In occasione del viaggio del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi in Cina, le invio, caro Mieli, il testo di una lettera che assieme ad altre persone ho scritto per portare alla sua attenzione i diritti del popolo tibetano ormai da decenni calpestati dalle politiche colonizzatrici di Pechino.
Questa visita avviene tra l'altro in concomitanza con la scadenza dei due anni di sospensione dell'esecuzione della condanna a morte decretata nei confronti di Tenzin Delek Rinpoche, autorevole leader spirituale del buddismo tibetano. Condanna per «attività separatista» emessa dal «tribunale del popolo» di Karze, nella provincia cinese del Sichuan (gemellata con la regione Piemonte)...
Bruno Mellano
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risponde PAOLO MIELI
Caro Mellano,
mi sembra giusto cogliere l'occasione che lei mi offre per completare l'ampia informazione sulla Cina che è stata data da tutti i giornali in occasione della visita del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi a Pechino e Shangai, con questa lettera che ricorda le sofferenze del popolo tibetano. Lettera firmata da lei che è un dirigente radicale, consigliere regionale del Piemonte e Coordinatore dell'Associazione comuni, province e regioni per il Tibet, ma anche da Gianpiero Leo, assessore alla cultura della Regione Piemonte, da Gianni Vernetti, deputato e presidente dell'intergruppo Tibet al Parlamento italiano, da Gunther Cologna, presidente dell'associazione «Italia-Tibet», da Claudio Tecchio, responsabile della campagna di solidarietà con il popolo tibetano, da Tashi Lama, presidente della comunità tibetana in Italia, da Piero Verni, direttore della collana «Tibet» di Sperling&Kupfer Editore e da Eva Pfoestl docente alla libera università di Roma «S. Pio V».
Ho fatto un'eccezione alla consuetudine di non pubblicare i nomi dei firmatari di una lettera quando essi siano più di uno o due, solo perché quei lettori che immagino sensibili alla causa del Tibet non abbiano l'impressione che siamo rimasti solo io e lei ad occuparci della questione. Questo perché credo che siano più di quanto io e lei immaginiamo le persone che tengono a mente come nel 1950 i cinesi di Mao invasero il Tibet, con quale brutalità nel '59 soffocarono una legittima rivolta costringendo il Dali Lama a rifugiarsi in India, con quale violenza furono poi represse le legittime manifestazioni dei tibetani degli anni Ottanta e come di epoca in epoca cambino le amministrazioni a Pechino ma il destino del Tibet resti sempre lo stesso.
Se qualcuno fosse poi interessato alle tribolazioni di quel popolo (e a quelle delle altre vittime della mancata democratizzazione dell'intero Paese) suggerisco la lettura del «Libro nero sulla Cina» pubblicato dalla Guerini e Associati editore. Chi è a Torino, poi, potrà partecipare la mattina del 10 al convegno dedicato a questi temi che si terrà al Consiglio regionale del Piemonte nell'anniversario della Dichiarazione universale sui diritti dell'uomo. Io credo — glielo voglio dire con franchezza, caro Mellano — che sarebbe stato improprio se il presidente Ciampi o i numerosi esponenti del nostro mondo dell'economia presenti a Pechino avessero pronunciato, in merito alla questione dei diritti umani, parole diverse da quelle che pure sono uscite dalle loro bocche nel corso di questa missione. Comprendo che a chi come lei premono i destini di quelle genti piacerebbe che proprio in occasioni come questa se ne parlasse ai più alti livelli. Ma credo che la sede in cui è appropriato che oggi sia richiamata la questione dei diritti umani calpestati in Tibet sia questa, una pagina di giornale.