Dopo, quattro anni di silenzi e insabbiamenti. Da Berlusconi agli altri amici di Putin, qualcuno ha qualcosa da chiedere, su questo, al Presidente russo?
Quattro anni fa, in una terribile giornata, giunse la notizia della morte di Antonio Russo. Anzi, non solo della morte, ma del brutale assassinio di Antonio, compiuto con metodi degni del KGB.
Quell'episodio, tra l'altro, avvenne in un contesto particolarmente torbido, che vedeva -contemporaneamente- il veto russo al possibile incarico di Commissaria Onu per i rifugiati per Emma Bonino, e, sempre da parte del governo di Putin, il primo assalto (respinto) contro il Partito Radicale Transnazionale, accusato in modo infondato e infamante di terrorismo, narcotraffico e pedofilia.
I russi e le dittature loro alleate subirono una sconfitta memorabile alle Nazioni Unite, ma -intanto- rimaneva incancellabile il crimine del brutale omicidio di un radicale e di un giornalista, dell'inviato di Radio Radicale che, da free-lance, raccontava gli orrori della guerra in Cecenia.
Quattro anni dopo, tutto tace, da parte delle magistrature italiana, russa e georgiana.
Resta da chiedersi se, da Berlusconi in giù, dagli incontri in Costa Smeralda a quelli in Siberia, i tanti amici di Putin abbiano trovato il tempo, in questi quarantotto mesi, di porre al Presidente russo una domanda, la domanda. Temiamo che questo non sia accaduto, ed è cosa che avvilisce, addolora e indigna, anche.