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TIMOR EST: INTERVISTA AD EMMA BONINO

20 settembre 1999

Da "Il Corriere Della Sera" sabato 18 settembre 1999, pag.7

Intervista all'ex Commissario Europeo Bonino: "L'intervento arriva tardi. Ma l'Italia ha dimostrato di avere un ruolo in campo internazionale" "E possibile che alla prossima crisi non avremo più forze da mandare, ma aiutare quellagente è un dovere"

NEW YORK. Giovedì pomeriggio Emma Bonino avrebbe dovuto ricevere al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite uno speciale premio umanitario per il suo impegno in Kosovo e in altre aree di conflitto. Ma l'uragano Floyd ha costretto anche l'Onu alla chiusura anticipata, rimandando la consegna ad ottobre.

"Avrei voluto parlare della crisi timorese: un dramma che mi sta molto a cuore - racconta l'ex Commissario europeo -. Penso che l'intervento a Timor sia tardivo e sia scattato solo al traino di immagini televisive e dello sdegno popolare. Ma il fatto più grave è che stuoli di diplomatici, ambasciatori ed esperti militari hanno seguito da vicino il referendum in Indonesia senza, almeno così dicono, presagire niente".

La responsabilità dei massacri ricade anche sull'Onu?
"L'Onu e l'Europa hanno giustamente patrocinato il referendum, come giustamente non avevano mai accettato l'arbitraria annessione di Timor Est da parte di Giakarta. Ma sono mancati gli interventi per proteggere i diritti dei votanti, che pagano per aver creduto in una procedura democratica garantita dalla comunità internazionale. Non so se la miopia dell'Onu sia dovuta agli errori dell'intelligence o alla noncuranza del Consiglio di Sicurezza che ha preferito chiudere gli occhi. La responsabilità è collettiva".

Come giudica la decisone dell'Italia di intervenire a Timor, mentre altri Paesi come Giappone e Germania si defilano?
"Si torna al grave problema della non applicazione degli articoli della Carta Onu sulle forze militari internazionali. Articoli che rimangono solo in teoria a disposizione del Consiglio di Sicurezza e del Segretario Generale. In realtà ogni volta che il Consiglio decide qualcosa il Segretario Generale deve mettersi al telefono come un mendicante per cercare Paesi "disponibili". Questo ha rallentato i soccorsi, lasciando aperta la strada al "no" di alcuni Paesi".

L'Italia merita dunque più di altre nazioni un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza?
"Io apprezzo la posizione del nostro Paese che si assume sempre le proprie responsabilità nell'ambito della comunità internazionale. La battaglia italiana è giusta, in prospettiva, perché è l'Europa che deve avere un seggio permanente. La crociata dell'ambasciatore Paolo Fulci in questo senso è vitale".

Che cosa spinge il nostro Paese ad intervenire nelle aeree di conflitto?
"La voglia di essere protagonista responsabile della comunità internazionale. Penso anche ad altre battaglie, intraprese su spinta radicale, come il Tribunale internazionale permanente e la moratoria sulla pena capitale. Da Amato in poi, tutti i governi italiani hanno unito un ruolo propositivo alla disponibilità a condividere costi e sacrifici che esso comporta. Nella nuova realtà globale questo atteggiamento continuerebbe anche se in Italia tornasse la destra al potere".

Ma non sarebbe meglio per l'Italia concentrare le proprie forze più vicino a casa?
"Timor è entrata a casa nostra come Pantelleria. Certo, anche l'Italia ha dei limiti ed è possibile che questo sforzo sollecitato dall'Onu sia l'ultimo e che alla prossima crisi non avremo più nessuno da mandare. Ma se è normale privilegiare zone vicine come Albania o Kosovo, è moralmente giusto intervenire ovunque".

Che cosa pensa del fatto che vengano inviati a Timor i paracadutisti della Folgore, dopo le tante polemiche che hanno colpito la brigata?
"Io non ho partecipato alla ridicola demonizzazione dell'intera brigata perché credo nella responsabilità individuale e non nelle generalizzazioni. I comportamenti criminali vanno puniti, ma attenti a fare di ogni erba un fascio".

Come giudica il ruolo del Papa nella crisi timorese?
"Il Pontefice si è esposto molto e certamente anche per il legame religioso. In passato si è avuta l'impressione che i cattolici gli stiano più a cuore di altri. Ma posso dire, come laica, che lo sento presente in tutte le grandi crisi. A prescindere dalla confessione delle vittime".

di Alessandra Farkas


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