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Bonino: Cecenia, no alla via militare però non bastano le belle parole

• da Corriere della Sera del 6 settembre 2004, pag. 1

di Gianna Fregonara

ROMA - "Nessuna attenuante di alcun tipo per i terroristi" ma anche "nessuno scandalo per la richiesta di spiegazioni della presidenza di turno dell’Unione europea alla Russia, perché oggi, dopo che la comunità internazionale ha dato carta bianca ad ogni Stato all’indomani dell’11 settembre per combattere ognuno il "suo" terrorismo, è venuto il momento di fermarsi e chiarirsi e capirsi". Così Emma Bonino, europarlamentare dei radicali, rilancia la discussione su come affrontare la sfida del terrorismo e avverte che "già troppo tempo è stato perso per trovare una strategia comune delle democrazie. Per questo se l’Europa dice che è il momento di parlare della Cecenia io resto convinta che sia utile, molto utile".

Il governo italiano non la pensa così.

"Ho letto le dichiarazioni del ministro Giovanardi. Non mi sarei aspettata tanta intolleranza di fronte ad una richiesta di spiegazioni. Forse il nostro governo anche in passato qualcosa di più sulle scelte di Putin avrebbe potuto dirla".

I radicali da anni sostengono la causa cecena, è possibile farlo anche oggi di fronte all’orrore di Beslan?

"Il problema non è il dialogo con i terroristi, il problema è che in questi anni si sono chiusi gli occhi e nessuno, tranne noi, Sofri e pochi altri, ha sostenuto i gruppi moderati, per quanto fragili, della resistenza cecena, nessuno ha dato credito al piano Mashkadov. Ora le frange terroriste hanno preso piede tra i ceceni. Per togliergli l’acqua in cui nuotano, non bastano le armi e la repressione, dobbiamo elaborare una politica che accompagni le soluzioni militari".

Forse oggi è ancora più difficile con una parte degli Stati europei e gli Stati Uniti schierati su due linee diverse per la soluzione delle crisi come quella irachena.

"Le democrazie liberali avevano elaborato una politica vincente contro il comunismo nel secolo scorso, sul terrorismo invece ad oggi a parte le reazioni militari non vedo delinearsi una politica per sostenere le società islamiche aperte".

Che in questo momento sembrano piuttosto in crisi, di fronte al terrorismo.

"Al contrario, io credo che quelli a cui assistiamo sono gesti disperati di gruppi estremisti che si rendono conto di essere perdenti e non si rassegnano. Ma oggi l’Iran, i talebani, il Sudan non sono più il referente per nessuno nel mondo islamico".

L’Europa continua a parlare di "dialogo" con i Paesi più laici.

"Non sopporto la parola dialogo, perché sembra che riduca le relazioni internazionali ad una chiacchierata al bar. Se l’Europa vuole fare una politica verso l’Islam ci sono già molti strumenti a sua disposizione. Per esempio ci sono accordi di associazione con tutti i Paesi del Mediterraneo e del Medioriente, ben forniti dal punto di vista economico e tutti comprendenti il capitolo diritti civili e democrazia. Non ho mai visto denunciare uno di questi accordi per inadempienza, perché? Perché i Paesi europei che hanno rapporti economici privilegiati con questi Stati si oppongono. Applicare invece correttamente questi accordi sarebbe già molto e darebbe un ruolo all’Europa".

Non sono solo i rapporti con gli Stati arabi ad essere un po’ confusi, ma anche il "dialogo" transatlantico.

"Non c’è alternativa, va ripreso".

Come, visto che, a parte le dichiarazioni di intenti sulle responsabilità comuni, a novembre una possibile riconferma di Bush ripropone lo stesso copione che si è visto in questi mesi?

"Non credo che ci sia grande diversità in politica estera tra Bush e Kerry, credo invece che il rapporto con gli Stati Uniti debba arrivare ad una ridefinizione, che parte però dal fatto che l’Europa in politica estera non esiste e che quindi si tratta di un rapporto tra Stati, tra Francia, Germania e Stati Uniti. Penso per questo che si possa cominciare a ritrovare la sintonia dentro le Nazioni Unite dove a parte le divisioni sull’Iraq ci sono tanti dossier che ci uniscono. E’ necessario dentro l’Onu, a partire dalla prossima sessione, strutturare la comunità delle democrazie così come si è strutturata in passato quella dei non allineati. Solo così si potrà trovare una strada che non sia solo quella militare ma neppure quella delle belle parole".



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