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Ue divisa, si cerca il compromesso su Ankara
Difficile trattativa sulla data d'avvio del negoziato. Erdogan:pericoloso bruciare i ponti con la Turchia

• da L'Unità del 14 dicembre 2004, pag. 8

di Sergio Sergi

Strasburgo. La Turchia agitai sonni e i pensieri. La Turchia è leggenda. E' storia. Complica e appassiona anche la vita dell'Europa in questi giorni. E dei rapporti umani. L'Ue deve scegliere: i turchi dentro o fuori? Si discute. Ci si scontra. L'Europa è Europa con la Turchia oppure finirà suicida? I turchi, chissà. L'islam in casa nostra, ohibò. E i nostri figli? Il loro avvenire nelle mani dei nuovi Saraceni? Battute. Convegni. E, infine, il momento delle prime scelte. Aprire il negoziato. Per l'adesione finale. Siamo nella settimana cruciale. Da domani a venerdi, due pronunciamenti. Prima il Parlamento a Strasburgo. Poi il Consiglio europeo (capi di Stato e di governo).
Le due istituzioni devono rispondere a queste domande: si devono aprire i negoziati per l'adesione di Ankara all'Unione europea e a partire da quale data? Quali sono i punti di riferimento per questi negoziati? La risposta sembra andare verso una soluzione positiva
e il Consiglio, alla fine, dovrebbe fissare una data. Come sempre, è probabile che interverrà una soluzione di compromesso accettabile da tutti. Certamente, ci sono resistenze. Di governi e di forze politiche (i popolari europei, in particolare, sono dilaniati). Forse non per l'apertura del negoziato ma per il loro sbocco finale. Perché c'è anche chi, nell'ora della decisione politica, si vorrebbe tirare indietro e, freno a mano inserito, propone di offrire ai turchi, dopo averne per anni accettato lo status di Paese candidato, non l'adesione a pieno titolo ma soltanto una «partnership speciale». Ma il presidente di turno della Ue, il ministro degli Esteri olandese Bernard Bot ha dichiarato che non c'è «un piano B».


La giornata di ieri è stata plasticamente illuminante. E' iniziato il dibattito nell'aula di Strasburgo in vista del voto di domani sul rapporto del deputato Camiel Eurlings (Ppe) e, a Bruxelles, i ministri degli Esteri hanno discusso il tema in vista del summit dei 25 leader. Sul tavolo il rapporto della Commissione Prodi che propone decisamente il via libera al negoziato, ovviamente con una serie di paletti. A cominciare dalla possibilità di iriterrompere la trattativa se la Turchia non adempisse, cammin facendo, agli obblighi richiesti, lì governo di Recep Tayyip Erdogan non intende sottrarsi a questo esame ma, in queste ore, mentre sono lievitate titubanze e aperte ostilità, ha chiarito la propria posizione alla vigilia del summit: «Sappiamo che l'adesione non è automatica ma se noi facciamo la nostra parte, dovremo diventare membri a pieno titolo. O c'è la piena adesione o nulla». Erdogan ha, in tal modo, risposto in anticipo a chi ha proposto soluzioni alternative ancor prima di sedersi al tavolo dei colloqui che peraltro, lo sanno tutti, turchi compresi, dureranno a lungo. In ogni caso, la prospettiva dell'adesione non si materializzerebbe che dopo il 2014.11 premier turco ha anche evocato lo spettro del terrorismo: «Accettando un Paese come la Turchia che ha coniugato islam e democrazia, l'Unione porterà armonia tra le civiltà. Se non lo farà, il mondo dovrà far fronte all'attuale situazione. Non potremo far nulla se l'Ue decide di essere un club cristiano ma se si bruciano i ponti con il resto del mondo la storia non perdonerà».


Certo, l'Europa è combattuta. Un sondaggio de «Le Figaro», ha spiegato seri la contrarietà del 67% dei francesi all'ingresso della Turchia (gli italiani, dopo i britannici, con il 49% sono tra i più favorevoli all'adesione). Per questo, il presidente Jacques Chirac andrà a Bruxelles per perorare la causa del «negoziato aperto» che non escluda la soluzione del partenariato privilegialo.
Ieri il ministro degli esteri, Michel Barnier, ha agito per prender tempo.
Ha auspicato l'apertura della trattativa dopo il primo semestre 2005, meglio nel 2006 e chiesto che Ankara riconosca il genocidio degli armeni nel 1916. In ogni caso dopo il referendum sulla Costituzione europea. L'Austria del cancelliere Schuessel è sulla scia francese e agita la paura finanziaria: «Dove prendiamo 25-30 miliardi di euro per pagare l'ingresso della Turchia?». Eppure il fronte dei favorevoli dovrebbe prevalere. Ma, è noto, è necessaria l'unanimità. Il governo di Cipro, che sta nell'Ue, ha chiesto la normalizzazione dei rapporti con Ankara. La Germania, l'Italia (lo ha ieri ribadito il ministro degli esteri Gianfranco Fini), la Gran Bretagna, la Spagna e anche la presidenza olandese, sono per offrire alla Turchia una «prospettiva chiara». E, come è anche coerente, con l'obiettivo dell'adesione. Quando potrà concretizzarsi. E superate tutte le prove, compresi i rischi della tante clausole di sospensione. «E' ingiusto e scorretto generare in Ankara il sospetto. Dobbiamo essere chiari e trasparenti e dare ai turchi una vera possibilità.

 

Non bisogna regalare alibi ai nemici della democrazia e della laicità», ha ricordato Pasqualina Napoletano, vice presidente del gruppo Pse. Emma Bonino, radicale del Gruppo Alde, ha sottolineato: «Bisogna eliminare tortuosità e ambiguità» nella posizione europea, «diversamente non saremmo all'altezza del nostro presente, del nostro futuro e neppure di quanto abbiamo costruito». Infine c'è la Lega di Bossi. Che annuncia oggi una marcia su Strasburgo dei «giovani padani», accompagnati da un «accompagnatore spirituale» e dal deputato Salvini. Contro l'Islam e contro il commissario Frattini che ha auspicato l'ingresso della Turchia per combattere il razzismo.

 



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