Cecenia/Dopo la strage di Beslan/Il Governo in esilio chiede aiuto alla comunità internazionale
Milano – Oggi è il 13 ottobre, il giorno più temuto. Si è concluso il periodo del lutto dopo la strage di Beslan, 40 giorni di dolore che ora potrebbero lasciare il posto alla vendetta, le rappresaglie degli osseti contro i popoli vicini, i ceceni e gli ingusceti di cui era composto il commando terrorista. Ma Umar Khanbiev scuote la testa: “Se non ci saranno provocazioni, non dovrebbe succedere nulla. Almeno per quanto riguarda noi ceceni: non abbiamo mai avuto conflitti con gli altri popoli del Caucaso alle nostre frontiere”.
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Khanbiev rifiuta la definizione di ministro della Sanità ceceno “in esilio”: il suo Governo, presieduto da Aslan Maskhadov, venne liberamente eletto nel 1997, nel breve periodo di tregua tra le due guerre. Ma ora che Maskhadov è stato delegittimato dal Cremino, considerato complice del terrorismo che insanguina la Russia, Khanbiev vive “tra la terra e il cielo “, come dice, e la sua voce fatica a farsi sentire mentre invita a distinguere tra terrorismo e lotta per l’indipendenza. “ La gente non sempre ci capisce – dice a Milano, parte di un viaggio in Italia organizzato dal Partito transnazionale radicale – ma sono ottimista: alla fine ci sarà la pace, io vivo di questo. Aiutateci a far conoscere la nostra causa”.
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Dopo Beslan, è ancora più difficile: quella tragedia è già diventata uno spartiacque nella storia. Vladislav Surkov, vice capo dell’amministrazione presidenziale russa, sull’onda dell’orrore di quei giorni, ha detto che chiunque ha contatti con il Governo Maskhadov è complice del terrorismo. Così, dice Khanbiev, “anche quelle poche forze politiche che ci erano favorevoli ora non potranno più esserlo”. Per questo, ripete, la soluzione al dramma ceceno passa attraverso un coinvolgimento della comunità internazionale.
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“I russi sono in un vicolo cieco, da soli non possono uscirne”, né sono più proponibili accordi bilaterali: così il piano di pace di Maskhadov propone un’amministrazione internazionale che avvii nell’arco di alcuni anni la democratizzazione e demilitarizzazione della Cecenia: “ Rispondendo alle preoccupazioni di Putin”, che vede nella regione un focolaio di terrorismo. E l’indipendenza? “ La raggiungeremo se la comunità internazionale ci considererà alla fine abbastanza maturi “, spiega Khanbiev, che non si fossilizza: “Se ciò che vorranno darci sarà autonomia, chiamiamola pure autonomia”.
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Il grande punto debole di questo piano è che nessuno a Mosca vuole ascoltarlo. Maskhadov è ricercato quanto Shamil Basajev, leader della guerriglia che ha rivendicato la paternità anche di quest’ultimo massacro. La chiusura dei russi verso il presidente ceceno non potrebbe spiegarsi con una mancanza di chiarezza nel rifiuto del terrorismo? Che relazioni ci sono tra Basajev e Maskhadov? “Relazioni non ne esistono – risponde – Basta dire che Maskhadov ha fatto appello perché un tribunale internazionale giudichi i crimini di guerra compiuti, e ha citato Basajev: lo porterebbe in tribunale personalmente”. Ma Khanbiev avverte: anche per Maskhadov diventa sempre più difficile controllare chi in Cecenia, di fronte a ciò che succede, si sposta su posizioni più estreme e sceglie il terrorismo: “ Ci sono persone che non hanno visto altro, per loro la vita è la guerra”. Quanto più durerà , tanto più difficile sarà sconfiggerla.