Nota dell'Autore:il titolo con cui l’articolo appare sul giornale “Dove vanno i Radicali? Con il Polo o con l’ulivo? E’ ora di sporcarsi le mani” è fuorviante
Nel 1962 (se ricordiamo bene) si teneva in Italia una tornata di elezioni amministrative. Il Partito Radicale, ormai “pannelliano”, partecipava alla campagna. Un pugno dei suoi membri, giovani professionisti del tutto digiuni di politica a quei livelli, affrontò un pubblico comizio in Piazza del Collegio Romano, deserta e indifferente. Uno di loro, ad un certo punto, azzardò un’affermazione, per quegli anni, bizzarra: “Noi radicali - disse - vogliamo considerare quale scenario della vita politica non il triangolo costituito dalle cittĂ di Milano, Genova, Torino, ma quello che ha come suoi poli Milano, Parigi e la Ruhr”. Agli albori del primo centro-sinistra, le grandi dispute sulla programmazione economica di cui si nutriva la politica non guardavano oltre l’orizzonte del “triangolo industriale” italiano. L'ambizione di quei giovani poteva apparire eccessiva, ma passarono pochi anni e si dimostrò ampiamente giustificata. Le battaglie sul divorzio, per l’obiezione di coscienza, per l’aborto, per la liberalizzazione di importanti settori della vita economica italiana, per l’Europa federale o contro le stragi della “fame nel mondo”, si sono collocate perfettamente in una prospettiva europea e transnazionale che non è stata mai tradita e tuttora vive in quelle per la libertĂ di ricerca scientifica, la riforma dell’ONU o l’”Organizzazione Mondiale della e delle Democrazie”. Una costante di grande respiro, non negli astratti principi ma nelle iniziative via via concretamente poste in atto.
Sembra che questa caratteristica non sia ancora bene colta e capita da quanti, in questi giorni, si chiedono e chiedono al Movimento “Radicali Italiani” che del partito è la componente “nazionale”: “Dove vanno, i radicali?”, “Cosa fanno, i radicali?”. Per nessun’altra forza politica si avanzano interrogativi che invece da piĂą di un lustro rincorrono insistenti e anche petulanti Pannella e soci, nell’attesa impaziente di una risposta che sembra obbligata e dovuta. In soldini, ai radicali si chiede se, in una delle prossime scadenze elettorali (le regionali del 2005 o le politiche del 2006), si alleeranno con il Polo o con l’Ulivo, con il centro-destra o con il centro-sinistra. L’impazienza si giustifica, non si tema di riconoscerlo, con esigenze e calcoli puramente elettorali (se non elettoralistici), vale a dire in vista dell’apporto che essi potrebbero dare in termini di voto. In un quadro politico incerto ed oscillante quale è quello odierno, il 2% di consenso che all’incirca viene attribuito alla pattuglia di Pannella e Bonino appare prezioso, forse determinante. Per onestĂ , va detto che la domanda risuona anche all’interno di “Radicali Italiani”, l’ultima volta l’abbiamo sentita echeggiare durante il congresso romano, giorni fa. Addirittura, la domanda ha costituito il piedistallo su cui sì è collocata una fetta del partito, circa il 26%, sotto la guida di Benedetto Della Vedova e di altri esponenti riconducibili soprattutto (ma non solo) ai due gruppi consiliari, il comunale di Torino e il regionale di Milano, direttamente interessati alla prossima scadenza amministrativa. Noi radicali - hanno detto - dobbiamo cercare accordi, prioritariamente indirizzandoci verso la Casa delle LibertĂ , per rendere realizzabili e vincenti alcune precise scelte in settori (economia, politica estera…) definiti di comune accordo. Ma per loro è soprattutto una questione di principio: dobbiamo anche noi, alla fine, “sporcarci le mani” con la politica politicante.
Emma Bonino ha chiesto a Della Vedova, nel suoi intervento congressuale: “Non è che per caso, Benedetto, hai frequentato, in questi anni, un altro partito?” Era un persino ovvio interrogativo, nel veder dimenticati passaggi e questioni essenziali. Ad un qualunque osservatore minimamente attento non può sfuggire la caratteristica che abbiamo cercato di porre in rilievo con il ricordo del lontano comizio. Il percorso dei radicali pannelliani è stato, per circa mezzo secolo, costante: le battaglie di libertĂ , condotte soprattutto grazie ai referendum, sono legate da un filo rosso che ha determinato anche la loro collocazione nelle campagne elettorali quando, in un modo o nell’altro, vi hanno partecipato: esemplare, la collaborazione con Loris Fortuna e i socialisti all’epoca del divorzio (chi scrive sottoscrisse, in qualitĂ di segretario nazionale del partito, un accordo con il segretario del PSI, Giacomo Mancini, in base al quale i radicali diedero indicazione di voto socialista in cambio di garanzie sulle procedure parlamentari per l’approvazione della legge divorzista). E non si dimentichi, in parallelo, il lungo, difficile ma fruttuoso confronto/scontro con Bettino Craxi, all’interno delle aule parlamentari. Nello stesso quadro vanno collocati i tentativi di accordo con Berlusconi. Pannella, in congresso, ha puntigliosamente rievocato le occasioni in cui la trattativa è stata spezzata per responsabilitĂ del leader di Forza Italia. Le ragioni delle rotture? Sempre le stesse, il rifiuto della Casa delle LibertĂ di voler porre al centro del confronto, prioritariamente, un programma riformatore liberale su pochi, ben definiti temi e punti; e, comunque, di manifestare un “segnale” forte, a partire dalla caduta della “conventio ad excludendum” che penalizza da sempre i radicali nell’agone politico.
Inaspettatamente, la raccolta delle firme per il referendum sulla procreazione assistita ha visto aprirsi una bella convergenza tra i radicali e alcune forze di centro-sinistra (o meglio, con il “popolo” del centro-sinistra). SDI, Rifondazione, settori di dirigenza DS hanno dato un contributo notevole alla campagna anche se, purtroppo, una parte dei DS, con il loro segretario Piero Fassino, ha - come si dice - “remato contro”. Questo fatto, straordinario e fino a ieri impensabile, pone oggi in modo diverso e piĂą articolato il tema delle possibili intese elettorali di Pannella e compagni.
In definitiva: piuttosto che insistere con la domanda “dove vanno i radicali”, occorrerebbe chieder il loro indirizzo o magari il numero di telefono, per avviare un incontro in cui porre le basi di un dialogo serio e costruttivo. Garantito: i radicali non vedono l’ora di “sporcarsi le mani”. La Bonino ha assicurato: “Non scherziamo, non vedo l’ora di diventare ministro…”