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L'Italia e il referendum

• da L'Opinione del 15 settembre 2004

di Gualtiero Vecellio

Non è vero, come si dice, che il referendum “spacchi” e “laceri” il paese. Al contrario, il referendum crea e salda alleanze trasversali, che altrimenti difficilmente si realizzerebbero: forze e movimenti tra loro diversi trovano un comune denominatore, un’unità di intenti che si realizza sul concreto “fare”. Accade, così, che la campagna per l’abrogazione della legge sulla cosiddetta fecondazione assistita, trovi schierati su un unico fronte giornali di ispirazione e “filosofie” differenti.

Per dire, si va dalla liberale “Opinione” di Arturo Diaconale, all’“Indipendente” di Giordano Bruno Guerri; e si arriva a “Liberazione”, il quotidiano di Rifondazione Comunista; e, sia pure con mille pudici distinguo “Il Riformista” di Antonio Polito. “L’Unità” di Furio Colombo e Antonio Padellaro riferisce e rifornisce i suoi lettori di notizie relative alla campagna referendaria; e non fa mistero di ritenere che questa pessima legge vada abrogata, senza “se” e senza “ma”: in questo molto più determinata di tanti dirigenti ed esponenti di primo piano dei Ds, con la perenne vocazione al compromesso e all’inciucio.

I giornali sono importanti, la storia dei referendum lo testimonia. In passato giornali che hanno appoggiato e sostenuto le iniziative referendarie hanno svolto un ruolo essenziale di informazione, denuncia e stimolo. di Sandro Perrone, fece per mesi, unico tra tutti i giornali cosiddetti “indipendenti”, una appassionata campagna laica per il divorzio e contro i compromessi per scongiurare il referendum. Prima ancora un settimanale di “donnine nude”, l’“Abc” di Enzo Sabato, aveva dato voce e spazio alle campagne divorziste dei radicali e della Lega per l’istituzione del divorzio; e poi venne “Il Mondo” di Renato Ghiotto a offrire le sue pagine, su cui in piena libertà potevano scrivere Pier Paolo Pasolini e Ignazio Silone, Arrigo Benedetti Giuseppe Branca, Elena Croce e Vittorio Foa; e le voci isolate e coraggiose di comunisti che “steccavano” rispetto alla linea del partito, come Umberto Terracini e Fausto Gullo.

Quando si trattò di abrogare le norme fasciste che punivano le donne che abortivano, al loro i radicali trovarono “l’Espresso”, ancora memore dell’eredità di Arrigo Benedetti o di un Averroé, e non ancora precipitato nel catto-comunismo che segnerà le gestioni successive. In altre occasioni, quando si raccoglievano le firme per abrogare leggi che contrastavano con la Costituzione, fossero le norme che punivano i reati politici d’opinione, eredità del codice penale fascista, o per l’introduzione della responsabilità civile del magistrato, per l’abolizione del Concordato o del codice militare di pace, dell’ordinamento giudiziario militare, dell’ordine dei giornalisti, di volta in volta, si schieravano con i radicali giornali come il settimanale “Tempo”; o l’“l’Avanti!”, e l’ultima “Lotta Continua” di Enrico Deaglio ed Adriano Sofri, quando ormai il movimento si era dissolto.

In questi giorni decisivi organizzano tavoli per la raccolta di firme militanti laici, repubblicani, socialisti, militanti del partito di Fausto Bertinotti, ma firma e fa firmare anche Alessandra Mussolini che, com’è noto, politicamente è agli antipodi; si mobilita la Uil, come nella grande stagione dei diritti civili degli anni Settanta, e anche se più timidamente, si assiste a una mobilitazione della Cgil, soprattutto a livello di base. Scende in campo “L’Italia dei Valori” di Antonio Di Pietro si è concretamente mobilitata, a fianco dei due partiti che si contendono l’eredità socialista: lo Sdi di Enrico Boselli e Ottaviano Del Turco da una parte; il Nuovo Psi di Gianni de Michelis e Bobo Craxi dall’altra: che hanno assicurato la mobilitazione e disponibilità dei loro amministratori per autenticare le firme.

Si recupera così quella tradizione che vide dal divorzio all’aborto, fino ai referendum per una giustizia giusta, i socialisti - e in particolare Loris Fortuna - a fianco dei radicali, nella grande stagione dei diritti civili. E anche il fronte diessino, sia pure con lentezza e molti tentennamenti, si muove. Sono un centinaio i parlamentari diessini che hanno sottoscritto il referendum; e qualche settimana fa una lettera, sottoscritta da esponenti di tutte le “anime” del partito invitava a non frapporre ostacoli, e anzi, agevolarla, fare in modo che il traguardo delle 500mila firme autenticate sia raggiunto. In Toscana e in Emilia Romagna, regioni “rosse” per eccellenza, ci si organizza e mobilita, e la raccolta delle firme procede in modo soddisfacente.

Tutto bene, dunque? L’ottimismo della volontà non deve fare velo a una più realistica analisi di quel che accade (o non accade). L’attuale leadership diessina, prima delle elezioni, faceva sapere che non era opportuno impegnarsi nella campagna referendaria, perché non bisognava irritare gli alleati della Margherita, e puntare a vincere le elezioni per il Parlamento europeo. Le elezioni ce le siamo lasciate alle spalle, ma la vocazione compromissioria è una tentazione dura a morire. Ma per tornare a quanti ancora oggi obiettano che il ricorso al referendum non è opportuno. Per tutti vale quello che disse, anni fa, Norberto Bobbio.

Alla domanda: perché il referendum, rispose: “Intanto sarebbe stata perfettamente inutile nel nostro sistema costituzionale, l’istituzione del referendum, se poi lo si lasciasse arrugginire per il non uso, fuor di metafora, se non lo si adoperasse per mancanza di coraggio o per apatia o peggio per scetticismo con la solita deplorazione sulla mancanza di spirito democratico degli italiani. Il referendum, inoltre, ha oltre la funzione diretta che è quella di concorrere alla formazione delle decisioni rilevanti nella vita di un paese, anche quella indiretta, ma non meno importante, di costituire un’occasione straordinaria di mobilitazione popolare, nel senso più preciso e costruttivo del termine, quindi di presa di coscienza e infine di assunzione personale di responsabilità da parte dei cittadini nei riguardi dei problemi che investono i principi stessi della società democratica.

In terzo luogo, la campagna per un referendum è già in un primo tempo la stessa campagna per la raccolta delle firme, costituisce un modo di aggregazione della domanda politica diverso da quello che si forma attraverso i canali tradizionali dei partiti e quindi permette combinazioni di tendenze diverse da quelle che si esprimono, alquanto rigidamente, come l’esperienza di questi anni dimostra, nei partiti del sistema politico. Questo diverso tipo di aggregazione (che è poi un modo di disaggregare quello che sembra stabilmente aggregato), potrebbe riservare delle sorprese.

Per la conformazione del nostro sistema politico, per l’esistenza di un grosso partito di centro o meglio di destra che si estende al centro e lambisce la sinistra, la sinistra politica non è mai riuscita a ottenere la maggioranza assoluta. Solo una ricomposizione non strettamente partitica dei voti può aprire la strada a un mutamento anche se soltanto a una questione specifica. Il referendum è comunque un modo nuovo di contarci...”. Contiamoci, dunque. E anche questa volta chi crede che si sia una piccola minoranza avrà una grossa sorpresa e dovrà ricredersi.



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