La Banda Bassotti radicale racconta come finanziare un partito con il fund raising
Al direttore - Di fronte al nuovo capitolo della telenovela sul finanziamento pubblico ai partiti, i radicali hanno trovato una immagine presa a prestito dai fumetti e si sono travestiti da “Banda Bassotti” scendendo in piazza davanti al Parlamento.
I “Bassotti di Paperopoli”, però, sono quelli che provano sempre a derubare Zio
Paperone ma vengono puntualmente acciuffati. I partiti che entrano invece nelle
casseforti dello Stato per mettere le mani sui soldi pubblici il più delle volte non solo restano indisturbati, ma portano a casa il bottino. E Zio Paperone (nel nostro caso lo Stato) resta a guardare. Aumentare i finanzia menti ai partiti per via pubblica, nell’attuale forma dei rimborsi elettorali – in realtà ben maggiori delle spese effettuate dai partiti e più utili a coprire i buchi di bilancio – non è formalmente un reato, ma tutti si comportano come se fosse un peccato e proprio come i Bassotti disneyani cercano di risolvere il problema di nascosto. Questa volta con una proposta di legge firmata congiuntamente da partiti diversi per
schieramento e origine, ma d’accordo nell’obiettivo di aumentare le entrate statali per la politica.
E neanche quest’ultima è poi una novità . Da sempre destra, centro e sinistra si trovano d’accordo su questi provvedimenti. E come sempre i tesorieri dei partiti si trovano a gestire i conti e il cittadino diventa a sua volta tesoriere dello Stato, un pubblico ufficiale in una visione della politica improntata alla più pura ideologia statalista.
L’obbligo di pagare una tassa per mantenere le finanze dei partiti sembra non solo irreversibile nel nostro paese, nonostante passino i decenni, ma un dogma di cui se se ne parla si viene tacciati di qualunquismo.
Al contrario, il finanziamento della politica come i radicali con la strada del referendum hanno proposto sin dal 1978 e poi nel 1993, referendum vinto con la maggioranza dei votanti, è e dovrebbe essere vissuto e interpretato legislativamente come problema dell’organizzazione dello Stato e del sistema politico, considerando la sua centralità non marginale e smascherando finalmente le Bande Bassotti per restituire invece la politica – non soltanto i partiti – ad un sistema che inverta i fattori e promuova la liceità del finanziamento privato alla politica.
Un miraggio irraggiungibile questo o una strada possibile? L’esperienza che ho maturato come tesoriere radicale dice che è possibile creare quelle condizioni che portino alla ricerca del consenso finanziario diretto.
Le cifre parlano chiaramente. Attraverso un’attività di fund raising, che ho strutturato anche tramite la creazione di un call center al servizio dell’area radicale, sono stati raccolti in dieci anni circa ventidue milioni di euro erogati in gran parte attraverso le carte di credito.
Tangentopoli non è servita
Se si considera la conquista del consenso finanziario privato – da singoli cittadini – come un momento costituente seppur diverso dal consenso politico, si può facilmente pensare che la politica può essere facilmente pagata da altri piuttosto che dallo Stato. E se queste cifre sono riferite esclusivamente a singoli individui, stesso discorso si può fare per i finanziamenti provenienti dai gruppi privati. Certo, l’era di Tangentopoli, che apparentemente avrebbe moralizzato la vita pubblica, in realtà lasciando inalterato il vero problema strutturale del rapporto tra l’economia italiana e la politica, e finendo per lo più, se mi consente, per consegnare parte del sistema politico italiano alle procure della Repubblica, non
sembra avere insegnato molto a chi ha il compito di legiferare in materia di rapporto tra soldi e partiti. Ma se così non fosse, apprezzando come lei il sistema politico americano, non potremmo concludere dicendo: evviva quel sistema che permette di limitare il canale pubblico rispetto al privato e dunque dire anche qui viva l’America? E discutere così di finanziamento privato ai partiti. Certo, il fund raising è lavoro faticoso. Ma mai abbiamo pensato che la democrazia liberale sia cosa per pigri.
Danilo Quinto
tesoriere del Partito radicale