"La comunità internazionale si è accontentata delle promesse di Teheran, ha concentrato la sua attenzione sulla questione nucleare e ha accettato le blande rassicurazioni del regime. Ma il risultato è che in Iran è in corso una repressione interna ben più dura di quanto il mondo occidentale possa immaginare. Mentre lavorava per ottenere credibilità internazionale, il regime era impietoso nei confronti dei dissidenti e i governi occidentali erano troppo preoccupati a raggiungere un compromesso sul nucleare per accorgersi dell'emergenza".
Non sembra affatto stupita Emma Bonino, paladina dei diritti umani e delle donne, della bocciatura della legge sulla parità dei sessi, avvenuta ieri nel Parlamento iraniano. Dal Cairo, dove si trova in questi giorni, l'esponente radicale ricorda le mosse che nel Paese, il cui sistema giudiziario è basato sulla "sharia", hanno anticipato il voto di ieri.
"Era febbraio, solo qualche mese fa, quando la maggior parte dei candidati riformisti furono esclusi dal voto per il rinnovo del Parlamento. Ci furono proteste, sit-in dentro e fuori dall' aula, ma non mi sembra che il mondo allora si strappò i capelli per quello che stava avvenendo".
Ma allora per l'Iran non c’è speranza? Il presidente riformista Khatami ha perso definitivamente la sua battaglia?
"Il percorso verso la democrazia è ancora lungo. Non credo che esistano processi irreversibili, ma bisogna riconoscere che gli stessi riformatori che hanno sostenuto il presidente ora sono scoraggiati e disillusi".
Tutte le tredici donne presenti nel Parlamento hanno votato contro la legge. Si tratta di sudditanza psicologica, oppure solo dei timore dl ritorsioni del regime?
"Le donne non sono una categoria, io non l'ho mai sostenuto. Sono esseri umani, e non necessariamente progressisti. Non è vero che basta essere donne per sostenere i diritti delle donne. Certo, non escludo che anche la paura possa aver condizionato quelle parlamentari".
Come spiega questo accanimento contro le donne?
"Il dato è storico, ricordiamoci della caccia alle streghe. In un regime teocratico, tutti sono oppressi, e le donne sono le più oppresse tra gli oppressi".
Ma allora la battaglia contro l burqa e la discriminazione femminile nel mondo è solo un miraggio?
"Nel mondo arabo ci sono grandi testimonianze di passi avanti. E l'Afghanistan di oggi non è lontanamente paragonabile al Paese guidato dai talebani. Le battaglie da fare sono le stesse che sono state combattute in Sicilia, per esempio, quando Milano e Roma sembravano lontane anni luce dal sud Italia".
Quali sono le iniziative che lei ha in cantiere per la difesa del diritti delle donne?
"Come radicale sto preparando una conferenza col governo keniota, un vertice arabo-africano che si terrà il 16 settembre, contro le mutilazioni genitali e per la ratifica del protocollo di Maputo, che è uno dei più avanzati sui diritti della persona".
Quali strumenti può usare l'Occidente per contribuire al riscatto delle donne?
"Be', c'è l'imbarazzo della scelta. Ma mi sembra che i temi della democrazia e dei diritti umani si discutano solo nei convegni della domenica. E durante la settimana i governi finiscano per finanziare dittatori di ogni genere".
Eppure anche negli Stati Uniti, alla Casa Bianca, non ha mai messo piede una donna...
"Nulla è perfetto nella vita. Tutto si strappa. E il potere nessuno te lo regala. D'altra parte non c'è mai stato nemmeno un presidente di colore. Mi ricordo quando in Italia si propose la mia candidatura alla presidenza della Repubblica. Dopo le polemiche esplose, Giuliano Amato, che aveva lanciato l'iniziativa, disse: "Eppure non stiamo parlando di uno scarafaggio"
Lei ha conosciuto tante donne che hanno sofferto. Quale storia ricorda più di altre?
"Non dimenticherò mai una donna afghana. Era un medico che sotto il regime dei talebani fu costretta ad abbandonare la professione. Io credevo che il suo incubo fosse la fame, invece lei mi disse: "Il mio più grande dramma è pensare che mia figlia crescerà analfabeta" ".
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