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Lettera aperta a Marco Pannella

Roma, 14 ottobre 2004

di Angiolo Bandinelli

Caro Marco,

 

                      si avvicina a grandi passi la data della firma del Trattato-Convenzione sull’Unione Europea elaborato dalla Commissione presieduta da Giscard d’Estaing. Al di là del fatto simbolico, la data assumerà una sicura importanza politica,  in quanto fornirà nuova esca al dibattito-scontro sui destini dell’Europa, nel corso del quale emergeranno sempre più forti e aggressivi quanti puntano decisamente sul rigetto del Trattato. Vedremo molti Capi di Governo che, nel momento stesso in cui firmeranno quelle carte, rilasceranno ambigue dichiarazioni, se non altro a favore del referendum confermativo: un modo per manifestare l’intenzione di rinviare la decisione finale socchiudendo, se non anche spalancando la porta al fallimento del processo unitario.

 

           Nel corso del Convegno che i deputati radicali europei tennero l’anno scorso al Parlamento di Bruxelles la mia relazione introduttiva fu decisa e puntuale nel sollevare critiche importanti al Trattato. Non le ripeto qui, perché furono in quella occasione ampiamente discusse ed anche, se non erro, in gran parte raccolte dal gruppo dei parlamentari e da te stesso.

 

           E tuttavia, nell’avvicinarsi della data della firma, io mi rivolgo d’urgenza a te per dirti che oggi io, mentre mantengo intatte tutte le mie riserve, penso che i radicali debbano dare il loro appoggio alla firma, sostenendo i favorevoli e opponendosi vigorosamente a coloro che vorrebbero affossare o rinviare il (brutto) Trattato. La mia prima considerazione è d’ordine generale: non si può consentire che i modesti e discutibili traguardi conseguibili attraverso quel documento vengano abbandonati non in nome di una richiesta di rafforzamento dei vincoli comunitari ma per ottenere la loro messa in mora o la loro liquidazione totale: è del tutto evidente che i fautori del “no” sono - in misura preponderante - coloro i quali auspicano la fine definitiva del progetto europeo specie della sua variante federalista e perseguono, a tal fine, "la politique du pire". Il "no" alla Costituzione metterà l’alt a qualsiasi iniziativa volta a rendere un po’ migliore il funzionamento del sistema. Dunque, ragionando freddamente e non inseguendo il proprio “wishful thinking”, allo stato dei fatti l'alternativa è la seguente: o il Trattato-Costituzione che ci viene proposto o una crisi dagli esiti imprevedibili. Oppure, quanto meno, uno stallo indefinito su “Nizza”, il trattato riformato in vigore oggi. A detta di tutti, Nizza è stato il peggior trattato della storia europea mentre, nelle sue lacune e carenze, questo che andrà alla firma di Roma è sicuramente migliore. E dunque, se l’unica alternativa ai più deprecabili scenari è il Trattato-Costituzione giscardiano (che comunque istituisce una forma di partecipazione popolare, con la possibilità di chiedere in modo vincolante che venga proposta una "legge" europea, se lo chiedono 1 milioni di cittadini) i radicali, magari a malincuore (come me), devono senza esitare scegliere la sua vigorosa difesa.

            Tutti possono constatare come all’interno dell’Europa - ma anche, purtroppo, oltreatlantico - vi sono forze che si oppongono ad un qualsiasi sviluppo del ruolo e della stessa immagine dell’Unione. Molte le ragioni di questa avversione, non sto qui ad elencarle. Ed ecco ora sopraggiungere la preoccupante - e fino a ieri imprevedibile - presa di posizione della Germania, tesa a rivendicare per sé il seggio permanente al Consiglio di Sicurezza dell’ONU definendo “utopica” la possibilità che il seggio venga attribuito ad un rappresentante dell’UE in quanto tale: la posizione della Germania non è attribuibile ad un dissenso teorico o ideologico nei confronti dell’Unione, quanto piuttosto a motivazioni contingenti, ma non per questo meno pericolose.

 

            Ci sono altre considerazioni che in sede radicale devono assolutamente essere avanzate a favore della difesa del (brutto) Trattato-Convenzione. Noi radicali siamo fortemente impegnati, idealmente e politicamente, per l’ingresso della Turchia (adesso minacciato anche dal referendum chiesto da Chirac) e di Israele nell’Unione. Non mi pare pensabile che queste forti e giuste richieste possano conciliarsi, da parte nostra, con l’abbandono dell’Unione alla crisi annunciata. Il disinteresse, l’incuria, un sostanziale - anche se non formale ed esplicito - disimpegno nostro nelle istanze a noi accessibili (il Parlamento Europeo ma anche “Radicali Italiani” o il PRT) rispetto alle vicende prossime dell’UE, renderebbe poco credibile la battaglia per l’ingresso dei due Paesi nella Comunità. Io non saprei trovare un punto di coerenza tra tale divaricazione delle nostre posizioni. Infine: ai più di noi appare ovvio che solo il rinsaldamento delle sue istituzioni (non certo il loro allentamento) potrà far sì che l’Europa assuma responsabilità adeguate nelle vicende mondiali sviluppando sempre più il necessario, indispensabile dialogo con gli USA. Che significato avrebbe il tuo appello per “Stati Uniti d’Europa e d’America” in caso di disgregazione della UE?

 

              E’ per queste ragioni, che sicuramente avrai anche tu individuato per tuo conto, che a te mi rivolgo (come pure ad Emma, che mi pare sensibile a molti dei temi che ho qui sollevato) perché noi si possa assumere in tempo utile iniziative atte a dare la cognizione netta e senza equivoci della presa di posizione favorevole dei radicali federalisti rispetto al passo, non certo convincente ma oggi senza alternative, costituito dalla firma al Trattato, o Convenzione che dir si voglia.

 

Un caro saluto.


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