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CAPPATO ALL'INCONTRO DEI PROMOTORI DELL'ASSEMBLEA DEI MILLE

7 febbraio 1999

Quello che segue è la trascrizione dell'intervento di Marco Cappato in occasione dell'incontro dei promotori dell'Assemblea dei Mille tenutosi a Roma il 7 febbraio scorso all'Hotel Ergife, fa testo la registrazione di Radio Radicale.



INTERVENTO DI MARCO CAPPATO - ERGIFE 7/2/99



Benvenuti. Grazie di essere venuti, a un preannuncio così corto come corti sono i termini che ci stiamo dando per questa impresa dei Mille, per l'Assemblea dei Mille: che più che un obiettivo in sé deve però essere, se ce la facciamo - cioè se entro il 20 Febbraio saranno raggiunti i mille preannunci, e mi pare che tutto sommato non stiamo andando male - un punto di partenza, l'occasione per metterci in grado di affrontare nuovi progetti e nuove iniziative di lotta. Abbiamo chiuso un anno e mezzo fa il Movimento dei Club Pannella-Riformatori (molti, credo quasi tutti quelli che sono qui c'erano anche allora) di fronte alla constatazione che quel soggetto politico, il piccolo movimento, il piccolo partito dei referendum della rivoluzione liberale, liberista e libertaria non era adeguato alle sfide che avevamo davanti; non era adeguato a contrastare il rafforzamento in corso del regime, della partitocrazia, del regime illiberale.



I suoi referendum, quei referendum che proponevamo all'imprenditoria, al Terzo Stato, all'anima liberale di questo paese, non erano bastati a catalizzare una forza politica in grado di contrastare l'irrigidirsi del regime. Ma non siamo stati con le mani in mano, per un anno e mezzo. Abbiamo dovuto, innanzitutto, fare i conti con la giustezza delle nostre previsioni; prima di tutto riguardo a noi, riguardo alla nostra storia, riguardo all'identità, riguardo alla necessità che il potere in Italia aveva ed ha di eliminare i contenuti, ma anche le facce e le storie delle lotte radicali. Questo è stato dunque un anno e mezzo in cui sicuramente la battaglia più dura, per tutti noi ma in particolare per Marco Pannella, è stata la battaglia per non essere cancellati, per non essere cancellati come Radio Radicale; cercando di fare passare anche in Parlamento, anche nella coscienza del paese il messaggio, o almeno l'idea, che l'attentato ai diritti civili e politici che denunciavamo, che era commesso contro di noi e la nostra storia, non era soltanto la lettura politica di quel determinato momento, ma qualcosa di più, era un'accusa. La nostra era una denuncia, una denuncia precisa, che si fondava sulle cifre del Centro di ascolto, le cifre della nostra eliminazione dai contenitori dell'informazione. E per la prima volta, forse, qualcosa di diverso da noi, di altro da noi si è mosso, se la Commissione di Vigilanza, il suo Presidente, hanno avuto il coraggio di parlare del genocidio culturale in corso contro i Radicali, la Lista Pannella, la forza politica che rappresentiamo. Questo è stato il fronte che durante gran parte di quest'anno e mezzo ci ha visto particolarmente attivi.



Ma abbiamo provato a lanciare altre cose, altre iniziative. Siamo andati avanti con le lotte transnazionali del Partito radicale, con il successo del tribunale penale internazionale, della conferenza di Roma. Proprio nel bel mezzo della lotta per Radio Radicale abbiamo avuto l'idea, dopo vent'anni dalla creazione di quella Radio, di andare oltre, di dare e offrire altri strumenti per la democrazia indiretta, per la democrazia intesa come agorà, cioè riportata a diretto contatto con i cittadini. Il convegno sulla rivoluzione tecnologica per la rivoluzione liberale è stato il tentativo, della piccola forza organizzata che siamo, di proporre un grande scenario, la grande alternativa della riconversione dei bilanci pubblici - ma soprattutto delle priorità dello Stato - sulle nuove tecnologie, sulle opportunità che davano e danno le nuove tecnologie alla democrazia, al diritto, allo Stato di diritto. Ci abbiamo provato, almeno; poi, sfortunatamente, la lotta per la sopravvivenza di Radio Radicale, in difesa di Radio Radicale ma in realtà dei diritti civili e politici fondamentali dei cittadini, non ci ha permesso di andare oltre alle proposte di legge, presentate, non ci ha permesso di impostare iniziative e battaglie su quel settore, sul fronte delle rivoluzioni tecnologiche al servizio dello Stato di diritto.



In questa condizione, con tanti fronti, tanti obiettivi, tante speranze che comunque restano aperte - con le associazioni, i soggetti radicali, il partito transnazionale e le imprese radicali - da un anno e mezzo non siamo riusciti a trovare l'occasione e la forza di proporre un congresso, di proporci al dibattito politico sulle regole, sulle forme per fare politica. A questo punto, però, siamo ad un momento in cui il protrarsi di questa situazione, fatta di tante iniziative - lodevoli certo, importanti certo, però disparate e distribuite sui vari soggetti - rischia di consumare il nostro patrimonio, il patrimonio radicale di fronte alle scadenze della politica: la Presidenza della Repubblica, le elezioni europee e quelle amministrative, i referendum e tutto quello che i prossimi mesi, il calendario della politica che è già lì, ci offre. Un gruppo dirigente, certo informale, che non ha certo più regole di investitura formali in quanto gruppo dirigente ma che comunque di fatto si trova a esercitare delle responsabilità importanti e difficili, si è posto l'obiettivo di affrontare un salto di qualità, di cercare un momento che permettesse almeno di dare un'occasione alla storia radicale, all'area radicale, per creare qualcosa di adeguato dinanzi alle prossime scadenze politiche e al rafforzamento del "regime". Allora: 5, 6, 7 Marzo, Assemblea dei Mille.



Dunque, la prima riflessione che dovremmo fare è: se un anno e mezzo fa abbiamo deciso di chiudere il partito, il movimento italiano con i suoi club perché lo ritenevamo inadeguato, che cosa ci può fare pensare che oggi si possa fare qualcosa di diverso? In che cosa dovremo, questa volta, essere adeguati? Quali nuove risorse e nuove energie possiamo pensare di coinvolgere e di catalizzare? Credo però che il primo punto di questa riflessione sia di constatare quanto le nostre analisi sulla politica e sulla società italiana siano state preveggenti, dimostrando ogni giorno la loro attualità e correttezza: quando con il giornale Il terzo stato, ma ancora prima - ricordo - Marco Pannella, abbiamo iniziato a parlare di "blocco sociale", un blocco sociale della libertà del lavoro, della libertà di impresa, che può essere maggioritario nel nostro paese, un blocco sociale anche delle regole e dello Stato di diritto, abbiamo detto che in Italia erano riunite e sono riunite in questi anni condizioni del tutto eccezionali per cui le nostre riforme di libertà, la riforma istituzionale all'americana ma anche la riforma liberista e liberale del mercato del lavoro e dell'economia, vengono coincidendo con gli interessi di un blocco sociale che oggi è - proprio sociologicamente parlando - maggioritario, a differenza della situazione degli anni '70 e '80. Questa volta il blocco sociale su cui il potere della partitocrazia si fonda e si fondava - quello delle grandi burocrazie delle amministrazioni pubbliche, del lavoro garantito dei monopoli pubblici e privati, ecc. - si sta assottigliando, si sta sfaldando. E a un anno e mezzo dalla chiusura del movimento italiano abbiamo di questo conferme importanti, delle quali ci dobbiamo fare forza anche proprio nei contatti tra militanti, con le persone che vogliamo, che cerchiamo di contattare nelle nostre province, nelle nostre città, per farne militanti radicali. Mi pare che una delle migliori conferme delle nostre analisi sia il fatto che oggi quelle cose che da anni non solo diciamo ma mettiamo in movimento coi referendum - offrendole al paese per delle scelte, per delle decisioni e non come semplici bandiere di propaganda politica - quelle stesse parole, la centralità dell'affermazione delle libertà in Italia, la centralità delle libertà e del lavoro e di impresa, ecc, ormai non sono più soltanto affare nostro ma sono esplicitamente affare del Presidente del Consiglio Massimo D'Alema. Il quale, davanti al pubblico giusto, quello della Bocconi a Milano, davanti ai grandi volti dell'imprenditoria italiana, spesso assistita o monopolistica ma comunque grande imprenditoria, fa un discorso che potrebbe per certi versi essere un accompagnamento ad alcuni dei referendum che abbiamo proposto già da anni. Massimo D'Alema - non dimentichiamolo - già aveva proposto lo slogan rivoluzione liberale. Il fatto di ritrovare quelle parole sul licenziamento, sulle libertà di lavoro, sul part-time, sul lavoro a tempo determinato, nel programma del Presidente del Consiglio, di Massimo D'Alema, è una conferma importante di quanto avessimo toccato il punto giusto, politicamente con potenzialità rivoluzionanti e rivoluzionarie nella società e quindi nella politica di questo paese.



Walter Veltroni (mi raccontava Marco Berti, un compagno di Bruxelles che vedo qua presente) visitando gli ambienti comunitari parlava della necessità di rivolgersi al popolo dei giovani delle Partite IVA. Credo che non ci possano essere dubbi, questo è un linguaggio completamente mutuato e copiato - tranne che, giustamente Paolo Vigevano mi fa notare, per la demagogia sui giovani - da cose che noi dicevamo e soprattutto da anni dice Marco Pannella, e sulle quali magari potevamo avere e possiamo ancora avere, ovviamente, dei dubbi: ma ci sarà davvero questo blocco sociale?, ma in che misura delle proposte politiche di rivoluzione liberale potranno interessare questo blocco sociale, che sembra più un blocco di indifferenti o un blocco di evasori o un blocco di reazionari o "indipendentisti", con illusioni di ribellione invece che di proposta seria, di rivoluzione liberale in nome dello Stato di diritto e delle istituzioni? Intanto però il fatto che i vertici politici istituzionali vadano a toccare esattamente questi temi è una conferma importante, per il lavoro da fare da qui al 20 Febbraio, per il lavoro da fare - insomma - per l'Assemblea del 5, 6 e 7 Marzo. Vuol dire che abbiamo coltro nel segno, anche se poi due giorni dopo quel discorso in Bocconi, gli Stati Generali del lavoro convocati dai Democratici di Sinistra approvavano quello che hanno approvato, smentendo i D'Alema e Veltroni di pochi giorni prima; e anche se il giorno dopo la firma del Patto sociale che doveva essere quello dell'inclusione anche dei rappresentanti delle piccole e medio imprese nella concertazione, si aveva l'annuncio di nuovi scioperi, di nuovi conflitti sociali per i metalmeccanici, i professori, gli insegnanti ed altro.



In realtà, i vertici del potere e dello Stato si sono resi conto che il loro blocco sociale si sta assottigliando; cercano di, hanno necessità di rivolgersi al nuovo blocco, non solo quello della imprenditoria, ma anche degli esclusi, dei marginalizzati dal lavoro garantito e quindi dei disoccupati, di quelli del lavoro in nero, degli immigrati, degli immigrati clandestini Hanno la necessità di rivolgersi a queste fasce sociali, ma hanno l'impossibilità di farlo. Hanno l'impossibilità di farlo perché la forza, le forze da cui traggono il loro potere sono altre. Questo è dunque lo spazio in cui noi possiamo e dobbiamo incunearci con nuove iniziative, magari con un nuovo progetto referendario che vada a toccare i temi della libertà di lavoro e di impresa, che renda quindi impossibile proclamare a parole il sostegno a quel programma, perché noi potremmo sbattere loro in faccia lo strumento col quale affermarlo invece nel concreto, non nei tempi decennali della riforma all'italiana: che, se comparata con i tempi dell'economia mondiale e dei mercati internazionali, non è una riforma ma pura regressione e un impoverimento del nostro paese. Ecco invece i tempi di una politica radicale: qualche mese per una campagna referendaria, meno di un anno per un voto potenzialmente esplosivo in termini sociali e politici. Ma, anche qui: la sfida è che i Mille non siano più i soliti, coi volti che conosciamo, perché oggi un'apertura referendaria non può essere un'avventura, un'avventura che debba mettere in conto ancora una volta i radicali dei digiuni, i radicali che per ottenere informazione sui loro referendum si vedano costretti agli scioperi della fame e della sete, che per ottenere il rispetto della legalità della Costituzione siano costretti alle maratone oratorie, siano costretti a chiedersi perché nessuno sia disposto ad investire, da pioniere, su questa scommessa politica. Non possiamo permetterci che l'Assemblea dei Mille sia soltanto un punto di inizio dove a ri-iniziare il percorso interrotto un anno e mezzo fa siamo ancora noi, con i nostri strumenti e con i nostri mezzi. Ci devono essere condizioni nuove.



Da parte nostra le condizioni nuove ci sono. Noi diciamo - l'abbiamo detto nella lettera di convocazione e lo diciamo agli interlocutori che cerchiamo di coinvolgere in questa fase - che siamo disposti a riconvertire tutte le energie dell'area radicale, non soltanto le energie politiche, con la totale conversione sul progetto delle forze e delle energie dei soggetti politici radicali, ma anche i patrimoni radicali, i patrimoni costruiti in decenni di attività politica e che sono patrimoni di impresa oltre che di politica, patrimoni - diciamo - di impresa politica, perché noi abbiamo avuto la capacità, con la politica, con la lotta politica, con l'azione politica, di aprire nuovi mercati, di aprire un uso delle imprese al servizio dello Stato di diritto che è assolutamente alternativo alla tradizionale imprenditoria italiana la quale invece, con le rottamazioni e altre pratiche simili, rappresenta il saccheggio dello Stato di diritto e delle risorse del paese.



Noi siamo disposti a far sì che l'area radicale metta a disposizione dei Mille qualcosa di diverso e di più, un impegno nuovo di riconversione delle sue energie. Forti di questo, cerchiamo di offrire il progetto politico dei referendum, della rivoluzione liberale e della libertà di lavoro e di impresa agli imprenditori e alle categorie di imprenditori. La strategia di allargamento del consenso del governo D'Alema è stata in realtà una strategia di allargamento della concertazione al sempre più vasto numero di organizzazioni dei rappresentanti dei piccoli imprenditori, del commercio, ecc. Ancor più noi crediamo che sia necessario offrire uno strumento alternativo. Ci avevamo provato con Confindustria e con le categorie dell'industria e del commercio due anni fa su quei referendum: ci proviamo ancora, in modo diverso, perché crediamo che questa volta una campagna referendaria che sia non una campagna dei radicali, ma una campagna "miliardaria" da portare in televisione potrebbe scatenare l'alternativa sociale e quindi l'alternativa politica.



Però abbiamo tempi drammaticamente brevi per proporla, e quindi ci attendiamo risposte drammaticamente urgenti e drammaticamente brevi non solo e non tanto dall'imprenditoria organizzata - che ci pare molto probabile si accontenterà ancora dei benefici della concertazione allargata - ma anche e soprattutto dai peones dell'imprenditoria, da quelli che hanno cercato di organizzarsi con la LIFE e altre forme più di rottura rispetto al sistema, rispetto addirittura allo Stato italiano. Noi a tutti questi proponiamo un'alternativa politica forse non velleitaria e forse con dei tempi, con un calendario ben definito, che permetta di arrivare davvero a un appuntamento di confronto politico, grazie ai referendum, grazie a un voto che dia occasione a questo scontro sociale di manifestarsi.



Oggi, forse, rispetto a chi pensava che la rappresentanza politica delle forze socialmente nuove del Nord Est potesse essere altrove, questo anno e mezzo passato penso dia indicazioni molto importanti: per esempio, circa la capacità e la possibilità della Lega Nord di rappresentarle. La Lega Nord è, sempre più, una forza politica che agita, ma solo agita, bandiere anti-americane, anti-capitaliste, anti-immigrazione, anticlericali; in realtà, è sempre più evidente che la Lega Nord è quella del finanziamento pubblico, arresa ad essere, per convinzione, peggio che i Democratici di Sinistra, forza della partitocrazia e del finanziamento pubblico. Questo anno e mezzo di degrado della Lega Nord qualcosa dovrebbe dire agli interlocutori ai quali cerchiamo di rivolgerci.



L'elezione del Presidente della Repubblica è probabilmente l'appuntamento centrale, rispetto ai temi del rispetto delle regole. Gianfranco Fini, un paio di settimane fa, si augurava che il prossimo Presidente della Repubblica possa essere un Presidente presidenzialista, un Presidente, nella sua ottica, già capace di spingere le riforme in una certa, definita direzione. Per noi, credo, il Presidente della Repubblica non deve essere un Presidente presidenzialista, o un Presidente liberista, o un Presidente che vuole un certo tipo di governo e un certo tipo di riforme. Deve essere, piuttosto, un Presidente che abbia come unico programma, come unico impegno, il rispetto delle regole che ci sono, il rispetto della forma di questa Costituzione e delle sue regole. Senza il rispetto di queste forme e regole noi sappiamo che nessuna riforma è possibile. Per esempio, il Presidente avrebbe dovuto intervenire per scongiurare l'attentato ai diritti civili e politici dei cittadini quando raccoglievamo le firme per i referendum nel '95 nel totale vuoto di informazione, nel totale annullamento della forza referendaria. Allora non c'era bisogno di un Presidente referendario, ma soltanto di un Presidente che si limitasse a dare un'occhiata ai dati che documentavamo circa le presenze televisive, circa quello che stava accadendo, circa l'attentato che si stava compiendo in quel momento. Bastava un Presidente capace di ascoltare la maggioranza assoluta dei parlamentari di Camera e Senato che gli dicevano proprio questo. Gli dicevano: Presidente, qui si sta compiendo un attentato, non contro i pannelliani o Pannella, non contro i radicali, ma contro i cittadini, i cittadini ai quali viene negato il diritto di conoscere rispetto a dei referendum che nei sondaggi, o quelle poche volte che viene data l'occasione di andare a votare, sappiamo - e la mia non è una autocelebrazione - sappiamo essere popolari e maggioritari.



Noi quindi non chiediamo un Presidente della riforma, non chiediamo un Presidente della riforma liberista, o libertaria o presidenzialista, chiediamo un Presidente del rispetto delle regole. Sarebbe fin troppo facile dare l'indicazione di quello che da radicali vorremmo fosse il nostro candidato. Non si raggiungerebbe probabilmente nulla in questo momento, anzi magari si rischierebbe di togliere qualcosa alla forza, proprio di consenso, di sensibilità, di simpatia, di popolarità che Emma Bonino ha conquistato in questi anni di lavoro alla Commissione Europea. Per cui per Emma Bonino - come per i Mille o come per i referendum - non aggiungiamo nulla se diciamo che noi vogliamo questo, che questo è un nostro obiettivo, che consideriamo che questo sia importante per noi e per il paese. No, per i Mille, come per i referendum o il Presidente della repubblica, il problema è degli altri. Noi dobbiamo avere l'intelligenza e la capacità di lavorare perché questi altri ci siano, ma il problema è degli altri. Bisogna vedere, ad esempio, se i nuovi referendari sono interessati ad avere un Presidente che garantisca il percorso del referendum e del post-referendum. Mario Segni diceva in questi giorni che l'obiettivo dei liberaldemocratici, delle forze anche parlamentari che si riconoscono nel sostegno ai referendum, a questo referendum elettorale, è di andare oltre, di portare la riforma dalla legge elettorale alla forma dello Stato, per lo Stato moderno "americano", per lo Stato del 2000, per lo stato presidenzialista, per lo stato federalista.



Vedremo se è nell'interesse di tutti costoro dare forza all'appuntamento dei Mille e alla candidatura di Emma Bonino; quella forza che da soli - sia per i Mille sia per le scadenze referendarie ed elettorali - rischiamo di non essere capaci di fornire, a meno di tener conto di quella variabile di cui ho parlato prima, di quell'impegno di cui ho parlato prima per la riconversione delle energie e delle forze radicali intorno ai prossimi obiettivi, alle prossime scadenze. Per quanto ci riguarda, si tratta di impegni importantissimi, perché vi mettiamo in gioco molto o tutto: ora bisogna veder se qualcun altro vuole fare la sua parte, non per noi ma per l'Italia e per l'Europa.



Il problema del rispetto delle regole, della forma dello Stato liberale è infatti sempre di più un problema anche dell'Unione Europea. Noi riproponiamo oggi l'obiettivo degli Stati Uniti d'Europa - pur consapevoli che non siamo stati in grado in questi anni di lavorare specificatamente su quell'obiettivo - perché crediamo che la riforma delle istituzioni italiane possa fare scattare qualcosa di importante anche a livello europeo, dove c'è lo stesso problema: creare una struttura istituzionale più semplice, di regole chiare, una struttura istituzionale che magari si occupi di meno questioni ma sia capace di decidere e di intervenire politicamente. Iin realtà ci siamo occupati di Europa politica, impegnandoci con la campagna su Milosevic, cioè con la campagna per rimettere il diritto sulla vita e il diritto alla vita come punto centrale nelle relazioni internazionali, come punto centrale per la soluzione o per l'inizio di soluzione dei grandi conflitti e delle grandi tensioni della nostra era, della nostra epoca. Quindi, noi parliamo di Stati Uniti d'Europa come di un'Unione politica capace di intervenire; dicevamo infatti, durante gli anni dei bombardamenti nella guerra dell'ex Jugoslavia: l'Europa nasce o muore a Sarajevo. E l'Europa in parte è morta a Sarajevo, perché il progetto federalista, il progetto degli Stati Uniti d'Europa proprio in quegli anni ha ricevuto il colpo più duro. E' stato messo da parte nel modo più deciso. Oggi si tratta di riprendere questo progetto, quella battaglia, di chiedere cioè un'Europa capace di intervenire in Kosovo come non è stata capace di intervenire finora, come non è stata capace di intervenire in ex Jugoslavia.



Anche su questa questione, forse, siamo in grado di indicare quel che di sbagliato e di inaccettabile c'è nell'alternativa dell'Europa socialdemocratica, nell'alternativa dell'assenza dello Stato di diritto propria di chi chiede "più Europa" senza preoccuparsi che l'Europa sia un'istituzione in grado di decidere. L'Europa oggi impegna più del 50% del proprio bilancio nella protezione del settore agricolo, un altro 30% del bilancio è per sovvenzioni e aiuti alle zone economicamente sfavorite del continente. Ma un bilancio fatto in questo modo, fatto praticamente per l'80% di sovvenzioni economiche e di protezione, rischia di essere la raffigurazione patente di un'Europa chiusa, di un'Europa incapace di aprirsi, incapace di farsi politicamente carico - per esempio - della nuova e potenzialmente micidiale ondata migratoria del Nord Africa, di farsi carico di una adesione in tempi ravvicinatissimi dei paesi dell'Europa dell'Est. La protezione dei nostri mercati - dei mercati europei, delle burocrazie europee, quelle dei sindacati e di una protezione sociale insostenibile nel quadro dell'economia globale - rischia di essere solo la protezione dell'esistente e delle corporazioni. E la protezione dell'esistente rischia di precludere all'Europa la possibilità di indicare una nuova direzione, di indicare il modello della rivoluzione dello Stato liberale, dello stato di diritto come modello di sviluppo per il prossimo millennio.



Ricolleghiamoci a quello che avevamo già individuato di importante e di urgente con il convegno sulla rivoluzione tecnologica per la rivoluzione liberale: in quella sede avevamo indicato la necessità - da parte delle democrazie occidentali - di proporre al mondo intero, alla Cina, all'Asia, in tempi urgenti e attraverso le nuove tecnologie, il modello dello Stato di diritto. L'Europa può e deve essere all'altezza della sfida. Ma, per esserlo, deve essere l'Europa degli Stati Uniti d'Europa. Anche su questo i Mille - se ci saranno e a seconda di chi saranno e con quali volontà - dovranno prendere posizione, decidendo sull'eventualità e sull'opportunità della presentazione di liste per le elezioni europee; se contribuire, lavorare perché liste comprensive di altro, che vadano al di là della semplice storia politica radicale, siano possibili.



Ci sono temi sui quali ci pare difficile che altri possa, intervenendo, rendere superflua la nostra partecipazione a quelle elezioni. Con il congresso del Coordinamento radicale antiproibizionista del giugno dell'anno scorso abbiamo già indicato il pericolo che attraverso il proibizionismo, attraverso il "più Europa della cooperazione" si costruisca in realtà - tra le burocrazie giudiziarie e di polizia - l'Europa illiberale, l'Europa della negazione dei diritti e delle libertà civili e politiche fondamentali, facendo leva sulla questione del proibizionismo. Sicuramente, con i processi che vanno avanti, abbiamo qualcosa da dire - in termini di lotta - che difficilmente altri potrà dire. Sicuramente, da qui alle elezioni europee, dovremo decidere se vogliamo prenderci la responsabilità di portare avanti questo tema, questa battaglia.



In queste ore, diceva Rita, sono stati superati i 400 preannunci per la partecipazione all'Assemblea del 5, 6 e 7 Marzo. Abbiamo meno di due settimane per raggiungere l'obiettivo dei Mille, obiettivo che poi andrà verificato con la serietà di cui siamo capaci, verificando i preannunci uno per uno, soprattutto dei romani, per garantirci che siano preannunci veri, preannunci di stare tre giorni a lavorare, perché a seconda della partecipazione, a seconda dell'attenzione che quell'Assemblea saprà produrre, si potranno poi produrre decisioni più o meno ambiziose sulle scadenze di cui stiamo parlando.



E' chiaro che innanzitutto la scadenza del 20 Febbraio e poi l'appuntamento dei Mille potranno essere anche l'occasione perché Marco Pannella decida di ritornare in politica, di ritornare nella lotta politica, nell'unico modo di fare politica che Marco Pannella conosce. Il problema del ritorno di Marco non è - credo - un problema di solidarietà personale, quella che possiamo offrirgli, ciascuno di noi, e nemmeno della solidarietà "personale" che possiamo offrirgli in Mille. Si tratta invece di un problema politico. E' il problema di un leader, che appunto da leader da anni indica un percorso politico possibile, nel rispetto delle regole e della legalità o nella disobbedienza civile, cioè nell'intenzionale violazione di regole illiberali e liberticide. Marco Pannella è stato sicuramente un leader, in questi anni, nell'indicare la politica del futuro, la politica del nuovo blocco sociale e la possibilità che quel nuovo blocco sociale possa davvero prendere coscienza di sé, come finora non è certamente accaduto, nell'indicare gli obiettivi dello Stato liberale, della libertà di lavoro e di impresa. Se queste erano le indicazioni del leader Marco Pannella, il suo ritorno alla politica e alla lotta politica è legato alla possibilità nostra, in tempi così drammaticamente urgenti e corti, di coinvolgere altri e di coinvolgere questi altri anche in funzione di classe dirigente. Noi, come Comitato promotore dell'Assemblea dei Mille, abbiamo fatto una forzatura, che era obbligata in assenza di regole, in assenza di un vero e proprio soggetto politico radicale italiano che possa farsi carico di questo percorso e delle sue scadenze. La forzatura può essere tollerabile e accettata da chi come noi cerca di fare delle regole il proprio punto di forza; ma può essere tollerata soltanto se è a tempo determinato; si tratta di una forzatura dalla quale dobbiamo essere bravi a fare uscire, e rapidamente, altro, dandoci la possibilità di far avanzare una classe dirigente della rivoluzione liberale altra da noi: costituita in particolare dagli esponenti, dai rappresentanti o comunque da chi faccia parte di quel blocco sociale al quale ci rivolgiamo, ma dal quale non abbiamo avuto finora risposte sufficienti.



Credo che questa necessità di includere altro e altri, di avere altro e altri, di far partecipare altro e altri non sia semplicemente un punto d'onore, o magari una ennesima minaccia di chiusura. E' invece una necessità vitale. Noi abbiamo necessità di nuove corresponsabilità dirigenti nel movimento radicale, per i progetti, le azioni, le lotte che vorremmo intraprendere. Abbiamo la necessità di avere dalla nostra parte qualcuno che viva quei problemi sulla propria pelle e che li viva in termini drammatici, proprio come vent'anni fa con il divorzio o l'aborto. Questo parallelo, non a caso, lo facciamo spesso e non credo che sia un parallelo forzato. Il divorzio e l'aborto hanno reso possibile la rivoluzione laica, una rivoluzione moderna dello Stato italiano. L'Italia si modernizzava non solo come Stato ma come società, ed entrava in Europa, solo grazie a una battaglia che aggregava persone che la sentivano, la sperimentavano sulla loro pelle Quella vittoria è stata possibile grazie al fatto che chi era direttamente interessato per le sue esperienze personali e private ne ha fatto una questione politica, una questione pubblica, una questione di lotta. Oggi abbiamo bisogno dell'equivalente, abbiamo bisogno di imprenditori posti di fronte all'impossibilità di assumere, all'impossibilità di organizzare come vogliono la loro impresa, abbiamo bisogno di lavoratori in nero, di disoccupati, di immigrati, di immigrati clandestini, di persone poste di fronte all'impossibilità, alla negazione tutta ideologica delle proprie libertà fondamentali, le più semplici ed elementari, di lavoro, di impresa, di poter organizzare i propri tempi di lavoro e di impresa. Abbiamo bisogno di persone che considerino queste cose come essenziali, determinanti per la loro vita, per la loro esperienza, e che considerino necessario trasformare il loro dramma privato in fatto politico, in lotta politica, in partecipazione, in stimolo di presenza all'Assemblea del 5, 6 e 7 Marzo, l'Assemblea dei Mille; e che quindi da subito, da adesso, e fino al 20 Febbraio, non perdano tempo per preannunciare la loro partecipazione. Credo che di queste ore dobbiamo fare tesoro proprio per sondare le nostre convinzioni e le nostre possibilità di andare a cercare e a trovare - da militanti ma anche da classe dirigente del movimento radicale - l'altro e gli altri, i nuovi interlocutori che rendano possibile l'Assemblea dei Mille. Abbiamo pochissimo tempo - 13 giorni! - che dobbiamo organizzare uno per uno così che davvero siano in mille i presenti, il 5,6,7 Marzo, all'Assemblea della Rivoluzione liberale e degli Stati Uniti d'Europa.











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