Eh sì, signor Direttore, la tentazione è forte. Dinanzi alla leggina-Amato, già presentata presso la Quarta Camera (la pagina dei commenti di “Repubblica”), presto discussa -non c’è da dubitarne, immagino- presso la Terza (a “Porta a porta”: e del resto, ogni società e ogni tempo hanno un loro adeguato storico e testimone: c’è chi ha avuto Erodoto, chi Tacito, e chi Bruno Vespa, appunto), e non ancora depositata presso le prime due, dinanzi a questa proposta -dicevo- è forte la tentazione di tagliar corto. Una sòla. Un pacco. Un Rolex falso. Un tappeto persiano “made in Caserta”…
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Così come è forte la tentazione di trovare i precedenti, che non mancano. Nel ‘73-74, per evitare che i cittadini potessero pronunciarsi sul divorzio, si escogitarono altri papocchi del genere, dalla "legge Bozzi" alla "legge Carrettoni". Come Pannella ha buon gioco a ricordare, ognuno aveva il suo "sarchiapone" da proporre: chi tirava fuori il "divorzio polacco", chi si accontentava di limitarlo ai soli matrimoni civili (cioè, allora, a circa al 2% delle unioni…). Insomma, qualunque escogitazione sembrava andar bene a chi (in genere, per una malcelata volontà di preservare il disegno del "compromesso storico") voleva evitare la celebrazione del referendum. Ma alla fine le cose andarono diversamente: i radicali, i socialisti, i laici tennero duro, ebbero al proprio fianco parte consistente dell’elettorato cattolico, e soprattutto poterono contare sul grande appoggio del popolo di sinistra, che alla fine (ma proprio alla fine: ancora a 40 giorni dal voto, "L’Unità " di allora bollava il referendum come una "jattura"…) trascinò anche Berlinguer e il Pci.
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Stavolta, poi, la tentazione di liquidare tutto sarebbe ancora irrobustita da una “trovata” intellettualmente (starei per dire: culturalmente) rivelatrice, emblematica. Dinanzi alla disputa sull’embrione, che fa il dottor Sottile? Dalla sua tasca di Eta Beta, tira fuori una “flamignata” (nel senso di Carlo Flamigni), e si lancia sull’”ootide”. Insomma, tra il bizantino e il levantino, tra acrobazie degne della casistica gesuitica, il ticket Amato-Flamigni acchiappa il momento in cui l’embrione …non sarebbe ancora embrione, in cui sarebbe un quasi-embrione, in cui …l’”anima” -presumo- non sarebbe ancora “arrivata”, e -zac!- proprio allora (non un attimo dopo, se no guai!) fa scattare la crioconservazione…E così, in un colpo solo, si dribbla Coscioni, si tranquillizza Ratzinger, si approfitta della distrazione di Rutelli (impegnato a scrivere saggi per “Il Foglio” sull’uomo nel terzo millennio…), ci si para a destra e a manca, si fugge sulla fascia, palla al centro, e…gol. Dove il gol è -elementare, Watson- evitare che i cittadini possano discutere e votare.     Â
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Ecco, la tentazione di liquidare tutto in questi termini è forte, ma proprio per questo è il caso di resisterle. Non senza -però- avere sottolineato (vale per Amato e Flamigni, ma, sulla sponda opposta, vale anche per Lei, signor Direttore) quanto mi paia spaventosamente materialistico tutto questo tipo di discussione, con gli uni impegnati a scovare la fermata d’autobus, il passaggio a livello, la dogana (non so bene) in cui il quasi-embrione diverrebbe embrione, e gli altri (con Lei) che rischiano di equiparare sic et simpliciter ad una persona (ripeto: ad una persona) il puro e semplice incontro di un ovulo e di uno spermatozoo…E, insomma, con la curiosa e schizofrenica sensazione di veder indicare il cielo dei grandi princìpi, mentre -contemporaneamente- si cercano escogitazioni se non da azzeccagarbugli, quanto meno da…azzeccazigoti. Ma avremo tempo di riparlarne.
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Intanto, come dicevo, resistiamo alla tentazione. Dunque, nessuno (ma proprio nessuno) mette in discussione il fatto che legittimamente (ultralegittimamente!) il Parlamento eserciti la sua funzione normativa, e possa farlo fino all’ultimo. Certo, fa impressione ricordare che, solo pochi mesi fa, questa legge apparisse blindata (furono respinti 330 emandamenti su 330!), mentre adesso è in atto una gara affannosa e trafelata tra la Commissione Sanità della Camera e quella del Senato per stabilire chi comincia prima a modificarla…Ma lasciamo perdere anche questo aspetto, un po’ -si converrà - da vaudeville.
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Io dico a Giuliano Amato che desidero, con i miei compagni, discutere, anche con lui, e anche del suo progetto di legge. Però, occorre capirsi.
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Intanto, il referendum non è un’ordalìa, un temibile giudizio di Dio, ma è un “attrezzo” che appartiene alla fisiologia costituzionale. Secondo Costituzione, il Parlamento approva una legge; sempre secondo Costituzione, 500mila cittadini possono chiederne l’abrogazione; e, ancora secondo Costituzione, tutto il corpo elettorale è chiamato a decidere. Dov’è il problema?
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Allora, un buon punto di partenza è garantire che i cittadini -la prossima primavera- possano esprimersi sui referendum. Finalmente, sta iniziando un dibattito alto, che può elevare il tono del discorso pubblico, sollevarlo dal livello delle risse, delle polemiche, dei battibecchi, per dare vita -invece- a quei grandi confronti che, in fondo, uniscono la coscienza del Paese, rendono più saldo il tessuto civile. Allora, vogliamo garantire agli italiani sei mesi di discussione e poi un voto referendario? Si può partire da qui? O è più interessante la prospettiva di sei mesi di discussione sulla Gad (con o senza Enrico Manca o Tiziana Parenti, apprendo…) o sulla Cdl (con l’Udc unito, o con la scissione di Buttiglione, Catone, Rotondi e Raffaele Lombardo…)?
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Se poi, nel frattempo, in Parlamento cresce una sensibilità , una consapevolezza di avere legiferato in modo rigido e frettoloso, bene, benissimo. Inizi la discussione, si facciano delle modifiche. Ma non con l’obiettivo o il retropensiero (neanche troppo …”retro”) di impedire ai cittadini di votare.
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Anche perché -sia chiaro- affinché una legge consenta di evitare i referendum, deve davvero accoglierne le istanze. Il che (a dispetto della Sua opinione, signor Direttore, o di quella dell’onorevole Prestigiacomo) non è proprio il caso del progetto-Amato: anzi, su ogni punto, dove i referendum chiedono “dieci”, la leggina si limita a offrire “uno o due”. Esemplifico. Il referendum di abrogazione totale chiede che su questa materia non viga una legge (può bastare un regolamento, un atto normativo di rango inferiore che fissi alcuni paletti sulle caratteristiche dei centri di fecondazione): bene, questa istanza non può essere soddisfatta ricucinando una legge, come fa Amato. Oppure: se un altro referendum chiede di consentire la produzione di embrioni a scopo di ricerca, non ce la si può cavare solo con l’escamotage degli “ootidi”. Oppure, se un altro referendum chiede di abolire il divieto di fecondazione eterologa, non ce la si può cavare ammettendola in qualche caso. E potrei andare avanti a lungo.
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Morale. Si abbandoni il terreno furbesco dello scippo referendario, e si entri nell’ordine di idee di un dibattito di fondo. Ripeto: sono, sarei lieto -con i miei compagni di Radicali italiani e dell’Associazione Luca Coscioni- di discutere con Giuliano Amato. Pochi se ne accorsero (e, nei prossimi giorni, cercherò di ricordarlo in qualche modo), ma, tre anni fa, con 28 giorni di sciopero della fame, chiedemmo di depositare alle Camere 25 proposte di legge, tra cui -in primo luogo- proprio la “proposta Coscioni”. Io resto convinto del fatto che, su questa materia, non serva una legge, ma -per chi la pensa diversamente- quello può essere un punto di riferimento importante.
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Proprio come -e mi rivolgo a Lei, signor Direttore- la legislazione di Blair in Inghilterra o quella (ben prima di Zapatero) dell’epoca Aznar in Spagna. Eh sì, caro Direttore: perché anche Blair e Aznar sono due pericolosi “radicali” come noi, e non solo su questo…
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E proprio questo mi dà l’occasione di rivolgermi direttamente a Lei a al Suo giornale. Le ho già scritto che, di questi tempi, Lei mi ricorda un po’ il lupo di Fedro, così abile nel rovesciamento delle cose e delle parti. E -ahimé- sono costretto a insistere.
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Lascio da parte la vicenda Buttiglione, su cui Marco Pannella Le ha già pubblicamente ricostruito minuto per minuto uno svolgimento dei fatti che smonta -diciamoci la verità - la gran caciara che avete messo su. Non è esistita nessuna “Spectre laica”, ma il voto contrario di tanti eurodeputati del PPE. E per altro verso, non è esistito alcun processo alle intenzioni, ma (da parte radicale e non solo) una valutazione tutta centrata sull’”opportunità ”, e -insieme- la denuncia di fatti e comportamenti (ripeto: fatti e comportamenti, uno per tutti il blocco dei fondi europei per la ricerca sulle staminali) che testimoniano come il buon Bottiglione confonda il piano delle sue (rispettabilissime!) convinzioni personali con quello delle leggi dello Stato.
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Ma vedo che ora Lei va avanti così, e mi spiace. Primo esempio. Lunedì ha scritto: piuttosto che parlare di fecondazione assistita, parliamo delle adozioni. Bene, dico io: peccato che in questo paese ci sia una legge illiberale sulla fecondazione e una procedura altrettanto kafkiana sulle adozioni (tanto che, in vena di promesse -una più, una meno…- qualcuno che Lei ricorderà bene tappezzò le nostre città di manifesti con la scritta “Adozioni più facili”). Allora, diamo vita a una regolamentazione liberale della fecondazione, e si regoli in modo altrettanto liberale la realtà delle adozioni, e poi si consenta a ciascuno di scegliere.        Â
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Secondo esempio: le elezioni Usa. Perché anche Lei (non l’ottimo Rocca, che ha diradato i dubbi su tutto questo) ha contribuito ad avallare la tesi di una vittoria di Bush innanzitutto “segnata” dagli evangelici? Perché non ci racconta di più dei veri campioni decisivi di questa campagna repubblicana, quelli a cui sono stati affidati i discorsi-chiave della Convention e che poi hanno giocato la parte del leone delle ultime settimane pre-elettorali? Da Arnold Schwarzenegger (che sta con Coscioni, come si sa…) a Rudolph Giuliani (tough on terror, ma -si potrebbe dire: proprio per questo- aperto su diritti civili e sulle libertà sessuali) al vecchio maverick Mc Cain, che prende il 77% nel suo collegio…Per non dire della figlia lesbica di Cheney che festeggia sul palco della vittoria con la sua compagna: ce la vede, qui, su un palco della Cdl con Calderoli o su uno dell’Ulivo con Rosy Bindi?Â
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Terzo esempio. Ha fatto molto bene (La ringrazio di cuore) a valorizzare il caso van Gogh, e, retrospettivamente, la vicenda Fortuyn. Per avventura, nella sera in cui Fortuyn fu ucciso da un fanatico ambientalista (e proprio mentre D’Alema era già da Vespa a far intendere che -sotto sotto- poteva essere una storia di froci…), subito, a caldo, mi affannai a spiegare che Fortuyn non era come lo si dipingeva, ed era stato ucciso in primo luogo dai “perbene”, da quanti -i conformisti riuniti in “Unione sacra” contro il “fascista” (che ovviamente non era)- lo avevano isolato ed esposto, riducendolo a mostro, ad anomalia, a simbolo da abbattere.Â
Ora, però, per ragioni diverse, non mi riconosco neanche nell’immagine, nel simulacro fornito da “Il Foglio”: guardi che Fortuyn e van Gogh polemizzavano selvaggiamente contro gli imam fondamentalisti islamici proprio in nome di quelle cose per cui Lei, amico Direttore, “ce l’ha con noi”: i “diritti” delle donne, delle coppie di fatto, eccetera.
Fortuyn e van Gogh dicevano agli imam: voi non riuscirete a toglierci quelle libertà che ci siamo conquistati; e non a caso, si guadagnava per questo -simmetricamente- l’odio degli imam fondamentalisti e il disprezzo della “politica ufficiale”.
Allora, non ricaschiamoci. Alla jihad islamica non contrapponiamo una jihad di segno e colore diverso. Per dirla con Pasolini, dobbiamo opporre una risposta di “alterità ”, non di “omologazione”. Guai a rifare il solito errore, che non è solo quello di riproporre le crociate o Carlo Martello a Poitiers o la battaglia di Lepanto. Ma (per fare esempi…più vicini a noi) l’errore del fascismo di combatter la mafia col Prefetto Mori; o quello dell’unità nazionale Dc-Pci che combattè le Brigate Rosse con le leggi d’emergenza (di cui ora lo stesso Presidente Cossiga si pente amaramente); o quello dell’antimafia di oggi che combatte Riina con il 41 bis. E’ una tragedia: e così, si diventa non più controparte, ma controfigura del nemico (che esiste, eccome: e sono d’accordo con Lei), e finiamo per diffondere il seme del male che pretenderemmo di estirpare…
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Allora, forse, sgombrato il campo da questi equivoci, Le rilancio la palla. E Le dico che il dibattito da sollevare, oggi, è quello sul ruolo dello Stato.
Io non nego che possano manifestarsi qua e là rischi o “incrostazioni” laiciste. Un intellettuale originale e coraggioso come Alain Finkielkraut non smette di ricordarci che una società libera non è un “accumulo di diritti” (diritto a questo, diritto a quello...). Già la Costituzione italiana (e Piero Ostellino ha fatto molto bene a evidenziarlo di recente) è negativamente gravata da questa impostazione, sul piano economico-sociale (diritto alla casa, diritto al lavoro, ecc: tanto più solennemente proclamati, quanto più difficilmente realizzati, peraltro): e non sarebbe un buon affare per nessuno trasferire questo “metodo” anche in altri ambiti.
E infatti, per noi radicali l’impostazione è opposta. Noi non chiediamo una legge in più, ma una legge in meno. Non chiediamo un diritto in più, ma una facoltà in più. Non chiediamo un intervento in più dello Stato, ma un intervento in meno. Il secolo appena trascorso è stato caratterizzato dall’impronunciabilità della parola “individuo”: ed era sempre un’entità collettiva (la Famiglia, il Sindacato, il Partito, la Chiesa, lo Stato: tutti minacciosamente maiuscoli) a dire l’ultima parola. Ora, è venuto il momento di immaginare un nuovo spartiacque politico rispetto alle tradizionali categorie della “destra” e della “sinistra” (per tanti versi, attrezzi ormai inadeguati): e la distinzione è tra chi (in economia come sul fronte delle scelte personali) vuole allargare e chi invece vuole restringere la sfera della decisione individuale e privata rispetto alla sfera delle decisioni pubbliche e collettive.
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Ne parliamo? Grazie davvero, intanto, per la Sua ospitalità .
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