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Il grido delle donne mutilate d'Africa
Una crudele e insensata prescrizione tradizionale che si calcola farà 16 milioni di vittime entro il 2010

A Nairobi il convegno sulle amputazioni genitali femminili. Una pratica ancora diffusissima in alcuni Paesi del continente. Il vicepresidente del Kenya Aworì: una violazione dei diritti umani che coinvolge l'umanità

• da La Stampa del 17 settembre 2004, pag. 12

di Antonella Rampino - inviata a NAIROBI

"Dobbiamo farcela entro dicembre". Non che Emma Bonino sia una che ragiona a breve termine. È che proprio il mese in cui i pargoli dell'occidente vengono viziati di dolci e balocchi, in Africa si procede all'escissione, all'infibulazione, alle mutilazioni sessuali. Che cosa sia, l'ha spiegato ieri a Nairobi una bambina di dodici anni, a una platea di seicento, tra vicepresidenti e ministri africani, ong, rappresentanti di democrazie avanzate, iman, khadì, organizzazioni multilaterali.

"Era una domenica notte di quattro anni fa" racconta Fouzia Hassan con quel certo tono fermo che hanno i bambini quando sanno che l'adulto che li ascolta fra poco scoppierà in lacrime, "e la mia mamma mi sussurrò che il mio d-day era arrivato. Non sapevo cosa fosse, ero tranquilla. La mattina dopo, al villaggio, tre donne - mi presero, mi scaraventarono per terra e mi crocifissero al suolo. Urlavo per il dolore, fino a non avere più voce. Quel dolore, non l'avrei mai più dimenticato. La notte sogno quelle tre donne, soprattutto la vecchia che con la lama colpisce, colpisce, colpisce".

L'adulto che piange, oltre a molti altri ed altre nella sala del centro congressi di Nairobi dove si tiene la conferenza internazionale sulle mutilazioni genitali femminili, è suo padre. Quel che è stato praticato a Fouzia è forse l'escissione del clitoride, forse la cucitura della vagina in modo da lasciare un foro più o meno grande per i bisogni fisiologici. Non sappiamo cosa sia perché il nodo della più grave violazione dei diritti umani, e per giunta praticata su una bambina, è un segreto, "il cono d'ombra dell'Africa", come la definisce la first lady egiziana Suzanne Mubarak. Di certo Fouzia, come gli altri esseri di sesso femminile mutilati, hanno dolori fortissimi anche solo per fare la pipì, mestruazioni laceranti, gravidanze e parti nei quali rischieranno la vita (una su 16 in Africa, mentre le statistiche parlano di 1 su 3mila in Europa). E menomazioni permanenti, se restano in vita: perché nel corpo delle donne, se fanno figli o anche semplicemente l'amore, si creano delle fistole, delle sacche purulente che poi a un certo punto scoppiano, con l'effetto di mettere in connessione le funzioni anali con quelle genitali. In parole povere, perdere feci o pipì dalla vagina tutta la vita, se non si muore per l'infezione.

Oltre al dolore violentissimo e indimenticabile, "di cui è insostenibile solo il ricordo", e di cui non si parla. Sappiamo che sono infibulate il 98,6 per cento delle donne della Guinea Bissau, il 91,6 del Mali, il 38 del Kenya, sappiamo che è stato così per 135 milioni di donne, e che così sarà per altri 16 milioni entro il 2010, come dice Haimo Iaakoonen dell' Unicef. Ma non lo sappiamo davvero. "Forse, è inesistente in Maghreb, in Pakistan, in Iran, in Turchia, in tutti i paesi della penisola araba. Ma sappiamo questo solo perché questo ci dicono le africane che vivono in quei paesi": la somala Khady Koita, sguardo e corpo affilato da gazzella in sete fruscianti colori di un tramonto africano, abiti con i quali a Bruxelles dirige il network europeo per "lo sradicamento dell'Fgm", le Mutilazioni Genitali Femminili, racconta anche che nel suo paese, considerato la patria delle Fgm, "si continua a praticare soprattutto la riduzione delle grandi labbra, oltre l'escissione della clitoride, perché gli uomini dicono che così loro provano più piacere".

Gli uomini, contro cui pure si praticano circoncisioni a colpi di machete, "casi frequenti, nelle zone rurali, ma curabili e non menomanti come per le donne", conferma il medico Serah Mworia. Gli uomini, ma non il padre di Fouzia, che voleva ripudiare la moglie dopo che in sua assenza era stata praticata l'escissione. Gli uomini, ma non il vicepresidente del Kenya Moody Awori che parla esplicitamente non di una pratica tradizionale o religiosa, ma di "una grave violazione dei diritti delle bambine e delle donne, e dunque dei diritti di tutta l'umanità", tanto che pur riconoscendo "una connessione tra Aids e mutilazioni, è improponibile la loro medicalizzazione".

Così, anche il Kenya che già un paio di anni fa aveva varato il "children act" a difesa dei diritti dei bambini, proprio ieri ha annunciato di aver firmato il protocollo di Maputo che proibisce per le legge le mutilazioni. "Come han fatto pure le Comore, il Ruanda e la Libia". Mancano 15 ratifiche.

"Dobbiamo farcela entro dicembre", come dice Emma Bonino. Perché se c'è una legge, è più facile che le madri resistano alle mammane. E comunque, il "dobbiamo farcela entro dicembre" di Bonino in genere funzione. In fondo, dalla prima battaglia della sua associazione "No peace without justice" è nato il Tribunale penale internazionale. Ci son voluti dieci anni, ma l'importante è riuscirci.



UNA TORTURA LECITA

• QUANTE SONO

La pratica dell'infibulazione interessa tra 120 e 130 milioni di donne nel mondo; la subiscono ogni anno dai due ai tre milioni di adolescenti.

• DOVE

Sono 16 le nazioni dove la mutilazione genitale femminile è maggiormente radicata, o quantomeno documentata: 14 stati subsahariani, oltre a Egitto e Yemen. In testa alle statistiche la Guinea Bissau dove, secondo dati ufficiali del 1999, è infibulato il 98,6 per cento delle donne. Segue l'Egitto, dove nel 2000 la percentuale era del 91,6. Terzo il Mali, dove il fenomeno interessa il 91,6 per cento per le ragazze trai i 15 e i 19 anni. A metà gruppo il Kenya: 38 per cento. In Niger la pratica riguarda ufficialmente soltanto il 4,5 per cento delle donne

• LE REGOLE

A Maputo, In Mozambico, nel luglio 2003, i capi di stato e di governo dell'Africa, a conclusione del vertice dell’Unione Africana, hanno approvato all'unanimità un documento in difesa dei diritti delle donne, che al capitolo 5 proibisce la mutilazione genitale femminile. Finora solo tre parlamenti su 53 lo hanno ratificato



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