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Un potere che spetta al Presidente

• da Il Messaggero del 25 novembre 2004

di Francesco Paolo Casavola

IL PRESIDENTE della Repubblica, nel concedere la grazia a Graziano Mesina, Aldo Orrù e Luigi Pellé, ha manifestato al ministro di Giustizia, al Quirinale, il proprio intento di concedere la grazia anche ad Ovidio Bompressi. Il ministro ha dichiarato di non poter rimettere al Capo dello Stato il relativo decreto, essendo egli contrario a tale provvedimento di clemenza. Il comunicato del Quirinale laconicamente conclude che il presidente Ciampi si è riservato di assumere le proprie decisioni. E’ sempre doloroso che vicende gravi di esseri umani siano decise da astratte ragioni politiche. Bompressi è gravemente malato, e la grazia nei suoi confronti non sarebbe solo clemenza, sarebbe atto di pietà. Ma la questione non è quella della opportunità della grazia a Bompressi, che vede favorevole il Capo dello Stato e contrario il ministro.

La questione è se il potere di concedere la grazia appartenga al primo e non anche al secondo, oppure se spetta all’uno e all’altro congiuntamente, con la conseguenza che se si trattasse di questa seconda ipotesi il ministro avrebbe nei confronti del Capo dello Stato un potere di veto. Qualche costituzionalista ha costruito lo schema del cosiddetto atto duumvirale, compiuto cioè da due soggetti concordi. Mancando la concordia, l’atto non sarebbe possibile. Chi ha costruito questa figura, ha dimenticato che il soggetto duale implica una coppia collegiale paritaria. E non sembra proprio che il Capo dello Stato e il ministro di Giustizia siano come i consoli romani. L’articolo 87 della Costituzione, ripetendo quasi letteralmente l’articolo 8 dello Statuto albertino, stabilisce che il Presidente della Repubblica «può concedere la grazia e commutare le pene».

E’ una tradizione giuridica più che millenaria che il vertice sovrano dello Stato, dagli imperatori romani ai monarchi europei, eserciti la virtù personale della clemenza, per correggere il rigore estremo della legge che potrebbe rovesciarsi in somma ingiustizia. Questa ideologia della grazia sovrana impedisce di imputare ad un membro del governo l’atto di clemenza, quasi si trattasse di un atto politico, e dunque dettato dalla ragion di Stato o da una valutazione di parte, cui il Capo dello Stato aggiunge la sua firma. La grazia, come atto non del governo, è propria del Capo dello Stato che rappresenta la Nazione, non quella parte dei cittadini che si esprime nella maggioranza di governo. Le valutazioni del Capo dello Stato, come simbolo dell’unità della Nazione, si presume interpretino la generalità dello spirito pubblico, e non possono essere subordinate alle opinioni personali di un ministro. Come mai allora la cooperazione strumentale del ministro, che istruisce la pratica burocratica per la concessione della grazia, si trasforma in acquisizione della prerogativa che la Costituzione riconosce solo nel Presidente della Repubblica?

L’articolo 89 della Costituzione stabilisce che nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dal ministro proponente, che ne assume la responsabilità. Il tema da decidere è dunque quello del significato della controfirma ministeriale. Per i provvedimenti del governo rivestiti dalla forma del decreto del Presidente della Repubblica, la firma ministeriale è certificativa della paternità politica dell’atto, che è, nel suo contenuto di volontà, del ministro proponente. Per gli atti personali del Presidente della Repubblica la firma ministeriale è atto dovuto di ricognizione dell’esistenza del provvedimento presidenziale. Nessuno oserebbe affermare che la nomina dei giudici costituzionali o dei senatori a vita spettante al Presidente della Repubblica sia da condividersi da altri soggetti costituzionali. Si usa dire che si tratta di atto personalissimo. Il superlativo verrebbe a distinguerlo da altri atti soltanto personali. Il rischio è che con queste sottigliezze si dia esca a chi tende a impossessarsi di atti del Presidente della Repubblica, contro il chiaro dettato della Costituzione.

Se poi si tiene conto che, in base all’articolo 681 del nuovo codice di procedura penale, la grazia può essere concessa anche in assenza di domanda o proposta, si ha un argomento in più, di natura sistematica, sulla gratuità di un atto esercitabile soltanto da chi nell’edificio costituzionale ha una collocazione di vertice. Ad ogni modo il Capo dello Stato può sollevare conflitto di attribuzioni dinanzi alla Corte costituzionale verso il ministro di Giustizia, rivendicando per sé il potere di grazia. La vicenda non va drammatizzata. L’ordinamento ha rimedi anche per situazioni che il solo buon senso scioglierebbe, con il garbo sorridente appropriato ai paradossi.

 

 



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