Presentato a Roma il rapporto per l’avvio di negoziato d’adesione turca alla Ue
Roma. “Se l’Unione Europea a dicembre rifiutasse di avviare i negoziati per l’adesione della Turchia, lancerebbe un pessimo segnale non solo al mondo islamico, ma anche a quei paesi europei, come l’Ucraina, che sono ancora fuori dalla Ue. L’Unione si qualificherebbe come un club di paesi ricchi, intenti a custodire gelosamente la propria prosperità . E allora io dico, che non abbiamo alcun bisogno di indire referendum nei vari paesi sull’opportunità o meno di accettare l’ingresso di Ankara, ma piuttosto occorre un largo dibattito per convincere le nostre opinioni pubbliche che accogliere la Turchia è nell’interesse stesso dell’Unione europea”.
Così Bronislaw Geremek, deputato nel Parlamento di Strasburgo ed ex-ministro degli Esteri polacco, sintetizza le ragioni della sua ferma opinione favorevole all’ingresso turco in Europa. Geremek ha fatto parte della Commissione indipendente che il mese scorso ha presentato un rapporto, sulla cui base a fine anno il Consiglio europeo deciderà se avviare con Ankara le trattative per l’accesso.
Non si sono sentite voci contrarie all’argomento, ieri, nella Sala del Refettorio, presso la Camera dei deputati, in cui quel rapporto è stato illustrato dai suoi stessi estensori. Ma gli oratori, sia coloro tra il pubblico che sono intervenuti hanno riecheggiato e analizzato, prima di spingerle, le note argomentazioni del partito “anti-turco”.
L’ampliamento geografico verso l’Asia centrale e il Medio Oriente rischia di portarci a maggiore contatto con aree di crisi? “Ma l’Europa – ribatte l’austriaco Albert Rohan, ex-segretario degli Affari Esteri – è già coinvolta comunque nelle vicende mediorientali, e l’esposizione alle nuove minacce alla stabilità collettiva (terrorismo, criminalità internazionale, proliferazione delle armi di distruzione di massa), non dipende dalla distanza geografica. Semmai la presenza turca nella Ue potrà rafforzare l’efficacia della politica estera europea verso il Medio Oriente e il Caucaso, che attualmente è piuttosto modesta”.
Altro cavallo di battaglia degli avversari di Ankara: un eccessivo afflusso di manodopera turca in paesi dove il problema dell’immigrazione è già fortemente sentito e crea tensioni. Una critica rintuzzata da alcuni dei relatori, osservando che da qui a dieci anni, quando si prevede che i negoziati possano finalmente culminare con l’ingresso della Turchia, la situazione economica e sociale generale potrebbe essere sensibilmente modificata, al punto da non rendere improbabile persino un flusso contrario, cioè il ritorno in patria di molti emigrati turchi.
In ogni caso, aggiunge Emma Bonino, ex-commissaria e deputata europea, “la libera circolazione delle persone potrebbe essere limitata per un periodo aggiuntivo di alcuni anni, così come sta accadendo ora per i nuovi dieci membri accolti nella Ue il primo maggio scorso. Non sono molto favorevole a questo tipo di misure, ma è un compromesso a cui si potrebbe ricorrere”.
La stessa Bonino ricorda poi come nel mondo arabo si guardi con estrema attenzione all’evoluzione dei rapporti Ue-Turchia: “I fautori del tanto peggio tanto meglio, sperano che la Ue chiuda la porta. Così potranno da un lato accusare l’Europa di essere una cittadella cattolica conservatrice, dall’altro rivolgendosi al resto del mondo islamico, dicendo: vedete, non c’è alternativa, lasciamo tutto com’è. Invece le correnti riformatrici sperano fortemente in un esito positivo, che dimostri come si possa essere insieme islamici e democratici”.
Ancora Geremek esorta l’Europa a prendere atto della “rivoluzione silenziosa” avvenuta nell’ultimo biennio in Turchia, dove, grazie alla pressione e all’influenza europea, sono state adottate importantissime leggi di riforma. La Commissione, ha aggiunto Martti Ahtisaari, ex-presidente della Finlandia è giunta alla conclusione che i turchi non hanno esitazioni circa l’adesione, sono consapevoli che “ci vorranno anni”, ma sono convinti che “i negoziati daranno nuovo slancio a un processo di cambiamento che in soli due anni ha prodotto più risultati che negli ultimi venti o trenta”.