I fatti di Kiev fanno tremare Lukashenko
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• da Il Riformista del 14 dicembre 2004, pag. 2
di Nicola Dell’Arciprete, della direzione di Radicali Italiani
Dall'Ucraina alla Bielorussia, l’effetto domino è possibile e Lukashenko lo ha capito. A due passi da San Pietroburgo e Kiev, dalla fine della grande Russia e del comunismo, la Bielorussa è finita nelle mani di Aliaksandar Lukashenko che ha conservato tutto del vecchio sistema, inclusi i metodi autoritari. Da quando l’opposizione democratica di Viktor Yushenko avanza in Ucraina, il tiranno bielorusso inizia a temere che la prossima scadenza elettorale nel proprio paese possa spazzare via il regime e costringerlo a seguire la sorte del collega Kuchma, assediato per giorni nei propri palazzi da migliaia di manifestanti. Al palazzo presidenziale di Minsk ormai si sorveglia la situazione in Ucraina minuto per minuto e si punta il dito contro i movimenti nonviolenti che hanno riempito Piazza Indipendenza a Kiev e costretto il ticket Putin-Yanukovic alla retromarcia. Lukashenko sa che il destino della Bielorussia è spesso legato a quello dell’Ucraina e non vorrebbe farne le spese. I nemici numero uno del regime non sono più i partiti dell’opposizione. L’amministrazione presidenziale bielorussa, che esercita un controllo pressocché totale su paese ed economia, ha capito che i giovani dell’organizzazione ZUBR fanno sul serio e seguono le orme (e gli insegnamenti) del movimento nonviolento serbo OTPOR, sfidando il regime sempre più apertamente. Le loro armi “segrete” sono quelle già sperimentate contro la Serbia di Milosevic, la Georgia di Shevarnadze e l’Ucraina di Kuchma dai terribili ragazzi delle organizzazioni OTPOR, KMARA e PORA. La prima si chiama VYBAR (“Scelta”), il giornale-volantino studiato per essere nascosto tra le pieghe delle giacche anche a qualche decina di gradi sotto zero. La seconda si chiama Internet e permette di mobilitare in qualche click gli attivisti “dormienti” dalla profonda campagna bielorussa alle capitali occidentali. E poi una valanga di azioni dimostrative a metà strada tra goliardìa e disobbedienza. Lo scorso 6 dicembre sulla centralissima via Nemiga a Minsk un militante di ZUBR (arrestato dopo aver commesso il fatto) srotolando 8 metri di libertà per qualche minuto annunciava: “Oggi in Ucraina, domani in Bielorussia!”. Intanto, oggi in Bielorussia, il governo ha deciso di passare alla linea dura. Poche ore dopo l’annuncio dei risultati a Kiev, Lukashenko nominava un nuovo capo dell’amministrazione presidenziale: Viktar Shejman, noto all’opposizione bielorussa per dei sospetti coinvolgimenti in una serie di assasini politici. Priorità assoluta: riconoscere e stroncare i tentativi occidentali di mettere in crisi il regime con “tecniche populiste”. E di ritorno da un incontro con i colleghi “rivoluzionari” di Kiev la delegazione di ZUBR è spedita in prigione. Eppure a Minsk, Aliaksandr Atroshchankau, uno dei responsabili di ZUBR, è incoraggiato dalla posizione ferma dell’Unione europea sulla situazione in Ucraina e spera che quando sarà il turno della Bielorussia Solana non si faccia vivo a Minsk soltanto a cose fatte. Lukashenko in persona ha dichiarato di escludere per la Bielorussia uno “scenario Ucraina” perchè “le persone sagge sanno come interpretare gli errori degli altri”. Speriamo che l’Unione europea ed i suoi governi siano più saggi di Lukashenko e non scendano in campo all’ultimo minuto disponibile (come in Ucraina). Per rendere praticabile alla democrazia il terreno ghiacciato della Bielorussia. Ed abbattere l’ultima tessera di domino a due passi dai confini dell’Europa dei venticinque.
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