Tra meno di due mesi, il 17 dicembre, il Consiglio europeo dovrà prendere una decisione che avrà effetti sostanziali sul futuro dell’Unione e sulla vita civile europea: stabilire un termine preciso entro cui aprire i negoziati d’adesione con la Turchia, che dal 1959, quando fece richiesta di adesione alla CEE, guarda all’Europa come un esempio di democrazia di cui essere parte integrante al pari degli altri Stati membri. Gli scenari che ognuna di queste scelte configurano si complicano nella misura in cui, come occidentali, viviamo il fenomeno del terrorismo, di una violenza che non è legata ad alcuna ideologia politica, ma che però ha un’agenda politica serrata, cioè delle scadenze precise, e il cui obiettivo è di imporre anche all’Occidente un modello di società chiusa e repressiva della legalità delle istituzioni e delle libertà dei singoli. Alcuni Stati membri, Francia e Germania in testa, sembrano muoversi nella direzione di un rinvio della decisione ad un momento politicamente meno problematico per i rispettivi governi, cioè dopo i referendum sul Trattato costituzionale europeo. Una tale scelta avrebbe però effetti non di poco conto sul presente e sul futuro dell’Europa e della Turchia poiché indebolirebbe notevolmente l’attuale classe politica turca, che pure ha molto investito sull’adesione e indurrebbe la società civile turca, che si sentirebbe rifiutata da noi in quanto musulmana, ad interessarsi a modelli altri da quello europeo, per esempio la Siria o l’Iran, oltre i confini sud-orientali della Turchia. E non sarebbe proprio questo il modo migliore per lasciare campo sgombro e terreno fertile all’Islam politico e alle forze integraliste e violente, rendendo più vulnerabili le frontiere meridionali dell’Europa e reale il rischio di un’involuzione in senso teocratico della nascente democrazia turca?
Questi aspetti sono stati oggetto di approfondite valutazioni da parte di una Commissione Indipendente di cui faccio parte con insigni colleghi europei e che ha redatto un rapporto che mette in luce le opportunità e le difficoltà – che pure ci sono – dell’allargamento alla Turchia dei confini europei. La Turchia è un paese a maggioranza musulmana, che però ha storicamente dimostrato di muoversi verso l’Europa scommettendo non sul ruolo politico dell’Islam, ma sulla scissione tra la vita religiosa, che attiene alla coscienza di ciascuno, e la vita sociale e politica che, infatti, non è regolata dalla Sharia, la legge islamica. Far leva sul fattore culturale e religioso come elemento ostativo all’ingresso della Turchia sarebbe un grave errore di scarsa lungimiranza politica da parte dell’Europa e ne renderebbe ancora più incerto il futuro, anche in termini di sicurezza.