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Scesi a 60 i Paesi con la forca, gli Usa restano nella lista nera
Per l'ultimo rapporto di «Nessuno tocchi Caino» 131 Stati hanno rinunciato alla pena di morte. Il record di esecuzioni in Cina e Iran

• da L'Unità del 6 dicembre 2004, pag. 7

di Roberto Rezzo

Nell'arco degli ultimi  dieci anni il numero dei Paesi che  hanno rinunciato all'applicazione  della pena di morte è cresciuto in  maniera significativa. Questo l'incoraggiante risultato che emerge dall'  ultimo rapporto presentato alle Nazioni Unite dall'associazione Nessuno tocchi Caino e dal Partito Radicale Transnazionale. L'analisi dei dati mostra che dei 191 Paesi membri dell'Onu, 131 hanno rinunciato  alla pena capitale; il numero dei  Paesi che ancora tengono in servizio il boia è sceso a 60. Tra questi  ultimi, 47 - pari al 77% del totale -  sono governati da regimi dittatoriali, autoritari o comunque illiberali. Le democrazie che non hanno abolito   la pena di morte sono tredici,  guidate dai due Paesi più industrializzati al mondo: Stati Uniti e Giappone. «La battaglia di chi si oppone  alla pena di morte - fa notare Sergio D'Elia, segretario di nessuno  tocchi Caino - per i media e molti  attivisti è un atto d'accusa contro l'ordinamento giudiziario degli Stati Uniti. Ma la seconda faccia del  problema, quella delle condanne  eseguite dai regimi autoritari, è  molto più grave». I numeri sono  presto fatti: delle 5.600 condanne a  morte eseguite nell'ultimo anno in  29 Paesi al mondo, 5.526 - ovvero  il 99% del totale - hanno avuto luogo sotto regimi autoritari. La Cina  da sola, con oltre 5mila esecuzioni  nel 2003, acconta per quasi il 90%  del totale. L'Iran con 154 esecuzioni,  fatte le proporzioni con la popolazione,  applica la pena di morte con la stessa facilità della Cina.

 

 Nei bracci della morte delle carceri  americane - secondo gli ultimi  dati forniti dal dipartimento alla Giustizia - sono rinchiuse 3.525  persone. La California guida la classifica con 620 condannati in attesa  di esecuzione, il 55% dei quali appartengono alla minoranza afro americana o a quella ispanica; segue a ruota il Texas con 453 condannati,  il 67% dei quali è nero o ispanico. Per la prima volta dal luglio del 1994, questo mese non ci dovrebbero essere iniezioni letali o sedie elettriche in funzione. Coincidenza singolare dopo la rielezione di George W. Bush alla Casa Bianca e il rafforzamento della maggioranza repubblicana in entrambi i  rami del Congresso. A imporre una  battuta d'arresto è stata essenzialmente la magistratura Superiore,  non il mondo politico. Ben quattro  condanne a morte sono state sospese all'ultimo momento la scorsa settimana. In Kentucky, Thomas  Bowlìng avrebbe dovuto essere  messo a morte lo scorso 30 novembre;  la sospensione è stata concessa  per le palesi violazioni procedurali  del pubblico ministero durante il  processo, un quoziente d'intelligenza sensibilmente inferiore alla media e un'alta possibilità che sia del  tutto innocente. In Texas, Frances Newton è sfuggito all'appuntamento col boia il primo dicembre; motivo:  dubbie le prove a suo carico e   processo celebrato senza assicurare  all'imputato una difesa accettabile  Il giorno successivo m Pennsylvania,  è stata sospesa l'esecuzione di George Banks, gravemente malato  di mente, un individuo essenzialmente non in condizione d'intendere e di volere. Nella Carolina del  Nord, Charles Walker è sfuggito al  boia perché la corte d'Appello dello  Stato ha riconosciuto che nessun  ragionevole indizio provava un suo  coinvolgimento nel delitto per cui  è stato condannato in primo grado.

 

 La disinvoltura con cui alcuni  tribunali americani mandano a  morte gli imputati ha attirato l'attenzione della Corte suprema degli  Stati Uniti, decisa a contrastare pratiche già bocciate con precedenti  sentenze. Nel mirino degli alti giudici,  nessuno dei quali contrario alla pena dì morte, c'è il Tribunale  d'Appello del quinto distretto a  New Orleans e la Corte criminale  d'Appello di Austin in Texas. Nello  Stato del presidente solo quest'anno la Corte suprema ha bocciato  tre sentenze di condanne a morte.  Oggi la Corte discute un altro caso  che riguarda il Texas, quello dì Thomas  Miller-EI. Durante il processo  il pubblico ministero, sotto la compiacente indifferenza del giudice, è  riuscito a fare in modo che tra la  giuria non ci fossero neri come l'imputato. Sulla qualità del lavoro  svolto nel quinto distretto a New  Orleans, la Corte suprema ha messo agli atti le parole del giudice Sandra Day O’Connor: «Ci sì è fatti  beffe dei principi della legge. Questo   tribunale ha pronunciato condanne   a morte che non hanno alcun   fondamento».

 

 

 



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