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Referendum, questo sconosciuto

• da L'Indipendente del 14 ottobre 2004, pag. 4

di Daniele Capezzone

L’intervento di Giuliano Amato sul prossimo numero di Italianieuropei, anticipato ieri da Repubblica, è certamente ricco di spunti e riflessioni da non sottovalutare: i “caveat”, le messe in guardia, le cautele di Amato sono senz’altro qualcosa che arricchisce il discorso pubblico su temi tanto delicati.

 

Per parte mia, però, vorrei evidenziare alcuni aspetti che rischiano di rimanere, per così dire, in penombra.

 

 

Distinzioni di lessico

Innanzitutto, da molte parti, e anche nel ragionamento di Amato, emerge la convinzione che il referendum sia una specie di “ordalia”, di temibile “giudizio di Dio”. Qualcosa che, secondo il lessico politico e giornalistico corrente, va “scongiurato”: espressione di solito riservata alle catastrofi. Ecco, a me -invece- piacerebbe che si ricordasse che il referendum appartiene alla fisiologia, alla normalità costituzionale italiana: secondo Costituzione, il Parlamento vota una legge; sempre secondo Costituzione, 500mila cittadini possono chiederne l’abrogazione; e infine, ancora secondo Costituzione, la decisione spetta a tutto il corpo elettorale. Dov’è, quindi, il problema? Dove il rischio?

 

Si obietta, a questo punto, che il referendum ”spaccherebbe il paese”. Ora, a parte il fatto che solo in Italia si assiste ad una descrizione del “voto”, della divisione democratica secondo regole come “evento traumatico”, e, per converso, si ricorre alla ricerca affannosa di mediazioni unanimistiche nella forma e pasticciate nella sostanza, a parte questo -dicevo- la storia di questi trent’anni non è una storia di “spaccature”. Il paese, semmai, è stato unito dal grande dibattito sul divorzio o sull’aborto (tanto quanto oggi può esserlo su fecondazione assistita e libertà di cura e di ricerca), e i primi a certificare l’”unione” sono stati proprio i cattolici italiani, che, con il proprio voto anche referendario, hanno sempre saputo distinguere tra la loro personale opinione e la necessaria laicità delle leggi dello stato. E i sondaggi più recenti (in ordine cronologico, Eurispes, SWG ed Ekma) confermano in modo convergente questa tendenza: le stesse percentuali assolute di favorevoli ai referendum sono infatti confermate non solo nell’ambito degli elettori di centrosinistra o di centrodestra, ma anche nel “campione” di elettori credenti e praticanti.  

 

Allora, se proprio di “scontri” o “spaccature” si deve parlare, occorre guardare altrove. Intanto, non ad uno scontro tra laici e cattolici, ma -semmai- ad uno spartiacque che divide da una parte i liberali (laici e cattolici) e dall’altra i fondamentalisti (una minoranza estrema, nei voti di questi trent’anni come nei sondaggi di questi trenta giorni…) che vorrebbero modellare l’ordinamento giuridico sul loro orientamento confessionale. E poi, per essere ancora più chiari, occorrerebbe ammettere che la “destabilizzazione”, come lo stesso Amato, in altra occasione, ha avuto l’onestà intellettuale di riconoscere, avverrebbe piuttosto negli equilibri interni dei partiti e delle coalizioni, che -dinanzi alla chiarezza di un tema apertamente dibattuto nel paese- poco potrebbero rifugiarsi nel tradizionale muro contro muro “Polo versus Ulivo”, e dovrebbero invece (a cominciare da Romano Prodi e Silvio Berlusconi) dirci con chiarezza come la pensano.

 

 

Questione di emendamenti

Da ultimo, mi permetto due altre annotazioni. In tanti (non solo Giuliano Amato, per la verità) sono oggi impegnati a pieno ritmo per immaginare modifiche legislative sulla fecondazione. Ho già ricordato molte volte che questi ritocchi rischiano di essere cosmetici, e quindi -tra l’altro: e io dico per fortuna!- inadeguati a impedire ai cittadini di esprimersi. Ma, a parte questo, se tanta era ed è la consapevolezza dell’inadeguatezza della legge sulla fecondazione, perché -in modo letteralmente militare- al Senato furono respinti tutti (ripeto: tutti, e mi pare fossero 330!) gli emendamenti presentati nel corso del dibattito?

 

E infine. Perché continuare ad evocare lo spauracchio dei “casi limite”, delle situazioni estreme, dimenticando sistematicamente la grande normalità dei milioni di persone che potrebbero beneficiare dell’abrogazione di questa legge illiberale? In fondo, stiamo parlando di questo: da una parte, di coppie che potrebbero risolvere un loro problema di sterilità; e dall’altro, di malati che potrebbero vedere un po’ meno lontano il traguardo della guarigione. Non è detto che il modo più breve di unire due punti sia un arabesco: per una volta, perfino in Italia, potremmo provare (informando i cittadini, e chiamandoli a un voto libero e democratico) a seguire un percorso più lineare.

 

 


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