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Le dittature vanno considerate un crimine contro l'umanità

• da Corriere della Sera del 6 dicembre 2004, pag. 35

di Paolo Mieli

Vorrei allargare, caro Mieli,

il discorso che lei ha fatto sulla violenza nei confronti delle donne musulmane per riproporle il tema più generale dell'esigenza di democrazia nel mondo islamico. Esigenza di democrazia per chi in quel mondo é nato e ci vive, in primo luogo. Ma anche per noi che non verremo mai a capo dei conflitti che agitano quella regione fino al giorno in cui non otterremo che questo tema sia imposto al primo punto dell’agenda politica internazionale. Quel che sta accadendo in Ucraina - speriamo bene! - dimostra che solo un agire in questa direzione può salvare i Paesi che non sono ancorati al sistema democratico dalla guerra civile, guerra che dopo un po' rischia di trascinare nel gorgo anche noi…
Ezio Serafini, Milano


Caro signor Serafini,

avrà notato che nel concludere la risposta a cui lei fa riferimento ho citato l'esperienza di Emma Bonino che da anni fa discorsi simili al suo e opera attivamente in quella direzione. Devo aggiungere che il partito della Bonino, il radicale, ha già fatto quel che lei auspica mettendo al primo punto della sua agenda politica il tema di come far prevalere la democrazia nel mondo arabo e nella comunità internazionale. E perché lo ha fatto? Tra i governi dei centosettanta Paesi che - esclusi quelli arabi - rappresentano la totalità del Pianeta, centoventuno (ossia il 71 per cento) sono decisi da libere elezioni. I Paesi arabi sono ventidue e neanche uno tra i loro governi è scelto in base a forme democratiche di espressione del suffragio popolare. Dei Paesi a maggioranza musulmana nove (ossia il 20 per cento) hanno governi eletti democraticamente: Turchia, Albania, Bangladesh, Indonesia, Nigeria, Mali, Senegal, Niger, Gibuti. E’ poco ma è la dimostrazione che la democrazia è possibile in un Paese a maggioranza islamica. Per quanto riguarda i Paesi arabi, va ricordato - a non essere eccessivamente pessimisti sui loro destini - che uno di questi ha vissuto in un regime (sui generis) di democrazia dalla fine della Seconda guerra mondiale alla metà degli Anni Settanta:il Libano. E che i re di Giordania e di Marocco così come i leader di quasi tutti i piccoli Stati del Golfo hanno preso concrete iniziative per la democratizzazione dei loro Paesi.

A questo punto potremmo chiederci: il problema è nel nesso tra evoluzione civile e risorse economiche? E' la povertà a impedire l'affermazione della democrazia nei Paesi arabi? No, risponde lo studioso Joshua Muravchik, «il Paese arabo più ricco è l'Arabia Saudita che è anche quello senz'altro più distante da una forma democratica di governo; inoltre la democrazia ha stabilito solide radici nell' Africa subsahariana che è nel complesso molto più povera del mondo arabo». Quanto al suo riferimento all' Ucraina, sono d'accordo con lei, «A partire dal 1973» ha calcolato sul Sunday Times 1'ex ambasciatore americano a Budapest, Mark Palmer, «dal Cile all' Indonesia, dalla Polonia al Sud Africa e più recentemente da Belgrado a Tiblisi, gli strumenti del conflitto non violento - le organizzazioni, l'informazione, gli scioperi generali, le proteste di massa - sorti internamente e appoggiati dall'esterno, hanno ridotto il numero delle dittature dal 43 per cento a un quarto delle nazioni del mondo, praticamente senza che fosse sparato un solo colpo». Palmer ha proposto che la dittatura sia riconosciuta come un crimine contro l'umanità e che un centro della Comunità per le democrazie si dia carico di raccogliere le prove contro «ciascuno dei restanti e poco amati dittatori». Mi sembra un'idea interessante.



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