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Un vero scontro di civiltà
Capezzone e Agnoli incrociano le armi sulla fecondazione

• da Il Foglio del 23 settembre 2004, pag. inserto 1

Francesco Agnoli, studioso di filosofia della scienza, è figlio di Carlo Alberto Agnoli, il magistrato che promosse il referendum contro l’aborto. E’ contrario alla legge 40 sulla procreazione assistita, come ha spiegato a Stefano Lorenzetto sul Giornale di domenica scorsa, perché, seguendo il magistero della Chiesa, ritiene non compatibile con l’etica cristiana la fecondazione in vitro. A quella stessa legge, come è noto e per motivi ovviamente opposti, è contrario anche Daniele Capezzone, segretario dei Radicali italiani e anima del referendum per l’abrogazione. Li abbiamo messi a confronto. Per il Foglio ha partecipato all’incontro Nicoletta Tiliacos.

Il Foglio. Nel dibattito nato attorno alla recente legge sulla procreazione artificiale c’è un grande assente: il problema del ruolo della scienza in generale e della medicina in particolare. Oggi è al medico e allo scienziato che chiediamo di essere mediatori tra la vita e la morte, di dirci, anche, che cosa sia giusto e che cosa no. Questa circostanza rende il dilemma bioetico, nel caso della fecondazione artificiale, molto diverso rispetto a quello sull’aborto. Che era pratica diffusa, che attraversava la vita delle donne, anche quando non le coinvolgeva in modo diretto. Nel caso della procreazione assistita, molto, quasi tutto, è gestito dal medico, e c’è poca consapevolezza dei suoi meccanismi.

Francesco Agnoli. In queste pratiche non esiste solo la coscienza e il consenso informato della donna o il potere medicale. I soggetti coinvolti sono almeno tre: soprattutto c’è il figlio, che non è un possesso della donna. Non lo è da bambino, non lo è quando cresce, e non lo è nemmeno prima che nasca, quando la futura madre cerca di averlo, anche a costo di fargli correre rischi enormi. Non si può non tener presente che il più debole, che è sempre il figlio, a dover essere in qualche modo tutelato. Tant’è vero che Mary Warnock, già presidente del Comitato britannico per la fecondazione umana e l’embriologia (è lei, di fatto, l’artefice dell’apertissima legge inglese), dice a pagina 40 del suo “Fare bambini” (Einaudi), a proposito di una coppia sterile composta da due ciechi, che volevano fare un figlio con fecondazione in vitro: “Fu così enunciato il principio, […] che il bene del figlio è primario. Tuttavia, che cosa significhi esattamente questo principio, che forza abbia e come debba essere valutato il bene futuro del figlio, non fu seriamente analizzato, né noi del Comitato analizzammo tali questioni. Il principio suonava bene e l’adottammo”. Quindi, viva la sincerità, il principio del bene del figlio è stato enunciato ma non è stato preso in considerazione concretamente, da quell’illustre e laica istituzione inglese.

Daniele Capezzone. Non credo che, sulle questioni bioetiche, esistano estremismi e una desiderabile ragionevolezza mediatrice. Contesto anche che ci sia, in Italia, uno scontro tra “laici” e “cattolici”. Ci sono due visioni del mondo: lo spartiacque è tra liberali da una parte, laici e cattolici, e fondamentalisti dall’altra. Chi passa mezz’ora ai nostri tavoli per la raccolta delle firme, in questi giorni ha dinanzi ha sé la dimostrazione di ciò che dicono tutti i sondaggi. Firmano elettori del Polo, elettori dell’Ulivo, laici e credenti. Il sessantacinque per cento di favorevoli si riscontra in tutte le categorie di voto e fra tutte le appartenenze religiose, cattolici praticanti compresi. Si conferma il fatto che i cattolici italiani sanno da sempre distinguere tra la loro personale convinzione e la necessaria laicità delle leggi dello Stato. Arriviamo ora al cuore del problema: lo statuto dell’embrione. Il punto è che si vuole attribuire a un’entità, che ingrandita centotrenta volte appare come una punta di spillo, la stessa equivalenza di diritti rispetto a un bimbo che muore di fame o a un trentacinquenne su una sedia a rotelle. Io credo che questo sia il vero, sfrenato materialismo: ritenere che ogni manifestazione di vita, che il puro e semplice incontro di una cellula con un’altra cellula equivalga, per ciò stesso, a una persona.

Il Foglio. Ma quell’incontro di cellule dà comunque origine a una vita umana.

Capezzone. Certo, è vita umana. Ma considerarla persona significa anche rinnegare dieci secoli di pratica della Chiesa, che rifiutava il battesimo a qualcosa che non avesse sembianze pienamente umane. Ecco perché dico che questa posizione è prova di materialismo sfrenato. Rispetto le posizioni del professor Agnoli, ma ho il timore che ci sia la tentazione di disegnare scenari da film horror. Ma se c’è qualcosa di angosciante, sta nelle scelte di cui è esempio la legge 40 sulla procreazione assistita. Pensiamo all’obbligo di impianto dei tre embrioni, stabilito a prescindere dall’età della donna (possono essere troppi o troppo pochi), con rischio di parti gemellari e possibilità maggiori di produrre handicap nei nati, e con la possibilità di abortire: un delirio. Arrivo al tema del dolore, che mi pare centrale nella riflessione avviata dal Foglio. Io credo di essere sensibilissimo agli spunti di Giuliano Ferrara, di Ernesto Galli della Loggia, dello stesso Alain Finkielkraut: ho la loro stessa attenzione alle incrostazioni laiciste e concordo nel denunciare l’idea molto politically correct per cui i nostri tempi dovrebbero essere sempre segnati da accumulazione di diritti: diritto a questo a quello, alla casa, al lavoro, magari al figlio. La mia impostazione è opposta: io non voglio più leggi, ma meno leggi. Non voglio più diritti, voglio più facoltà. Non voglio più Stato ma più individuo. Usciamo da un secolo in cui “individuo” è stata la parola negata, maledetta, bandita. C’era sempre un’altra cosa che doveva decidere al posto suo: la famiglia, la Chiesa, lo Stato, il partito, il sindacato. Oggi credo che il grande spartiacque, politico e umano, sia tra chi vuole allargare e chi vuole restringere la sfera della decisione individuale e privata rispetto a quella pubblica e collettiva. Io voglio allargare la sfera individuale e privata di scelta nell’economia e la voglio allargare anche su questi tempi.

Agnoli. Mi permetto di obiettare che, in questa materia, i sondaggi sono un metodo che funziona poco e che non dice quanta disinformazione ci sia sulle pratiche di cui tratta la legge. Anche Mussolini aveva dalla sua sondaggi plebiscitari. In questo caso, il sondaggio più realistico direbbe che il novantacinque per cento delle persone non sa che cosa sia la fecondazione artificiale, nemmeno alla lontana. Basta andare sul sito di “Madre provetta”, per vedere che anche il novanta per cento delle persone che vi ricorrono non sanno fino in fondo a che cosa vanno incontro. E poi c’è la delega alla scienza, nel solco del positivismo che ne ha teorizzato l’onnipotenza. Emile Zola diceva che l’uomo sarebbe diventato onnipotente, e Spencer che avrebbe conquistato l’immortalità, che avrebbe sconfitto tutte le malattie. Un entusiasmo che già Leopardi stroncava molto semplicemente, nella “Ginestra”, parlando con amarezza delle “magnifiche sorti e progressive”. Il dolore, la morte, sono qualcosa che l’uomo non riuscirà mai a sconfiggere. Sono la prova del nove della sua non onnipotenza. La scienza si è abbattuta sull’uomo anche sotto forma di armi e di bomba atomica, e sappiamo che l’inventore della lobotomia vinse il premio Nobel. Pensare che la scienza possa fare a meno della verità è una sciocchezza, perché tutto è relativo alla verità, tutto è ereditato dalla verità. E, come tutto, anche la scienza ha bisogno non di essere limitata, ma di essere attinente alla verità. Non penso che le nostre leggi debbano riecheggiare quanto avveniva negli Stati etici e totalitari. Penso che così come riconosciamo leggi fisiche (vedo i corpi cadere e non posso negare la gravità), così avviene per la legge morale. Ha una sua precisione infallibile pur essendo “invisibile”. Tanto è vero che quando l’uomo viola un ordine esistente, che tutta la storia della filosofia ha riconosciuto esserci, perché la filosofia nasce come riconoscimento di un ordine naturale, quando lo viola, dicevo, succede che c’inventiamo la fecondazione artificiale. Che non è solo la violazione dell’embrione. Io sostengo che è anche violazione del bambino, sottoposto a una nascita anomala, in vitro, senza il colloquio crociato nell’utero della donna. E poi c’è la donna, che trovandosi in condizione di evidente difficoltà, di debolezza, viene “soccorsa” da chi le promette qualcosa che è lecito desiderare ma che invece non è giusto avere in un determinato modo. Senza contare che nell’ottantacinque per cento dei casi il figlio comunque non arriva, dopo anni e anni di tentativi, con conseguenze dolorose (ciclo mestruale falsato, depressione, contrasti nella coppia che producono disgregazione e separazioni). Tutto questo anche senza arrivare alla fecondazione eterologa, con gamete terzo rispetto alla coppia, che presenta problemi ancora più gravi. Ciò che ho descritto è quanto avviene nella stragrande maggioranza dei casi di ricorso alle pratiche di fecondazione in vitro. Ci viene presentata come il gioco del piccolo chimico: ma non ci viene detto mai che i bambini che riescono a nascere con queste pratiche sono spesso sottopeso, con problemi genetici e malattie degenerative. La cosa è particolarmente evidente con le pratiche Icsi, (si prende uno spermatozoo con un ago di chi decimi di millimetro, e, al microscopio, lo si introduce nell’ovulo per iniettarvi lo spermatozoo, ndr). Non a caso, in Francia la garante dell’infanzia ha chiesto di rallentare in qualche modo queste pratiche. La donna alla quale si promette un figlio magari rimane gravida e invece c’è una grande mortalità sia prenatale che perinatale, fino al venti per cento. Oppure deve procedere alla embrioriduzione. L’ embrione, al secondo mese, è perfettamente formato, a sei settimane ha un cuore che batte, porta in sé i segni visibili dell’umano, è uguale a noi. La sua piccolezza non è la giustificazione di una sua minore dignità, nulla giustifica una maggiore dignità del watusso rispetto al nano. Ciò che è in potenzialità è identico a ciò che è in una fase di potenzialità interamente realizzata. Altrimenti l’adulto sarebbe superiore al bambino. Infine, non condivido l’idea che i diritti, se sono veramente tali, possano confliggere tra loro, l’idea che la mia libertà finisce dove comincia la tua. Non è vero. Le libertà degli esseri umani non si limitano, altrimenti mia moglie, mia madre, mio figlio sarebbero limiti alla mia libertà. Le libertà si compenetrano, si aiutano. I diritti non si calpestano a vicenda ma si integrano, si riconoscono reciprocamente. E vorrei dire a Daniele Capezzone che l’embrione non ruba nulla al bambino che muore di fame di cui lui parlava.

Il Foglio. Il Comitato italiano per la bioetica, nel documento su “identità e statuto dell’embrione umano”, ha unanimemente riconosciuto “il dovere morale di trattare l’embrione umano, sin dalla fecondazione, secondo i criteri di rispetto e tutela che si devono adottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce comunemente la caratteristica di persone, e ciò a prescindere dal fatto che all’embrione venga attribuita sin dall’inizio con certezza la caratteristica di persona nel suo senso tecnicamente filosofico, oppure tale caratteristica sia ritenuta attribuibile soltanto con un elevato grado di plausibilità, oppure che si preferisca non utilizzare il concetto tecnico di persona e riferirsi soltanto a quell’appartenenza alla specie umana che non può essere contestata all’embrione sin dai primi istanti e non subisce alterazioni durante il suo successivo sviluppo”. Se ci si riconosce in queste premesse, dovrebbe essere comprensibile la volontà di impedire la creazione embrioni sovrannumerari, prima o poi destinati a distruzione, come “effetto collaterale” delle pratiche di fecondazione assistita. Capezzone. Ma non a caso il Comitato italiano per la bioetica è il mandante di quella legge 40 che vogliamo cancellare. Quel Comitato è oggi egemonizzato da realtà sirchiane e sirchiesche con la benedizione del cardinal Ruini. Ma vorrei tornare alle parole di Francesco Agnoli, e ai suoi dubbi sui sondaggi. Niente di scandaloso, ma allora andiamo al voto popolare. Nel 1974, sul divorzio, finì 59 a 41; per l’aborto, quando il nostro avversario era il papà di Agnoli, finì 80 a 20, con la maggioranza dei cattolici dalla parte della legalizzazione. Capaci di distinguere, insisto, tra la propria personale convinzione e la possibilità, per altri, di scegliere diversamente. Non conosco modello di società migliore di quella capace di scommettere sulla coppia “libertà-responsabilità”, sul fatto che i cittadini siano in grado di scegliere, non essendo né minorenni né minorati, sul fatto che la diffusione della conoscenza possa creare le condizioni perché ciascuno sia messo in condizione di fare la propria scelta. Non conosco un modello di società migliore di quello che ho appena descritto, e non credo ai saggi, ai sapienti che diventano depositari di una scienza data per assoluta e che decidono per tutti, assumendosi una sorta di patria potestà rispetto ai cittadini. Francesco Agnoli, peraltro è l’erede di una grande storia: Pio IX, il Sillabo, l’idea di tutelare il popolo dalla conoscenza, la diffidenza verso l’istruzione elementare, come pericolo per il gregge dei credenti… Non a caso, sotto l’attuale pontificato c’è stata la beatificazionme di Pio IX.

Il Foglio. Veramente l’istruzione è stata per secoli garantita proprio e solo dalle istituzioni ecclesiastiche: tali erano tutte le università, compresa la prima d’Europa, a Bologna, e i gesuiti, gli scolopi, avevano scuole popolari completamente gratuite…

Capezzone. Ciascuno ha diritto alla propria opinione. Ma se decine di premi Nobel, con la maggioranza schiacciante del mondo scientifico, si pronunciano in un certo modo, vorrà pur dire qualcosa. Non dobbiamo identificare il pronunciamento degli scienziati con le Tavole della Legge, siamo d’accordo, ma non possiamo neppure ignorarlo. Non possiamo liquidare tutto come “non verità”. E’ la verità sostenuta da Francesco Agnoli ad apparirmi come prova di un materialismo sfrenato: l’idea che l’incontro di materiale genetico per ciò solo determini una persona è per me inaccettabile. Che quella manifestazione di vita umana attraverso materiale genetico sia da considerare persona, soggetto giuridico con equiparazione giuridica rispetto all’individuo formato, mi pare un’idea quantomeno avventurosa. E poi vorrei dire che queste leggende sulle donne che, esattamente come prima si divertivano ad abortire, ora si dilettano in voluttuari esperimenti di fecondazione artificiale, le trovo francamente repellenti, oltre che lontanissime dalla realtà. Il vero movimento per la vita siamo noi. Noi radicali, che anche se giudichiamo statalista e piena di difetti la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, riconosciamo che comunque, dalla sua entrata in vigore, ha provocato un calo degli aborti legali del 44 per cento, mentre le stime di quelli clandestini parlano del 79 per cento in meno (dati ufficiali dell’Istituto superiore di sanità). Se si adottassero la pillola del giorno dopo, se fossero possibili vere campagne sulla contraccezione, l’aborto sarebbe definitivamente sconfitto. E a chi indulge nella poetica dell’embrione, chiedo: che ne facciamo, appunto, di quelli sovrannumerari? Trentamila esistono già, prodotti in eccesso dei programmi di fecondazione assistita. I grandi difensori dello statuto dell’embrione come persona ci hanno detto che preferiscono che vengano buttati in un lavandino, piuttosto che destinarli alla ricerca e a a salvare delle vite. Guardiamo alla realtà: pochi mesi di applicazione della legge 40 hanno già determinato il 20-25 per cento in meno di gravidanze, la migrazione verso l’estero, per chi se lo può permettere, e conseguente lievitazione dei prezzi: trattamenti che in Spagna costavano 2.000 euro oggi costano tre volte tanto. Torniamo al problema del dolore. Non c’è il capriccio della quarantenne o della cinquantenne che vogliono il bambino a tutti i costi. Ma qui ci sono i malati, dieci milioni di persone affette da morbo di Parkinson, da cancro, dall’Alzheimer che, secondo il rapporto Dulbecco, aspettano cure rese più prossime dalla ricerca sulle staminali embrionali. La proibizione su questo tema fa il paio con il ritardo con cui l’Italia si è dotata di una legge sulla terapia del dolore. Fino a tre anni fa eravamo al centoquattresimo posto nel mondo nell’uso degli oppiacei a questo scopo, e ancora oggi la legge rimane largamente non attuata. In una società e in un tempo come i nostri, l’unico modo per governare tutto questo, per affrontare tutto questo dolore, è l’etica delle etiche, della pluralità, della possibilità che ciascuno sia consentita la propria scelta. Sul tema della procreazione assistita, non è necessaria nessuna legge. E’ sufficiente un regolamento che disciplini i centri di terapia e di ricerca, fissando semplicemente alcuni paletti all’interno dei quali muoversi. Mi domando: che ci andiamo a fare a promuovere la democrazia, se noi per primi non separiamo nettamente le competenze di Stato e Chiesa, se non difendiamo la laicità delle leggi?

Il Foglio. Ma su temi che toccano la vita e la morte non è possibile affidarsi al fai-da-te. Anche la facoltà di abortire, per esempio, o la disciplina dei trapianti, sono regolate da leggi, e sarebbe assurdo il contrario. Si può obiettare, come fa Capezzone, che, nel caso della fecondazione artificiale, l’embrione non è “soggetto” degno di tutela come se gli fosse riconosciuta la qualità di persona. Ma dobbiamo anche deciderci: le ragioni della scienza, invocate per chiedere maggiore libertà di ricerca, non possono essere dimenticate quando è proprio la scienza a indicare, nel processo che dalla fecondazione arriva alla nascita, una continuità. Circostanza che poteva essere ignorata un tempo, ma che oggi è documentata. Paradossalmente, è proprio il progresso scientifico che ci fa “vedere” concretamente l’umano dove un tempo nulla era visibile, quando il segno dell’“animazione” era, anche per la Chiesa, il feto che si muoveva nel ventre materno.

Agnoli. Se etica personale significa che a casa mia posso fare tutto quello che voglio, allora perché non decidiamo che la pedofilia o l’incesto sono solo un’opinione? Contesto anche l’affermazione della diminuzione degli aborti clandestini. Passi per quelli legali, ma come si fa a stimare qualcosa che per definizione sfugge alla rilevazione? Ma soprattutto mi preme sottolineare che la cultura del “faccio come voglio” ha portato agli uteri in affitto, alle mamme-nonne, a terribili storie di bambini nati perché servivano a riscuotere eredità, (il caso della donna che ha usato il seme del fratello a questo scopo) e a mostruosità analoghe. Questa è realtà. E chiamare in causa dieci milioni di malati, agitando la speranza di una guarigione legata alla sovrapproduzione di embrioni disponibili per la ricerca, è un’operazione inaccettabile. Con le cellule staminali embrionali non è stato ancora possibile curare nessuno, a differenza di quello che succede, da decenni e sempre di più a mano a mano che acquisiamo conoscenze, per le staminali adulte. In realtà la sperimentazione sugli embrioni e sui feti (negli anni Settanta, in America, si usavano illegalmente feti abortiti vivi) è realtà vecchia di decenni, anche se occulta. Se coloro che la praticano avessero raggiunto un risultato di qualsiasi tipo, sarebbero certamente usciti allo scoperto. Non è successo. Trovo obbrobrioso far leva sul dolore del malato, della donna che vuole un figlio a ogni costo, promettendo il risultato di sconfiggere la malattia o di dare la felicità di un bambino a patto di calpestare la vita umana. Qui si scontrano due diverse antropologie, più che due visioni del mondo: il materialismo sfrenato non è quello di cattolici, ma di chi pensa che l’onnipotenza o l’immortalità siano obiettivi raggiungibili, come l’eliminazione del dolore e della malattia. Eppure la storia, la realtà, ci danno continuamente lezioni che vanno in senso contrario. Il dolore è una realtà misteriosa, con cui la ragione e la filosofia fanno i conti da sempre, ma è anche la spia della limitatezza umana. Per il credente, è il modo di capire che c’è un modo per sanare l’imperfezione umana, ed è Dio, ma quell’indicazione di limite vale per tutti.

Capezzone. Verrebbe da trascrivere certe affermazioni del professor Agnoli, che è convinto che mai si arriverà a sconfiggere alcune malattie. Questo significa che per fare i conti con demoni interiori non si trova di meglio che proiettarli sugli altri. Io mi batto, da laico e radicale perché il professor Agnoli possa esprimere, far conoscere e mettere personalmente in pratica ciò che afferma. Ma come fa a contraddire, sulle staminali embrionali, quanto la parte preponderante del mondo scientifico sottoscrive, e cioè che esiste, accanto alla strada delle staminali adulte, quella, più promettente, delle staminali embrionali? Noi diciamo di non chiudere quella porta. E ribadisco che mentre con le scelte proibizioniste l’aborto clandestino dilagava e le donne morivano, con le nostre l’aborto è in costante calo e quello clandestino è quasi abbattuto. Il “quasi” è dovuto al fatto che c’è chi ritiene che la contraccezione sia peccato e che la pillola del giorno dopo, a differenza di quanto avviene nel resto d’Europa, vada proibita. Detto questo, non chiediamo altro che una discussione approfondita e un voto.

Il Foglio. Le scelte bioetiche di una società alludono, tra l’altro, all’idea che quella società ha dell’esercizio della responsabilità, individuale e collettiva. Che posto occupa, nelle vostre diversissime visioni delle cose, quel termine?

Capezzone. Credo che non esista un rischio zero, in nessuna attività umana. Pensare a un cammino positivista che ci lasci indenni dal rischio è un errore blu. Errore altrettanto blu è pensare che l’atto d’imperio di Cesare che impedisce una cosa ci salvi dal rischio una volta per tutte. La vicenda umana è sempre drammatica: è fatta di errori, di cadute, di morte e di dolore. Il problema è quello di non precluderci alcuna possibilità e di valorizzare la scelta di coscienza. Solo nell’Iran dei mullah c’è una verità e tanti errori, in democrazia ci sono tante verità.

Agnoli. Io credo all’esistenza della verità, Capezzone no. Per quanto riguarda la responsabilità, affrontarla significa approdare al discorso del dolore e quindi del sacrificio. Che significa “rendere sacro”, attuare un riconoscimento della realtà. Riconoscere la realtà costa fatica e dolore. Anche l’atto della madre che mette al mondo un figlio è sacrificio. Il sacrificio dà valore alla vita e la rende degna di essere vissuta.



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