamento. Sono tutti contro il libero mercato, tanto Mediaset quanto Zaccaria, e poi si scannano magari a spese di Previti. Fossa, Cofferati, Berlusconi, D'Alema, Cossutta e anche Rauti sono uniti sulle cose essenziali: rappresentano un regime che cerca disperatamente di mantenere al potere il blocco sociale che governa da 80 anni".

E nessuno sarebbe "fuori dal gioco"? Fini, i Democratici?
"Fini deve mantenere una posizione più ambigua, di riserva, sennò che spazio gli resta? Se diventa Casini anche lui è finito. I Democratici sono una federazione di personalità divergenti".

Significa che continuerete ad andare avanti da soli, e alle regionali non farete accordi?
"Il prossimo appuntamento politico vero non sono le regionali ma il possibile golpe della Corte costituzionale sui referendum".

Anche quello della Cassazione, visto che secondo alcuni il referendum sulla legge elettorale non può essere ripresentato prima di 5 anni?
"No, quella è un'obiezione assurda, già respinta da costituzionalisti di fama. Il pericolo è la Consulta: oggi è più difficile un'altra vergogna come quella del '95 (quando vennero dichiarati inammissibili molti referendum proposti dai radicali, ndr), ma sarà battaglia per impedire che quel golpe accada di nuovo. E se vinceremo, sarà già scoppiato il grande conflitto sociale tra il nuovo terzo stato e il blocco dei conservatori di potere. Regionali, politiche: viene tutto dopo".

Le danno del distruttore, incapace di costruire: brandendo l'arma di venti referendum e rifiutando la trattativa non rischia di dar ragione ai suoi detrattori?
"E cosa avrei distrutto io nella mia storia? La barbarie, con il referendum sull'aborto? Un certo concetto di persona, con il divorzio? Un sistema, con il maggioritario secco? Mi chiedono che ci faccio con i parlamentari europei radicali, con Emma: beh, abbiamo una classe dirigente invidiabile. E con i venti referendum oggi possiamo andare al vero scontro sociale, perché abbiamo, lo sentiamo, un diffuso consenso sociale. A me interessa che l'Italia compia la sua rivoluzione liberale, sociale e politica. Se ci sarà, sarebbe uno strafalcione di ortografia ragionare sin d'ora su come governare il processo rivoluzionario in corso: quali saranno i nuovi protagonisti, i soggetti sociali e politici lo vedremo".

Paola Di Caro



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